1. Veniamo a sapere che alcuni esseri umani dotati di linguaggio sono stati posti in una situazione tale che nessuno di loro può riferire ora di quel che essa è stata. La maggior parte sono scomparsi a quel tempo e i sopravvissuti ne parlano raramente. Quando ne parlano, poi, la loro testimonianza verte soltanto su un'infima parte di tale situazione . - Come sapere che questa stessa situazione è esistita? Non potrebbe essere il frutto dell'immaginazione del nostro informatore? O la situazione non è esistita in quanto tale. O è esistita, e allora la testimonianza del nostro informatore è falsa, perché in tal caso dovrebbe essere scomparso o dovrebbe tacere, o, se parla, può testimoniare soltanto dell'esperienza singola che egli ha vissuto, e resta sempre da stabilire che tale situazione era una componente dell'altra di cui ci stiamo occupando. (J.F.Lyotard, Le Différend, Éditions de Minuit, Paris, 1983, trad.it.Il Dissidio, Feltrinelli, Milano, 1985, pag.19) a Alexandre Demoule New york, 26 novembre 1984 Vorrei affrontare il problema del totalitarismo da un punto di vista apparentemente limitato, quello del linguaggio della legittimazione. Credo si tratti di un modo di procedere più radicale di qualsiasi altro, politologico, sociologico o storico, in quanto opera senza ricorrere ad entità acquisite che vengono spesso date per scontate, per esempio il potere, la società, il popolo, la tradizione ecc. Mi sembra inoltre che esso permetta di distinguere varie forme di totalitarismo, le cui differenze di natura vengono spesso mascherate e confuse dall'uso di questo termine,anch'esso un po' totalizzante. (J.F.Lyotard, "Memorandum sulla legittimità" in Le postmoderne expliqué aux enfants, Éditions Galilée, Paris, 1986, trad.it.Il postmoderno spiegato ai bambini, Feltrinelli, Milano, 1987, pag.47) Il totalitarismo consisterebbe nella subordinazione di istituzioni legittimate dall'idea di libertà alla legittimazione ad opera del mito. Avremmo insomma un dispotismo, in senso kantiano, che trae dal repubblicanesimo la sua potenza di universalizzazione. Non più soltanto: Diveniamo ciò che siamo, degli Ariani, mal'umanità tutta sia ariana. Il noi singolare, nominato, proclama a gran voce la sua pretesa di dare il proprio nome al fine perseguito dalla storia umana. É in questo che il totalitarismo è moderno. Esso non ha bisogno soltanto del popolo, ma anche della sua decomposizione in "masse" alla ricerca della propria identità per il tramite dei partiti che la repubblica autorizza. Ha bisogno dell'equivoco della democrazia per rovesciare la repubblica. (J.F.Lyotard, "Memorandum sulla legittimità" in Le postmoderne expliqué aux enfants, Éditions Galilée, Paris, 1986, trad.it.Il postmoderno spiegato ai bambini, Feltrinelli, Milano, 1987, pag.64) A Augustin Nancy Berlino, 5 gennaio 1985 [...] Il discorso speculativo hegeliano, fondato sul principio del "Resultat", della accumulazione dell'esperienza (nell'Enciclopedia), deriva dall'illusione trascendentale denunciata dal criticismo. Trasposto in politica - ma si tratta proprio di una trasposizione? - "esso", scrive Gérard Raulet in Dialettica o decomposizione, Postmodernità o modernità, "realizza il totalitarismo", la presenza dell'idea nell'esperienza. Non penso che la consequenzialità sia rigorosa. Per autorizzare la sua legge, lo stato totalitario, il cui paradigma è dato dal potere nazi, non si propone, come risulta dal fatto che ha bisogno di ristabilire il mito, di portare a compimento un'idea nella realtà, di favorire l'avvento dello spirito come libertà e coscienza di sé; fa piuttosto ricorso ad una legittimità inversa, all'autorità di una radice, di una razza posta all'origine dei tempi occidentali, una razza che potrà risorgere nella sua purezza primordiale una volta che la si sia "semplicemente" sbarazzata dei suoi parassiti. Ecco perché la "legge" del totaliltarismo nazi è una legge di esclusione, di eccezione, di sterminio. Si tratta di restaurare un'identità malata. Ora, non è questo assolutamente il caso della politica hegeliana (sempre che ce ne sia una). Nell'espansionismo nazista si ha ovviamente una propagazione, una propaganda e una guerra che possono far pensare alle battaglie rivoluzionarie per la liberazione dei popoli. E in effetti nel totalitarismo si ha il persistere dell'ideale, pur negato, di universallizzazione dei valori che è un retaggio della modernità: "puro" non sarà solo il mondo germanico ma quello degli uomini in generale. Resta il fatto che Hitler non è Hegel. Hegel è Napoleone, il nuovo mondo riconciliato con l'antico. Con Hitler, il nuovo mondo è rigettato, verworfen, e si ristabilisce quello arcaico. Quanto al terrore, Raulet riprende l'analisi hegeliana della libertà assoluta, che effettivamente è un attacco frontale contro una politica della ragion pura pratica che si potrebbe chiamare, se esistesse, una politica del sublime o attraverso il sublime. Ma l'attacco non mi sembra ben mirato. Ciò che genera il terrore non è, come argomenta Hegel, la criminale impazienza che prova l'estetica universalistica di fronte all'insignificante ostacolo dei dati singoli; è piuttosto l'interminabile sospetto che ogni coscienza può nutrire su tutti gli oggetti, se stessa compresa, il sospetto che persino ciò - atto o giudizio - che sembra avere una portata universale e voler sinceramente legiferare in vista di una comunità di esseri liberi è forse motivato da interessi empirici e da passioni singole. (J.F.Lyotard, "Post scriptum al terrore e al sublime" in Le postmoderne expliqué aux enfants, Éditions Galilée, Paris, 1986, trad.it.Il postmoderno spiegato ai bambini, Feltrinelli, Milano, 1987, pp.79-80)
|