«Interrogare» però è un'operazione molto difficile, che non tutti sanno condurre: in primo luogo non si può chiedere tutto, indiscriminatamente. Bisogna aver chiaro che cosa vi sia, nell'esperienza ormai lontana del testimone, che conti nel nostro vissuto odierno (omicidi di massa? disprezzo per lapersonalità umana? autoritarismo di regime?) e soprattutto: quali sono per noi, oggi, i punti oscuri che speriamo di chiarire almeno in parte sulla base di questa testimonianza? In secondo luogo, dobbiamo guardarci dalle domande-inchiesta, alle quali si dovrebbe rispondere solo con un «sì» o con un «no»; e questo sia per il rispetto per le sofferenze che evochiamo nei testimoni, sia perché a fronte della complessità dell'esperienza di cui parliamo, a fronte degli aspetti che solo loro, i testimoni, possono avere conosciuto, dobbiamo formulare chiaramente la nostra domanda - e lassciare la più ampia libertà nella risposta. (Amos Luzzatto, Postfazione all'edizione italiana di Wieviorka, Annette, Auschwitz expliqué à ma fille, Parigi, Éditions du Seuil, 1999, trad.it. Auschwitz spiegato a mia figlia, Torino, Einaudi, 1999, p.74) |