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I film

Impossibile non aprire questa sezione parlando dell'atto conclusivo dell'opera mastodontica di Peter Jackson tratta da Il signore degli anelli di JRR Tolkien. Impossibile, anche se - va detto - fosse stato per l'organizzazione del FFF sarebbe stato necessario.
Partito in sordina con La compagnia dell'anello due anni esatti fa, proposto in anteprima stampa alle 10 di mattina alla presenza di un numero tutto sommato neanche troppo elevato di accreditati, al quale numero si potè mischiare infatti anche diversa gente priva dell'accredito stampa, e riprogrammato almeno altre due volte per il pubblico normale, continuato un anno fa con Le due torri presentato una sera prima dell'apertura del Festival solo per una lista non si sa bene come e dove creata di invitati alla quale riuscii ad aggiungermi in modo piuttosto fortunoso all'ultimo momento, ma comunque riproposto la sera successiva per tutti gli accreditati, il progetto Peter Jackson/FFF trova in questa edizione il suo naturale sbocco in una proiezione a Festival praticamente terminato ed esclusivamente su invito. Non ci è piaciuta questa scelta, anche se ci piace sperare sia stata imposta dalla Medusa tanto quanto l'eliminazione della maratona che poi è stata proposta (meglio: venduta) dalla Medusa stessa nelle sue sale il giorno prima dell'uscita ufficiale del film. Non ci è piaciuta, non ci è sembrata degna di un festival che si è sempre contraddistinto per non dar corso a queste manifestazioni di snobismo elitario, e ci è parso preferibile aspettare l'uscita nelle sale per veder calare il sole sulla Terra di Mezzo. Tanto comunque, qui come lì, la lingua parlata nel film era l'italiano...

Ma come tramonta il sole, sulla Terra di Mezzo?
Nel modo malinconico, meditato e sofferto di Tolkien? Sì, in fondo sì. Deve essere costato molto, a Jackson, aprire e chiudere il film con due autentici anti-climax: da una parte, il flashback su Smeagol che si trasforma in Gollum. Lungo, dettagliato, bello ancorché forse più adatto a trovar posto ne Le due Torri, quando il personaggio diviene parte attiva della storia. Dall'altra, l'addio dell'ultimo portatore dell'anello alla Contea, Frodo. Un addio triste, sofferto e necessario. Il ritorno del re si apre dunque con il primo portatore dell'anello dopo la caduta di Isildur, e si chiude con l'ultimo portatore dell'anello prima della distruzione dello stesso nel Monte Fato. E sancisce una volta di più, se ancora fosse necessario, come l'opera di Peter Jackson sia null'altro che la storia dell'unico anello. Lui l'unico protagonista, lui il filo rosso che lega gli avvenimenti, lui l'unico altare al quale sacrificare Tom Bombadil, Saruman, la bella storia d'amore tra Eowyn e Faramir, e tant'altro. Lui l'unico signore e padrone di tutti gli anni di lavoro e di riprese e di montaggio in Nuova Zelanda e non solo.

Il ritorno del re è anche un degno terzo film, se proprio vogliamo usare il termine "trilogia" per qualcosa che in fondo non e' mai stata tale (si sa bene, infatti, che la suddivisione in tre volumi fu imposta a Tolkien, non certo da lui creata), perché unisce l'atmosfera del primo, legato alla presentazione ed evoluzione dei personaggi e quindi più intimista, all'ephos del secondo, dominato dalle scene di massa e dagli scontri in campo aperto tra numerosi eserciti. E' pieno di momenti luminosi, come il primo, e di momenti cupi e claustrofobici, come il secondo. Ci si commuove spesso come nel primo (difficile rimanere impassibili di fronte a Merry che corre sul torrione per veder partire Pipino, sentendo in cuor suo che potrebbe non rivederlo mai più, o di fronte ad una fiera ed indomita Eowyn che spezza la spada nel corpo senza sostanza del re dei Nazgul), ci si esalta spesso come nel secondo, e di più del secondo, che come giustamente ebbe a dire Gandalf nel finale de Le due Torri, "la battaglia per il fosso di Helm è finita, la guerra per la Terra di Mezzo sta per iniziare".
Eppure... eppure siam qui che, non paghi, aspettiamo la "trilogia alternativa" di Peter Jackson. Quella nata per l'home video e che invece ha visto anche le sale, quest'anno. Quella completa, quella dove finalmente vedremo Eowyn guarire per il tocco magico di Aragorn e innamorarsi di Faramir principe dell'Ithlien, quella dove abbiamo visto cosa è davvero la Contea e che rapporto c'era tra Boromir e Faramir, quella dove sentiremo (forse) Merry cavaliere di Rohan suonare il corno regalatogli da Eowyn.

Con l'opera di Peter Jackson è forse cambiato il nostro modo di percepire il cinema, perché mai come stavolta sono esistite, ed esisteranno, più versioni dello stesso film, più parti dello stesso film oserei dire (perché è difficile, ora che siam giunti alla fine, non pensare a Il signore degli anelli di Peter Jackson come ad un unico monumentale film di oltre 12 ore), e tutte approvate e volute dall'autore.
Non poteva scegliersi un padrino migliore questo Festival delle nuove tecnologie: Il signore degli anelli di Peter Jackson è un trionfo di uso della computer grafica al servizio della storia, delle storie. Personaggi che solo la fantasia di un geniaccio come Tolkien poteva partorire (come Shelob) e che solo un intelligente uso del computer poteva ricreare.
Ma poteva - e doveva - chiudere certamente in modo più degno e rispettoso del suo pubblico, come invece è riuscito Jackson. Peccato.

Resurrection of the Little Match Girl, di Jang Sun-Woo

Se la piccola fiammiferaia vivesse ai giorni nostri forse venderebbe (o cercherebbe di vendere) accendini e magari rappresenterebbe il personaggio di un videogame da bar a più livelli.
Questa la premessa del primo, vivacissimo film in cui ci imbattiamo nei giorni del FFF. A ulteriore conferma di quanto sia attivo, spudorato e capace di fagocitare ogni cosa, il cinema coreano sforna un piccolo gioiellino a metà tra l'animazione e la virtual reality, tra il gioco di ruolo e la favola moderna, tra il cyber-punk e melodramma d'altri tempi.
Giova segnalare che il videogioco protagonista del film è completamente inventato ed adattato quindi alle esigenze narrative del film stesso, non viceversa come del caso dei vari Final Fantasy, Resident Evil o Tomb Rider. Scopo del gioco è proteggere la fiammiferaia, dagli altri nel primo livello, da sé stessa nel secondo (quando in preda al dolore per la morte di uno dei personaggi del gioco si trasforma in una spietata assassina), dai creatori del gioco che vogliono riprogrammarla nel terzo. Il nostro giocatore tipo, il nostro avatar nel film può riuscire ad entrare nel sistema solo grazie ad amore, fantasia, capacità di ridere e divertirsi. In fondo, alla fin fine, ci si poggia su valori vecchi come il mondo... reale.

Tokyo Godfathers, di Kon Satoshi

Altra bellissima favola questo film d'animazione del realizzatore di Perfect Blue. Ambientato nei bassifondi di Tokyo nel periodo di Natale, Tokyo Godfathers è la storia di tre senzatetto alla ricerca dei genitori di una trovatella apparentemente abbandonata in realtà rapita. Il loro viaggio da reale si trasformerà presto in metaforico, iniziatico, alla ricerca soprattutto di sé stessi e dei loro rapporti con gli altri. L'animazione, splendida, accoppiata alle musiche suggestive dello stesso Keiichi che ha realizzato la colonna sonora di Zatoichi di Takeshi Kitano, risulta facilmente il mezzo espressivo migliore per questo film che accoppia i buoni sentimenti alla critica sociale, lo spirito natalizio alla ferocia del consumismo. Davvero la sorpresa più bella di questo festival, a riprova che il cinema di animazione giapponese non è solo robot ipersviluppati o sparatorie senza fine.

My life as McDull, di Toe Yuen

nella migliore tradizione antropomorfa di casa Disney, una delle tante fonti di ispirazione di questo delicatissimo film d'animazione hongkonghiano, il protagonista è un giovane porcellino senza troppe qualità, alla Musil, ma con tanto buon cuore, tutto teso a far sì che la sua mamma sia fiera e orgogliosa di lui. Il regista non si fa scrupolo di mischiare, sovente, tecniche narrative assai diverse tra di loro, spesso al fine di meglio portare avanti il racconto. I personaggi dal tratto tradizionale, bidimensionali, si muovono perciò spesso su uno sfondo animato al computer in tridimensionale, creando un effetto di straniamento molto forte. Difficile non affezionarsi a questo porcellino, ai suoi amici (anche qui rappresentati dagli animali più diversi), al suo colorato mondo. Il film, pur rischiando di cadere spesso nel melodramma, riesce a tenersi sempre su un livello molto frizzante e spensierato, grazie a dialoghi brillanti e mai banali.

 

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