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DOGVILLE:
una Tobacco Road apologo sulla Grazia,
o un Berlin Alexanderplatz ridotto a Monopoli?




Motivi del titolo: presenza della voce off anche nella recensione

L'immersione nell'America della Grande Depresione getta luce sull'altra comunità del cinema di von Trier: quella de Le onde del destino, vi si trova persino lo stesso atteggiamento nei confronti delle donne, meno caricato di responsabilità mistiche e con un troppo smaccata spiegazione finale, in cui può sembrare che tutto trovi ragione in un'attribuzione di colpe al sistema feroce su cui si fonda il puritanesimo statunitense, che somiglia troppo alla duplicazione delle campane di Breaking the Waves per essere l'unico livello di lettura.

Allo stesso tempo il tono distaccato, entomologico, che ricorda molto l'espressionismo di Döblin (mantenendo la stessa collocazione temporale) riprende proprio l'uso apologetico di una vicenda emblematica di un'esistenza travolta dagli eventi su uno sfondo di personaggi "giocati" come in un monopoli teatrale, dove "Il cane che abbaia è una forza che andrebbe presa sul serio", mentre il manicheismo viene ricollocato nel suo alveo di esperimento di laboratorio, assieme al ministero filosofico e allo sforzo indecifrabile di donarsi "con Grazia". Ovvero dell'inadeguatezza di tutti di fronte all'immediato processo di cambiamento innescato con l'accettazione iniziale: quella società non può che produrre schiavi... e non può dunque che fare uso del potere in modo violento?

adriano boano

Regia:  Lars von Trier
Sceneggiatura:  Lars von Trier
Fotografia:  Anthony Dod Mantle
Montaqgio:  Molly Malene Stensgaard
Cast:  Nicole Kidman, Harriet Andersson, Lauren Bacall, Jean-Marc Barr, Paul Bettany, Chloe Sevigny
Suono:  Per Streit
Costumi:  Manon Rasmussen
produzione:  Lars Jönsson, Vibeke Windeløv
Distribuzione:   Medusa


Dogville è una cittadina fantasma sperduta nelle Montagne Rocciose; la strada finisce, a Dogville.
Il dramma si apre con un prologo che ci presenta la città e i suoi abitanti attraverso la voce narrante, presenza onnisciente che ci accompagnerà lungo i 9 atti successivi. La sensazione di straniamento è immediata: ci troviamo al cinema o a teatro? Una mappa tracciata col gesso indica le case e i punti di riferimento del paese, un viale (senz'alberi), alcune case (senza muri), pochi oggetti connotano la vita quotidiana di 15 personaggi - presenti contemporaneamente e continuamente sul palcoscenico - che aprono e chiudono porte inesistenti, calpestano prati invisibili e ammirano paesaggi immersi nel buio. Niente di più lontano dai comandamenti del "Dogma", apparentemente. In realtà, niente di più reale dell'umanità che si muove come uno scarafaggio in una scatola, su quel palcoscenico.

Oltre i limiti della scena le montagne, la città, un meleto: non li vedremo mai. Grace e il suo viso d'angelo arrivano in città: la ragazza pare/è impaurita, braccata dai gangster, affamata e stremata, ruba lo scarno pasto del cane che fa la guardia all'ingresso della cittadina e qui incontra Tom che l'aiuta a sfuggire ai suoi inseguitori e a rimanere in città, la accudisce, la presenta ai suoi concittadini convincendoli della necessità di ospitarla per un po' di tempo, dandole il tempo di farsi conoscere per quello che è, al fine di superare la diffidenza propria della mentalità di provincia. Peccato che nessuno a Dogville sia quello che sembra, e immediatamente lo spettatore viene catapultato in un gioco di continui capovolgimenti della realtà. Tom, dietro l'apparente interesse per il bene di Grace, lascia trapelare (lo dichiarerà poi la voce narrante) la predominanza della sua vocazione di politico-filosofo: Grace diventa per lui un esperimento etico-politico, l'amore professato si trasforma in mero desiderio fisico, fino al tradimento per denaro. Dopo una riluttante disponibilità iniziale i cittadini di Dogville chiedono qualcosa in cambio a Grace, lavoro, pazienza, principalmente subordinazione, fino a quella fisica ottenuta con violenza da tutti gli abitanti di sesso maschile del paese.

La fuga è impossibile, Grace è continuamente tradita, finanche dai bambini, esseri innocenti per definizione (forse, nei primi anni di vita). In un susseguirsi di violenza e vessazioni si delinea il tipico personaggio femminile dei film di Lars von Trier, la mosca nella tela del ragno, la vittima che uscirà di scena senza possibilità di catarsi. Ed ecco l'ultimo magistrale capovolgimento: Grace si riappropria del suo ruolo sociale, quello da cui fuggiva all'inizio del film, i gangster la trovano grazie al tradimento di Tom in combutta con i suoi concittadini. Il capo della banda (che si scopre essere il padre di Grace) le/ci presenta l'epilogo della vicenda. Grace usa il potere concessole dal padre e la vendetta giunge inesorabile: "il mondo sicuramente non sentirà la mancanza di Dogville" è la sentenza finale della donna che si vendica applicando alla lettera la legge del contrappasso nell'inferno dantesco della città che brucia. Unico superstite il cane (che finora non abbiamo visto, lo abbiamo solo sentito abbaiare in un disegno stilizzato a due dimensioni) che si materializza sul finale, Cerbero cieco e aggressivo, come gli abitanti stessi di Dogville.

Molte sono le letture possibili di un simile dramma. Quella religiosa: la rappresentazione scenica è ricca di simboli di origine biblica, non ultima la bellissima inquadratura che mostra Grace sdraiata sotto il telone (che c'è ma sembra appena un velo) sul furgone di Ben mentre tenta la fuga: Eva bellissima - e colpevole di essere se stessa - che addenta una mela, figura sensuale e naturale al tempo stesso, come immersa in un quadro di Klimt. Quella politica: allegoria semplicistica di un'America arrogante e presuntuosa che sperimenta la sua potenza sul resto del mondo. O, semplicemente, quella umana: al bianco abbagliante del giorno e al nero cupo della notte di Dogville corrispondono personaggi buoni-buoni (Ben) e cattivi-cattivi (Chuck), che nel corso della vicenda lasciano trapelare le sfumature di caratteri più complessi e contraddittori fino a mostrare il loro vero volto.

Eppure Dogville è un paese qualsiasi, sarebbe riduttivo affermare che è l'emblema dell'America di oggi. È invece una realtà molto più estesa, dall'unità fondamentale che costruisce una nazione (l'individuo e poi la famiglia, cioè due persone che vivono insieme) alla nazione stessa, in un susseguirsi di comportamenti simmetrici e corrispondenti, di opposti che coincidono, fino al ritorno inevitabile all'unità fondamentale: l'animo umano. Il capovolgimento finale svela un delinquente molto potente, dal pensiero lucido e in qualche modo giustificabile, soprattutto rispetto alla violenza mascherata da bontà cui si assiste negli 8 atti precedenti del dramma; anche Grace capisce dalla "predica" del padre che la sua unica via d'uscita è il riconoscimento del suo status sociale: il "suo posto" è quello di chi ha il potere di decidere della vita del prossimo.

Nell'atmosfera claustrofobica creata dal continuo capovolgimento da vittima a carnefice e viceversa rientrano anche i discorsi edificanti di Tom e le sue doti di oratore e affabulatore che lo portano a convincere anche se stesso della sua bontà come in uno sdoppiamento schizofrenico della personalità, a volte impegnato in una battaglia per il bene della comunità, a volte pratico e lucido come un assassino che medita l'omicidio nei minimi particolari. Ciò che ci permette di mantenere un certo distacco dalla continua sensazione di trovarsi in bilico tra realtà e finzione è la voce narrante, spesso ironica e tagliente, un deus ex machina alla pari di Grace che alla fine una lezione la impartisce davvero, a tutti.

Al centro dell'opera è l'arroganza, in tutte le varianti che può assumere nelle mani di un essere umano: è Arroganza quella di Tom che cerca di imporre i suoi precetti ai concittadini, o che tenta di fare di Grace una cavia da laboratorio etico. Arroganza è quella di Dogville che schiavizza Grace, Arroganza è l'assistere indifferenti alla violenza di Chuck attraverso muri inesistenti. Ma soprattutto Arroganza è quella di Grace che fin dall'inizio pretende di poter perdonare qualsiasi torto di Dogville nei suoi confronti, impedendo così alla città di trarre la necessaria catarsi dalla punizione. La tolleranza e il perdono (apparente) di Grace privano i carnefici della possibilità di capire e di salvarsi. Paradossalmente, la capacità di sopportazione di Grace è un tipo di arroganza meno evidente ma più potente.

Troppo facile pensare all'America in guerra di oggi; alla bontà di un'azione concertata tra nazioni per intervenire a favore di una Paese in pericolo che si trasforma in azione repressiva e violenta per arroganza e presunzione o per senso di superiorità. Troppo evidente perché non sorga un dubbio e non si noti il capovolgimento supremo. L'America è anche vittima, vittima che si vendica a ragione, dopo il supremo torto dell'11 settembre, dopo il supremo attacco al mondo "buono".
E la vendetta è giustificata, infine, catartica come la carneficina perpetrata per ordine di Grace.

L'America vera arriva alla fine, con i titoli di coda: immagini ormai storiche scattate da fotografi e reporter che hanno documentato l'America più sporca, quella che in genere si tende a nascondere. Curioso: quelle stesse immagini sono quotate all'asta presso operatori di mercato che fanno fare loro il giro del mondo in mano a collezionisti e archivi. Icone in vendita come l'anima di Dogville. La musica barocca che accompagna le sequenze del film (come una musica proveniente da un vero golfo mistico sotto il palco di Dogville) è sostituita da Young Americans di David Bowie, delirante sul bianco e nero di un abbandono ben più crudele della volontà distruttrice di Grace.

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Chiara Biano
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