Eppure quel terzo elemento che tra la vittima e il carnefice si voleva fosse sparito, il testimone, gradualmente emerge: "La dispersione senza testimoni che "noi" abbiamo caratterizzato come estinzione del terzo, un terzo ha dovuto esprimerla. Che noi sia sparito a Auschwitz, "noi", almeno, l'abbiamo detto. Fra l'universo della frase del deportato e quello della frase dell'SS non c'è passaggio. Ma, per affermarlo, è stato necessario che noi affermassimo un universo e l'altro come se "noi" fossimo di volta in volta l'SS e il deportato. Agendo così, "noi" abbiamo effettuato ciò che "noi" cercavamo, in altre parole un noi" (Lyotard, p.134).
E quel noi, formandosi, ha potuto riconoscere e condannare Eichmann nel film nel momento in cui egli nomina Auschwitz: è lui stesso il testimone a suo carico, che addirittura ha redatto rapporti sull'uso dei gas ed ogni volta che viene proiettata la pellicola si va formando quell'entità "noi", capace di oltrepassare la cortina di equivoci creata sull'obbligo travisato dalla ideologia nazista, fondata sul dissidio ("Un caso di dissidio fra due parti ha luogo quando il "regolamento" del conflitto che le oppone si svolge nell'idioma di una di esse mentre il torto di cui l'altra soffre non si significa in tale idioma" Lyotard, Il dissidio, p.26) e sull'uso distorto e parziale dell'imperativo categorico privato della appendice morale individuale che in Kant guida la massima della volontà nella formulazione dell'imperativo categorico:
"Domanda a te stesso se l'azione, che tu hai in mente, la potresti riguardare come possibile mediante la tua volontà, quando esse dovesse accadere secondo una legge della natura, quando tu stesso fossi una parte". I nazi si sono chiamati fuori dalla natura e nel film riconosciamo questa mostruosità, nel senso etimologico del termine (Essere che si presenta con caratteristiche estranee al consueto ordine naturale, lemma del Vocabolario della Lingua Italiana Treccani)