Ront Brauman. : Ce qui m'a frappé en voyant les images - et j'étais bien sûr moins le nez dedans qu'Eyal et sa monteuse -, c'est à quel point Arendt est fidèle à la réalité du procès. le personnage d'Eichmann que j'avais découvert en lisant son livre, je l'ai retrouvé à l'écran. C'est exactement le même)
Quindi si potrebbe dire che l’unità di racconto assicurata dai servizi inviati al New Yorker da Arendt evitano il problema verificatosi con il pastiche di interviste e para-fiction priva di voce fuori campo. Su questo si appunta l’attenzione di Portelli, che immagna così di trovare in questo la chiave dell’insuccesso di The Last Days: "Non c’è nessuna voce fuori campo. Proprio qui però sta parte dell’equivoco. Questa scelta esibisce un’intenzione di oggettività antiautoritaria, ma sottintende anche un’idea di onnipotenza filmica: non commentiamo le immagini sia perché non imponiamo un’interpretazione, sia perché parlano da sé.

Last Days:

"Non c’è nessuna voce fuori campo. Proprio qui però sta parte dell’equivoco. Questa scelta esibisce un’intenzione di oggettività antiautoritaria, ma sottintende anche un’idea di onnipotenza filmica: non commentiamo le immagini sia perché non imponiamo un’interpretazione, sia perché parlano da sé.


Il problema però è che "fuori campo" c’è ben altro: macchine e persone, mezzi tecnici, mezza dozzina di troupe internazionali… L’assenza della voce fuori campo allora è più manipolatoria di una sua presenza, perché fa parlare le immagini ma non fa vedere in che modo sono state prodotte, per cui presenta un evento costruito come un evento spontaneo." L’effetto straniante così prodotto inficia le pretese del presupposto e cioè il racconto degli eventi attraverso testimonianze di prima mano inoppugnabili, al contrario di quanto si poteva immaginare sia la prassi opportuna per coinvolgere lo spettatore, Spielberg sceglie di cancellare la macchina da presa, "come se la presenza dell’osservatore inquinasse la purezza della realtà osservata e andasse quindi aggirata o nascosta." L’opposto della opzione di Uno specialista, dove si sottolinea la presenza della mdp e si fa coincidere con il nostro punto di vista, immenso in questo senso il momento della proiezione in aula: il punto di vista delle quattro cineprese non dimentica mai di giocare con il nostro sguardo ed in quel frangente noi facciamo ogni sforzo per vedere quello che viene proiettato, con buona approssimazione potrebbe essere la breve e terribile sequenza che invece Spielberg inserisce dei deportati ridotti a scheletri ambulanti: mai usciamo dall’aula di tribunale, un po’ perché l’intento è diverso (qui sul banco degli accusati è qualunque rapporto di sudditanza, qualsiasi carnefice, ogni potere nell’adempimento delle sue funzioni di repressione e giudizio), un po’ perché la vera testimonianza sono le parole, i giochi psicologici, che mettono in rilievo non le conseguenze della degenerazione del potere, ma le sfumature che marcano la lieve differenza tra un regime in cui vige il dissidio e quello in cui i contendenti coesistono in uno stesso spazio: il lavoro dei due ebrei oltrepassa i bisogni del documentario, mentre il duo americano abbisogna di creare un archivio e quindi rimane impastoiato nei criteri didattici, per questo anche Portelli coglie il problema di The Last Days , ma non spiegherebbe l’efficacia del reportage su un processo di quarant’anni fa: "per farci vedere la realtà, il documentario ha bisogno di metterla in scena; ma omettendo la messa in scena inficia il senso di ciò che mostra." A Sivan è sufficiente mostrare l’aula per evocare gli universi di riferimento distantissimi e la violenza che ne deriva di conseguenza. Infatti:

qu'on s'intéressait exclusivement aux témoignages des victimes, au discours des héros. Le reste, la parole d'Eichmann ou les conseils juifs, était laissé de côté. È il contorno verbale di racconti, appunto quello che Portelli insiste a ritenere assente nel film americano: "La storia orale, scritta o filmata, non consiste dunque nella semplice raccolta e riproposizione di testimonianze, ma in una complessa costruzione dialogica di narrazioni in cui l’intervistatore è altrettanto in gioco, altrettanto coinvolto dell’intervistato". Addirittura troppo implicato nel film processuale, poiché il ruolo dell'intervistatore è assunto dagli inquisitori: la bravura degli autori sta nel fatto che riescono a prendere le distanze al momento giusto dagli occhi in prestito, lasciando emergere la speculazione morale desunta da Arendt, che dà modo di superare lo scoglio delle altre presenze autoriali forti rilevate da Portelli nel coacervo di interviste: "Nel film agiscono altre forme di autorità: l'uso sapiente del montaggio, in cui ogni accostamento e ogni taglio è una decisione, necessaria e invisibile".
Eyal Sivan : Il faut bien comprendre que les images d'archives n'étaient pas utilisables en l'état. Le film est entièrement "nettoyé" et bruité, ne serait-ce que pour le rendre audible. Il fallait par exemple décider quelle sonorité aurait exactement la voix d'Eichmann, celle de chacun des juges, puisqu'on les retravaillait à partir des enregistrements de la radio israélienne… On se rapproche là d'une forme de postsynchronisation comme pour la fiction. De même, comment restituer l'architecture du lieu, l'espace du tribunal, avec des plans fixes issus de l'une des quatre caméras vidéo qui enregistraient le procès ? D'où les effets de montage dont vous parlez. Tout cela procédait pour nous d'une volonté de "briser l'archive", c'est-à-dire d'appliquer au document brut, inutilisable tel quel, un traitement qui le rénove et aussi l'actualise. Le simple fait de monter des extraits est un artifice : on entre ou on sort au milieu d'une scène

Last Days:

Quel montaggio assume la connotazione di spettacolo senza perdere il proprio valore di documento, subisce l'intervento sul materiale più della messa in scena di Spielberg di fronte alle latrine del kippur ad Auschwitz, però non ci rimette dal punto di vista della credibilità filosofica. E svolge sul piano documentario un'azione simile a quella intentata da Spielberg in sede di fiction.
É importante puntualizzare che il film di Moll illustra un momento storico con dovizia di contenuti e montando differenti tessere del mosaico che produsse quella catastrofe collettiva, ma forse è proprio quella
voce collettiva che manca nel bisogno imprescindibile, dati i presupposti, di essere una concrezione archivistica di memoria; rimangono toccanti momenti episodici, laddove nell'aula di processo il corteo di volti che si presentano a rilasciare tranche de vie omologhe ad altre rappresentano meglio il dolore di massa. Sono due enormi masse di lavoro diverse: l'una rivolta alla ricerca di fatti, personaggi, eventi, spezzoni, singoli dettagli: tutto 'oscenamente' e scrupolosamente mostrato senza lasciare nulla all'immaginazione, l'altro pondera ogni fotogramma, lo cassa senza pietà se non risponde ad un'esigenza di rigore di ricerca prima di tutto morale e ermeneutica, tutto si fonda su un testo già conosciuto e pubblicato e su un girato di sedute già archiviato: non c'è ricerca sul campo, ma sembra di cogliere di più il lavoro sulla storia orale, paradossalmente più che nel caso dei cinque sopravvissuti di cui sappiamo tutto, perlustriamo le case, assaporiamo la pacatezza e l'emozione con cui rievocano, conosciamo la storia. Degli altri testimoni poco sappiamo, non ci ricordiamo nemmeno i nomi, ma ci chiarificano meglio quali erano i rapporti di potere, o meglio i non-rapporti e l'alienazione, la dissoluzione della personalità perpetrata dall'ideologia nazista.