Il movimento regolare di Monica Bellucci in una
passeggiata siciliana detta i tempi dell’ultimo film di Giuseppe Tornatore, Malèna;
ed è già un movimento cinematografico, che si offre allo spettatore con
l’ovvietà dei più lirici luoghi comuni frequentati dal regista di Nuovo
Cinema Paradiso: come il Truffaut della celebre battuta sulle gambe delle
donne (“sono i compassi che misurano il mondo”) che qui si mette in scena, un
passo dopo l’altro. Se La leggenda del pianista sull’oceano segnava il
punto d’implosione di un linguaggio ipertrofico, sovraccarico di immagini
leziose e di cattiva letteratura, Malèna vorrebbe aprire la fase
interlocutoria di un regista cresciuto all’ombra del cinema come Arte, del
quale si è autoproclamato erede ed interprete (guardando ieri a Fellini, oggi a
Germi). E’ un cinema egocentrico (ed euro-centrico) che confeziona prodotti in
stile internazionale, concordati con l’investitore Miramax (distributore di La
vita è bella negli USA); e sono sufficienti pochi elementi narrativi e stilistici
per collocare il prodotto Malèna nella categoria dei film su
commissione, realizzati per compiacere un pubblico che ha mostrato di gradire
un certo tipo di immaginario: la suggestione del genere storico, l’Italia della
seconda guerra mondiale con il suo folclore (quello popolare e quello
fascista), la funzione salvifica degli Americani. Dall’universo del Pianista
emerge ancora una volta un racconto di formazione condotto da un punto di vista
assoluto, quello di un ragazzino di tredici anni, Renato: irretito dal fascino,
dall’incanto della bellezza femminile (che per lui s’incarna tutta in
Malèna-Bellucci), Renato registra la parabola di questa creatura indecifrabile,
orgogliosa e fragile, indomita e vinta dalle avversità. Circondata dal
“machismo” come unica manifestazione del carattere virile (esemplare – e per
questo inutilmente didascalica, e artificiosa – la scena in cui al bar del
paese una quantità di uomini si contende l’accensione della sua sigaretta),
ella sperimenta pure la condizione di isolamento cui la costringono le donne
come forza conservatrice, come gruppo sociale che custodisce le regole e le
convenzioni. In un mondo così disegnato, a Malèna resta solo da camminare; e lo
spettatore non può che seguirla con gli occhi di Renato, in un’identificazione
che lo precipita in uno spazio angusto e insieme vastissimo.
Le linee di forza che organizzano
la visione del film sono di ordine duplice; da una parte riguardano il punto di
vista, dall’altra l’aspetto metatestuale, ossia il dichiararsi del film come
testo interagito da autore e spettatore.
Al punto di vista del ragazzino
sono associate delle immagini soggettive, prodotte dallo sguardo del
personaggio; in questa categoria di sguardi rientrano le soggettive
“analitiche”, nelle quali vediamo all’opera un punto di vista reale, che
registra gli oggetti e i fatti (si hanno, per esempio, quando Renato spia
Malèna da una fessura del tetto); ci sono poi le semi-soggettive, in cui la
ripresa comprende dettagli, primi piani, movimenti di macchina, che non
riflettono direttamente lo sguardo di Renato ma sono comunque “dipendenti” da
quello; infine abbiamo le soggettive “interiori”, immagini mentali che
risultano da sogni o da desideri (queste si hanno quando Renato si proietta al
fianco di Malèna, o la vede improvvisamente nuda anche quando è vestita). Nei
primi due tipi di soggettiva converge evidentemente tutta la strategia
narrativa e insieme la potenzialità espressiva del film: la sua capacità di
gestire minuziosamente i movimenti all’interno del quadro, di dirigerli, di
crearli a partire da un’intenzione creativa; queste immagini fanno capire che
la folla intorno a Malèna è lì in funzione della macchina da presa. Come spesso
accade a Tornatore (i cui vezzi stilistici nel <Pianista> sfioravano la
mania), questo apparato formale si traduce in un freddo e manierato omaggio
alla bella fotografia, o alla bella pittura: la composizione dell’ultima
inquadratura, con i gruppi ben ordinati di schiena alla macchina da presa che
procedono verso il destino (già scritto dalla voce narrante), è quanto di più
rigidamente fotografico il regista siciliano ci abbia finora mostrato, e in
generale si nota una predilezione per la “veduta”, specialmente nelle location
marocchine (il film è stato girato parzialmente in Marocco per una serie di
vicissitudini della produzione in Italia). Sono invece le immagini interiori ad
aprire nel testo quella crepa nella quale il regista finisce per franare
miseramente con tutto il suo repertorio poetico; queste “soggettive al quadrato”
del ragazzino che sogna Malèna in forma cinematografica (di volta in volta lei
e lui sono i protagonisti di Tarzan, Ombre rosse, Jane Eyre)
introducono un livello ulteriore di finzione che proprio non riesce a trovare
posto su uno schermo già gremito di immagini autoreferenziali. La loro
debolezza, giova sottolinearlo, è meno nello sconfinamento nel grottesco e nel
greve che nell’assoluta gratuità e arbitrarietà con cui si danno allo
spettatore. Non serve che a ricucire il senso concorrano le metafore ossessive
dello sguardo (inquadrature dell’occhio, della finestra, del buco della
serratura, dello specchio): il senso è perduto, e ci si ritrova con una
cocciuta legittimazione dell’enunciato raggiunta mediante un sistema di
corrispondenze fra regista come Autore ed Enunciatore, personaggio-bambino come
medium, e spettatore come Enunciatario. Le analogie scoperte fra il dispositivo
cinematografico e il personaggio di Renato si possono elencare a partire dalla
prossimità fra l’occhio del ragazzino e l’occhio della macchina da presa; fra
il suo carattere dinamico ed esuberante e il sistema dei movimenti di macchina
(l’arrampicata sull’albero equivale a un dolly; la corsa in bicicletta ad un
carrello); fra gli episodi di onanismo (che hanno ancora il potere di scandalizzare
i commentatori di Famiglia cristiana!) e la naturale disposizione del
cinema di Tornatore all’autoerotismo.
A darci una misura definitiva
dello stato delle cose è una sequenza rivelatrice, quella in cui Renato viene
condotto dal padre al bordello perché sia iniziato al sesso: ignorando per un
attimo gli elementi più superficiali della connotazione (luce rossa, percezione
distorta, montaggio frammentato), e prestando attenzione al movimento
avvolgente dei corpi intorno al soggetto che li guarda e li sceglie, si capisce
come il regista-bambino si senta attualmente accerchiato dalle seduzioni facili
del linguaggio (quegli artifici che lo hanno quasi ipnotizzato nel Pianista,
per intenderci), e intenda fronteggiarle attraverso una scelta affettiva, viscerale.
Nel film, Renato guarda (e sceglie) la prostituta che non partecipa al turpe
balletto, che è poi la più somigliante a Malèna; così Tornatore fugge dalle
sollecitazioni che il tracollo formale del Pianista gli metteva di
fronte, trovando riparo nel ripiegamento eclettico-nostalgico, il solo
atteggiamento che sa opporre al cinema di oggi.