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07/01/2004
Siamo in carenza di Eresia
Tra retorica patriottarda, assillo della sicurezza e abuso di "fiducia"

Ho ancora nel cuore gli sguardi, le parole, la dignità, la compostezza dei familiari dei nostri caduti a Nassiriya. A loro va il mio primo pensiero. In loro ho visto l'immagine della famiglia, fondamento della società italiana, e l'espressione più alta dell'amor di Patria.

(esordio di Ciampi a reti unificate)

Ciampi. Il presidente della Repubblica di tutti gli italiani che dormono. Ce ne vorrebbe uno anche per il giorno.

Stefano Benni sul manifesto, 27/7/2001

Un grande eresiarca: Joao Cesar Monteiro

Nella frase presidenziale si concentra tutto il vuoto sproloquio patriottardo da quando esiste il nazionalismo condensato nel motto fatto proprio da Ciampi di "Dio, Patria, Famiglia" (nessuno di questi concetti manca nel suo discorso). Sentendo distrattamente ho subito alzato le difese, non avvolgendomi in una tuta antivaccate (distrutta dalle ultime bordate della deriva autoritaria di questo scorcio di epoca di decadimento termidoriano), ma trincerandomi dietro la certezza - ancora più consolidata dopo quella retorica sventolata per eliminare il puzzo di naftalina in cui erano avvolti i vessilli bellici - di non essere "italiano", di non appartenere a quel consesso che si comporta così come il cipigliuto capo di stato stava dicendo... Però da quell'olimpico stato di apolide raggiunto di corsa arrampicandomi sugli specchi della Costituzione europea, contemplando il vegliardo che assicurava come "Tutta l'Italia si è unita nell'omaggio ai nostri compatrioti che hanno dato la vita per favorire la rinascita di un altro popolo. Tutti ci riconosciamo nello spirito di sacrificio...", alla parola sacrificio ho vomitato... non avevo ancora mangiato, eppure mi è venuto un conato di vomito... Non vomito mai, nemmeno se mi ubriaco, ma ho sentito proprio venire su uno sbocco come quella sequenza mitica de Monty Python e il senso della vita. E ho cominciato a orizzontarmi...

Un film che non vedrete mai 'Vai e vem'

... non era solo dovuto all'orgoglio per gli emissari di guerra sbandierati da un banchiere; nemmeno il suo richiamo all'amor di patria sarebbe riuscito a soddisfare la ricerca della vera causa del malessere. Era quella chiamata di correità, quel chiamare a "coorte" - che fa rima con "morte" - a risultare repellente. L'unanimismo, il silenzio della ragione di fronte al proprio sonno. Il fatto che non si possa nemmeno prendere in considerazione una posizione diversa, perché soffocata da radiose giornate e reni spezzate... Come in un flash mi è apparso un fotogramma sovrapposto alla memoria della realtà del luglio 2001 e subito i carabinieri hanno assunto un altro aspetto, diverso da quello che stava raccontando il labronico verdiano: si sono trasformati in quelle belve degli istant video di indy, o in quello di Ferrario, o nel peggiore risultato del montaggio a caldo presentato a Locarno. A quei fotogrammi si sovrappose la gragnuola di colpi illuminati da luci verzoline della guerra del 1991, dell'imperatore Bush I. Ingenuo giochino elettronico: in un decennio hanno preparato gli sguardi del mondo a sorbire ben altre panzane, ma tutto trova origine in quella rottura di un tabù, che preludeva al coinvolgimento di tutto il mondo nella guerra imperiale. Da allora ci hanno abituato alle guerre, o meglio a certe immagini edulcorate di guerre, per arrivare a queste asserzioni avventate di un ottuagenario e creare i sudditi bercianti di quelle immagini di guerra, della loro guerra. Della nostra guerra: ci hanno coinvolto per immagini e non ce ne siamo accorti e adesso qualsiasi affermazione è di nuovo diventata plausibile, grazie alle immagini spacciate sempre come uniche possibili documentazioni della sorte di comparse della recita della Cia production, lo hanno proditoriamente fatto per catapultarci nell'immaginario pre-vietnam senza prodromi di visioni alternative che ci liberino da Stranamore. Un intero paese e le sue paure tradotte in immagini: diventa da un lato facile Tobacco road per descrivere l'assenza di "Grace" (incarnata da un'australiana d'origine, diretta da un danese alla corte imperiale) in Dogville, e dall'altro diffondere la propria forma di autopromozione attraverso un altro artista australiano, Peter Weir e la sua inveterata ammirazione per il capo, sia esso un Capitano (mio capitano, solo professore), o ammiraglio di un film il cui titolo è già un programma per gli occhi imprigionati in quell'"ottica" autoritaria: Master & commander.

Allora a questo punto il cinema è soltanto un cameo appuntato sull'ordito dell'unanimismo, che a tratti finge di fare propria la voglia di eresia, ma in realtà dà solo minima voce a quel bisogno, riducendone sempre più la portata dando un'impressione di democrazia, ogni volta più asservita ai bisogni del potere. Ma gli eresiarchi sono espulsi da qualsiasi schermo... e quindi l'eresia non ha alcuna possibilità di espressione, eliminata "preventivamente": anche se trovasse modo di esprimersi non avrebbe alcuna autorevolezza.

Il cinema non si presta più a fornire immaginari diversi, alternativi, antidoti a queste ingessate istituzioni, che esternano le proprie emozioni solo di fronte a inni obsoleti e drappi tricolori, inerti di fronte alle truffe finanziarie e complici degli scandalosi contratti firmati da sindacalisti venduti, complici per il solo fatto di indossare la maschera di chi capisce, come in un film di Frank Capra, che gli altri hanno avuto "difficoltà con il loro bilancio, hanno fatto fatica".

Capra è venuto alle labbra come diretta conseguenza dell'altra idea affiorata alla mente: "paternalismo"; ora su Fuori orario scorre la tragedia di Vermicino. Aiuta a recuperare un immaginario diverso, altrettanto retorico e allora da noi vilipeso, dileggiato, rifiutato, mentre ora paragonato ai freaks legaioli che ingombrano lo schermo schiumando rabbia, sembrano memorie da cui cercare di ripartire per scoprire da dove è iniziata quella deriva, usare gli occhi di un Alfredino ormai putrefatti dallo scorrere di immaginari e confrontandoli con i condizionamenti che hanno mutato il nostro universo di riferimenti iconici, cogliere dove ci siamo lasciati andare e abbiamo permesso che Ciampi non avesse di meglio da dire che "Dio , Patria e Famiglia". Alla ennesima ripetizione della parola "fiducia" ho capito che non si riferiva a quella che serve per ottenere il rispetto dei contratti rivendicata con gli scioperi, che anzi subiscono una reprimenda ("Non giovano alla ripresa economica taluni aspri contrasti. Indeboliscono la fiducia, di noi in noi stessi, degli altri in noi"; ho capito, Ciampi si candida per guidare il pullman alla fine del suo settenato, con lo stipendio di un autista appena assunto). Forse invece di ripetere 7 volte "fiducia", se avesse virato sulla parola "rispetto" (e non parliamo del diritto internazionale o dei diritti umani, ma del rispetto dei gusti altrui e non solo del suo Mameli) avrebbe coinvolto qualche persona in più, se poi aggiungeva "dignità" (non solo quella di parenti a cui è stata sottratta la diretta attraverso un sapiente uso delle sirene di ambulanze e negazione di polemiche in diretta dall'Altare della Patria-obitorio), non faceva solo il pieno di consensi da apparati di partito e forze armate.

Il ventre dell'architetto di Greenaway, film dove più è palpabile il fascismo intrinseco all'idea di Altare della patria
E la vita continua

Perché non si può dire che le torri gemelle sono una tra le ecatombi di minor rilievo degli ultimi anni per numero di vittime e che gli americani sono responsabili di ben di peggio? O che al Qaeda aveva preso spunto dal Cermis? Il film collettivo su quello che ha smosso negli autori immediatamente la notizia delle Twin Towers è stato presto dimenticato, perché era un'altra accozzaglia di retorica uguale e contraria; non funziona quel modo di rispondere al pensiero unico. L'unica possibilità di smuovere nuove immagini innanzitutto cinematografiche e poi mentali è l'eresia. Perché non è possibile ammantarsi di cinismo e rilevare come primo moto dell'animo di fronte alle distanti parole di un'Ansa che parla di un terremoto con migliaia di vittime sconosciute: "Oddio, adesso Kiarostami si arma di un moccioso petulante e una bagnarola scassata e parte per una nuova ricerca di un suo amico"? la percezione dell'evento più vicina alla mia memoria è Kiarostami, non sono mai stato in Iran e poi proprio il cinismo ai tempi delle avanguardie del primo novecento era il miglior balsamo contro il perbenismo; ovvio che è oltremodo cinica questa considerazione. Anche chi non ha potuto fare a meno di pensarlo ne coglie la portata devastante rispetto all'ipocrisia diffusa di chi si esalta di fronte alle immagini dei bombardamenti sulle genti afghane, che a poche decine di chilometri da Bam sono morte nello stesso numero, ma che espone musi contriti e toni funebri - mentre non gliene frega un cazzo, ovviamente - di fronte a un terremoto. Ecco l'eresia che spunta dove non la si aspetta: e infatti, riferita la battuta su Kiarostami e la sua maniera (ormai noiosa), in lista ha ottenuto alcune reazioni indignate. Bingo!, direbbero i nostri liberatori americani, paladini della lotta all'eresia. Infatti hanno brillato anche le intelligenze di alcuni che di fronte al terremoto hanno pensato:
«Ecco il "Martello di Dio". Gli Amerikani hanno finalmente messo a punto il sistema per scatenare terremoti quando vogliono; non lo daranno mai agli israeliani per non rovinare tutto quel petrolio. In compenso coventrizzeranno Parigi in questo modo i loro figli non romperanno più i coglioni per imparare l'arte dai maledetti comunisti. Anche se il TG2 ha già coperto con adeguato copyright tutte queste idee e l'unico spazio libero, quello di saddam barbanatalesco è stato inopinatamente scippato dal TG5 con il culto del raffronto con Walter Matthau (in Pirati). Eppoi quello non era il vero saddam, ma un sosia di Makhmalbaf che si fa passare per il ras del quartiere per estorcere una dacia in russia agli americani. Su questo Kiarostami sta preparando un film. Si tratta dello stesso meccanismo per cui quello vestito di bianco e tremolante in piazza San Pietro non è Il Polacco ma Rod Steiger (e basterebbe confrontare la data della - con rispetto parlando - supposta morte dell'attore con quella della sventolata "ripresa" del primo dei papisti)»

... E allora ci sono ancora spazi per liberarsi del pensiero unico, anche dopo la fine mai abbastanza compianta di Cesar Monteiro, il cui ultimo film dovrebbe essere proiettato a ciclo continuo come antidoto a queste scempiaggini nazionaliste, vacue e dottrinarie.

Rimane Blob, che qualche minuto dopo Ciampi ha fatto giustizia dello squallido buonismo e ha commentato Bam proprio con le sequenze di Kiarostami, confermandomi che ci sono delle cellule di resistenza allo strapotere della morale comune calata dall'alto e volta a inibire il nostro modo di recepire immagini, di consumarle, di richiederle e di pretendere di sdoganarle. Esistono altri "non italiani", altri occhi "rossi" sul pianeta terra, ultimi sopravvissuti, magari qualcuno di loro non va a vedere Pieraccioni o Boldi/De Sica e decide così anche lui di non essere italiano... sogno un movimento che si propone esclusivamente di deitalianizzarsi, individuando nei gusti filmici - punta dell'iceberg che spiega anche i comportamenti da delirio di massa, come in occasione di funerali di stato, ma anche nella predilezione per narrazioni distanti dal mainstream invasivo - un mezzo per ripudiare tutto ciò che è avvicinabile agli stantii stimoli citati nel vaniloquio di Ciampi ("Il senso di identità nazionale, il nostro patriottismo, si sono arricchiti di stimoli nuovi"); l'affrancamento da tutto ciò che rappresenta appartenenza a Italia e italianità è l'unica salvezza che abbiamo di fronte alla valanga di immagini riversateci addosso per inculcare nuovamente il nazionalismo cui era stata messa la sordina dai movimenti di emancipazione degli anni Settanta. Un nazionalismo che ha sempre solo portato lutti agli oppressi e denaro agli oppressori, come insegna la Grande Abbuffata tra Cirio e Parmalat, dove s'evidenzia che i grandi imprenditori italiani saprebbero come fare profitti se non ci fossero lacci e lacciuoli e il costo del lavoro non fosse tanto intollerabile.

Non è che sogno un pepla ricolmo di catacombe e girotondi che si accalcano, di nuovo, in una massa uguale e contraria, a vedere clandestinamente lo spettacolo della Guzzanti. Innocuo, per nulla eretico; se messo a confronto con il discorso clerico-militarista di Ciampi risulta molto più eretico l'ultimo film di Ciprì e Maresco: lì si ritrova qualche suggerimento per bonificare gli sguardi dalle cispe che occupano gli occhi intasati dalle immagini delle lotte altrui al terrorismo, delle guerre altrui per il petrolio. Affrancarsi attraverso l'eresia e qualche ottimo film che possa essere diseducativo, come Looney Tunes Back in action, intelligentemente eretico in ogni fotogramma; Elephant, che fa dell'eresia il suo portato sia per il linguaggio adottato, sia per l'assenza di ogni commento moralisticheggiante; Lost in translation, perché negli anfratti della narrazione privata del racconto sono stati filtrati gli orpelli affinché potesse riaffiorare tutto quello che era andato perso nella traduzione, oasi in cui i sogni retorici scippati a Luther King da un banchiere bianco non riescono ad arrivare, perché i personaggi sono trasognati, incantati ad ascoltare quello che si era perso nella traduzione e che era un innamoramento senza sesso (eresia), una sospensione della narrazione (altra eresia), una messa tra parentesi del flusso della vita, estendendo all'infinito il sorseggiamento di un whiskey (Time of Suntory), per arrivare al massimo dell'eresia: individuato il punto di deragliamento, di uscita dal sincrono, pronunciare il risultato del processo di recupero della traduzione, ma senza pronunciarlo, lasciando allo spettatore di iniziare il suo percorso ereticale di ricerca di un'uscita dal condizionamento delle traduzioni, dai fax sul colore della moquette (il fax di Ciampi, inutile come quello della moglie di Murray: "La fiducia è tutto, è la forza che ci muove, che ci permette di costruire il futuro", non possiamo permetterci che ci ottunda completamente il cervello), dall'appartenenza a una nazione putrescente. Fossimo in una strada di Tokyo all'orecchio vi sussurrerei: smettiamo di essere italiani, non è un appellattivo di cui andare fieri... non a caso i film con quell'etichetta fanno schifo.
Ma non siamo a Tokyo e non abbiamo messaggi di fine anno da lanciare a reti unificate... altrimenti che eretici saremmo?