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Festival del cinema africano - Milano, 2005
15 Festival del Cinema Africano

Una poesia chiamata realtà

La 15° edizione del Festival del Cinema Africano, d'Asia e America Latina si apre con la prima nazionale dell'ultima opera di Ousmane.

Moolaadé - Sembene OusmaneE' il padre del cinema africano, Sembene Ousmane, ad aprire questa nuova edizione dell'unico festival libero del cinema. In Italia almeno.

Moolaadé, letteralmente protezione, è quella che quattro bimbe spaventate dall'escissione chiedono alla donna più “emancipata” di un villaggio della profonda africa.

E già nei principali tratti “sociali” che attraversano questa pellicola (35 mm a colori per 117' di luce e paesaggio africano), si individuano “mali” globali: la conservazione di riti; la ricerca di voci esterne di affrancamento; la gerarchia consolidata dalla tirannia.

Consiglierei alle numerose voci intolleranti questa perla di poesia, che l'ottantaduenne Ousmane è riuscito a confezionare per la 15° volta (il 15° film di Ousmane alla 15° edizione del Festival della ditta Speciale-Gallone invita alla cabala!). A quelle voci che continuano ad alzare i toni, sempre più insensatamente, contro il diverso e la diversità, fondamentalmente tutto ciò che non è comprensibile e, quindi, “controllabile”.

Ma cominciamo ad affrontare le prime tre “grida” di Mooladeé. Quelle di più evidente vicinanza nell'insensatezza globale dell'essere umano.

Primadi  tutto i riti. Sicurezze che danno potere all'assemblea maschile e riconoscimento al clan delle anziane donne elette ad infliggere l'escissione alle fanciulle in età di pubertà. Una vera mutilazione, che si attua presso alcune popolazioni mussulmane, dell'Africa e le tribù dell'Amazzonia e che a differenza dell'infibulazione (semplice riduzione…!), prevede l'asportazione della clitoride.

Questo film è girato in Burkina Faso. Sullo sfondo di un villaggio dell'Africa nera di presentano i personaggi: anziane, madri, bambine inseguite nella savana, mariti ed, ovviamente, il capo villaggio, colui a cui nessuno deve opporsi.

Ad una donna, Collè Gallo Ardo Sy, è affidata la resistenza: alle tradizioni, al potere risonosciuto, alla sofferenza. All'insensatezza.

Moolaadé - Sembene OusmaneLa protagonista non ha mai escisso la figliola, ormai in età da marito. La sceneggiatura drammatica e fendente prevede che la piccola sia promessa sposa proprio al successore del capo villaggio, il potere costituito. Il giovane, però, vive in Francia, quindi, al suo rientro per il matrimonio è riverito e servito perché è l'unica voce fuori, ma, soprattutto, perché porta il nuovo nella comunità. E questo è il secondo male denunciato da Ousmane.

Ovviamente il promesso sposo è la luce di chi “ha visto le cose del mondo” e che cerca di “importarle”  con radio e televisioni (che non sapremo mai se potranno funzionare dove non c'è elettricità!), danaro “nuovo”, rispetto dell'umanità. Ma non potrà sposare la piccola non escissa, perché impura. Secondo le tradizioni.

Collè, con le sue “scelte”, da ottimo copione, inconsciamente viene etichettata come la “loca” del villaggio: non solo si è rifiutata di far “tagliare” la figliola, unica ed avuta come seconda moglie di uno degli esponenti più importanti della tribù (che ne ha altre due più tradizionali). Collè diviene addirittura il punto di riferimento di sei giovinette che sfuggono al rituale, violento e pericoloso (viene inflitto con un coltello e spesso genera morte, della giovane o dei figli a venire). Quattro le chiedono il Moolaadeé, la protezione che Collè non può rifiutare. Ma due di queste creature innescano la tragedia: non riescono a raggiungere la sua capanna e scelgono di morire nel pozzo.

E, quindi, è svelato anche il terzo grido di denuncia: morte, tanta morte generata dall'insensatezza. Come se non ci bastasse quella che abbiamo già assicurata!

Le ragioni, infatti, del rifiuto di Collè sono estremamente interiorizzate, quindi, motivate: anch'ella giovinetta fu escissa e fu l'unica del suo gruppo a piangere e, soprattutto, a perdere due figlie prima del parto in età matura.

Naturalmente diviene il punto di riferimento per le piccole che temono la sofferenza e non hanno neppure idea di cosa generano scompigliando le regole non scritte degli anziani.

Collè, le accoglie e tende una corda all'entrata della propria corte: le piccole non potranno superarla per uscirne, una vera e propria protezione, le anziane non potranno varcarla, né per portarle via, né per parlare con Collè e ricondurla alle ragioni della tradizione.

L'eroina nera, però, non è un punto di riferimento solo per le piccole. Lo è anche per le altre due mogli, che in mancanza di coraggio la sostengono di nascosto. Lo è anche per gli uomini “estranei” al villaggio, come la romantica figura del mercenario.

La resistenza di Collè dà una forza nuova alla comunità, ma anche a noi, quelli dell'altro mondo.

Perché è la figura del giusto. Perché è la figura del nuovo. Perché anche sotto l'umiliazione pubblica delle frustate familiari (il marito ne è costretto per essere rispettato dagli altri anziani!), non cede, non cede mai. Per resistere e per far valere le proprie ragioni.

Moolaadeé è un film fortemente africano, rivolto però a tutto il mondo. E' per questo che ha ricevuto nel 2004 il Premio a Cannes della sezione Un certain regard, oltre al miglior film straniero del National Society of Film Critics Award USA ed al premio della giuria di Marrakech, nonché nominato miglior film straniero agli European Awards.

Perché, benché il tema sia molto preciso e, quindi, urli al mondo una denuncia di sopruso ancor diffuso, di tirannia e di ingerenza estera, la pellicola è attraversata da rimandi e paradossi che interessano la nostra quotidianità. Occidentale.

I capi del villaggio, uomini, adducono alle tanto agognate radio (simbolo forte dell'emulazione africana nei confronti dell'Occidente) la colpa della ribellione femminile alle tradizioni (che “toccano” solo loro, però). Le programmazioni che tanto riempivano il villaggio al tramonto cessano e giorno dopo giorno davanti alla moschea si viene a formare una collina di apparecchi radiofonici di ogni epoca. Bisogna bruciare quelle voci che vengono da fuori e che testimoniano nell'etere che l'Immam non avvalla l'escissione. Alle radio ridotte in fumo per chiudere i collegamenti con l'esterno sono legate il rito dell'acquisto delle pile, che generano energia. E' legata la TV che il figlio del capo villaggio porta in tribù per introdurre l'altro mondo. E' legata al mercenario che spaccia simboli dell'altro mondo.

E' legata, soprattutto, la tradizione orale del griot, sempre presente nel cinema di Ousmane e di tutti gli africani come voce narrante. Un griot che “deve” da sempre essere uomo e che nel momento tragico della ribellione femminile, segnato dalla morte di una delle quattro bimbe rapite ed escisse durante la fustigazione pubblica di Collè, prende rivoluzionariamente la voce di una donna. Non una qualsiasi: proprio la moglie del griot.

Moolaadé - Sembene Ousmane

Un'altra grande prova che il cinema Africano è l'unico che può far rivivere la creatività mondiale grazie anche ad una storia così “africana” e tanto universale. Perché l'insensatezza umana ha basi profonde in ogni essere umano. In ogni angolo del nostro globo terracqueo.

Ed il paradossale falò dei mezzi di comunicazione, che obietteremo in questa situazione ed auspicheremmo nel nostro mondo evoluto, ci lascia una forte riflessione: quanto vale urlare insensatezze, soprusi, indegne tradizioni, quando anche nel mondo civile l'unica forma di dialogo è l'oppressione, generata dall'intolleranza?