Cominciamo con una nota negativa, purtroppo una costante di questo Future Film Festival: le grandi anteprime, quelle più prestigiose, come "Il signore degli anelli" di Peter Jackson, fiore all'occhiello di questa edizione come "La tigre e il dragone" o "Il mistero di Sleepy Hollow" lo furono delle scorse, devono essere in lingua originale, e non doppiate. Inutile riversare colpe sulla distribuzione o su chi si preferisce: una certa patina di "provincialismo" questo festival, per altri versi tra i più interessanti di tutti quelli presentati in Italia, non se la scrollerà di dosso finché non proietterà le sue anteprime in lingua originale.
In un festival come questo, la cui caratteristica predominante è l'attenzione riposta all'uso delle tecnologie digitali nel cinema, di animazione e non solo, occorrerebbe parlare di un film come questo soprattutto da un punto di vista tecnico. E ce ne sarebbero di cose da dire, a partire dalla cura maniacale con la quale, sin da subito, si capisce sia stato trattato ogni singolo oggetto di scena. Una cura che va ben al di là dell' <<effetto speciale>> in quanto tale, dal momento che sin dalle primissime inquadrature si avverte come qualsiasi tecnica, anche la più sofisticata, sia stata messa al servizio di un fortissimo realismo. Il vero pregio del film, prima di qualsiasi altra cosa, sta nel fatto che tutto quello che vediamo, per quanto fantastico possa apparire, sembra <<vero>>. C'è da scommettere che gli attori qui, a differenza di un altro famoso kolossal forse un po' troppo concentrato sull'effetto speciale (sto alludendo a "Star Wars Episode One - The Phantom Menace"), si siano divertiti da matti.
Ma di tutto questo se ne discuterà più approfonditamente nei prossimi giorni, dopo l'incontro con Richard Taylor della Weta Film e la visione del "Making-Of" del film.
Per oggi, così "a caldo" (la proiezione riservata alla stampa è avvenuta poche ore fa), consentitemi di lasciarmi guidare più dal lato "emotivo".
Partiamo da una considerazione sicuramente non marginale: chi scrive è tra i pochissimi che non hanno mai letto la saga di Tolkien. Per quanto faccia bella mostra di sé da tempo immemore sugli scaffali della mia libreria, non ho mai avuto l'estro, la voglia, il coraggio di prendere in mano il primo di quei tre volumi. Perché? Potrei dire che il "fantasy" non è nelle mie corde, ma sarebbe vero fino ad un certo punto, visto quanto è debitore alla saga di Tolkien (prima lo sapevo per sentito dire, ora posso cominciare ad affermarlo in prima persona, dopo la visione del film di Jackson) uno dei miei scrittori preferiti di sempre, Stephen King. Potrei dire che mi spaventava la lunghezza dell'opera, ma anche questo sarebbe vero fino ad un certo punto, dal momento che le dimensioni proprio di certi lavori di King sono ben note ai più.
In verità non so perché non ho mai letto "Il signore degli anelli", ma forse oggi posso dire di essere contenta di non averlo (ancora) fatto, perché la mia visione del film è stata priva di qualsiasi pregiudizio e/o aspettativa che inevitabilmente accompagna chi si accinge a vedere un film tratto da un libro che ha amato molto. E come molti film di argomento fantastico, "Il signore degli anelli" deve probabilmente conquistarti sin dalle sue prime immagini, altrimenti ti avrà perso per sempre. Io ero già persa dopo la prima inquadratura.
Quello che rende straordinario questo film (e che probabilmente è anche nel libro) è che tutto sembrerebbe essere al servizio, da subito, del piacere del raccontare. Quello proprio dei grandi poemi epici, che venivano letti in pubblico, dove chi ascoltava pendeva dalle labbra di chi leggeva. "Il signore degli anelli" sembra studiato a tavolino per piacere a tutti: partendo dal semplicissimo assunto che mai tramonterà della eterna lotta del male contro il bene, mette in campo tutti gli ingredienti della miglior favola che si rispetti: ci sono gli eroi, le principesse, i draghi (o mostri similari), le battaglie,i maghi, le fate, il viaggio, il pericolo, il tesoro. C'e' persino un re. Sembra studiato a tavolino, dicevamo, eppure mai per un attimo la narrazione mostra artificialità, mai per attimo ci appare fredda e/o calcolata. Il piacere del raccontare, quello che ci fa pensare ad Ulisse, ai suoi viaggi, o a Troia distrutta, alle guerre. Quello che ci lascia costantemente a bocca aperta, in attesa dell'ennesima sorpresa, timorosi per l'ennesima battaglia, in apprensione per le sorti dell'eroe (o - meglio - degli eroi).
Non si nega neanche il gusto di far aspettare il suo pubblico, "Il signore degli anelli". Ricordandoci così un altro periodo storico, a noi più vicino, dove il gusto del racconto la faceva da padrone: quello delle uscite dei romanzi ad episodi. Il periodo di Dickens. Perché a differenza della riduzione a cartoni animati di qualche anno fa Peter Jackson non ha voluto concedere nulla alla sintesi ed ha preferito dedicare un film ad ognuno dei tre capitoli della saga. I curatori del Festival ci anticipano che il girato ammonta a circa otto ore.
Una ultima considerazione sul cast. La scelta di due attori molto noti per aver interpretato drammi shakesperiani ci pare particolarmente azzeccata, al di là del faccino "alla moda" del giovane interprete del dimenticabile "The faculty". Ian Holm e Ian McKellen ci rivelano molto, con la loro sola presenza, di quanto le più innovative tecnologie digitali siano state, nelle mani di Peter Jackson, un mezzo, e non un fine. Come queste siano al servizio di una idea di cinema, e non <<l'idea di cinema>>.
Federica Arnolfo