NearDark - Database di recensioni

NearDark - Database di recensioni

Africa

Godard Tracker


Tutte le
Rubriche

Chi siamo


NearDark
database di recensioni
Parole chiave:

Per ricercare nel database di NearDark, scrivete nel campo qui sopra una stringa di un titolo, di un autore, un paese di provenienza (in italiano; Gran Bretagna = UK, Stati Uniti = USA), un anno di produzione e premete il pulsante di invio.
È possibile accedere direttamente agli articoli più recenti, alle recensioni ipertestuali e alle schede sugli autori, per il momento escluse dal database. Per gli utenti Macintosh, è possibile anche scaricare un plug-in per Sherlock.
Visitate anche la sezione dedicata all'Africa!


Garage Olimpo
Anno: 1999
Regista: Marco Bechis;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Argentina; Francia; Italia;
Data inserimento nel database: 04-02-2000


Garage Olimpo

GARAGE OLIMPO

Regia: Marco Bechis
Sceneggiatura: Marco Bechis e Lara Fremder
Fotografia: Ramiro Civita
Montaggio: Jacopo Quadri
Scenografia: Ramulo Abad
Musica: Jacques Lederlin
Produzione: Classic Srl., Paradis Films, Nisarga, RAI, TELE+
Provenienza: Argentina-Italia
Anno: 1999
Distribzione: Istituto Luce


CAST


Antonella Costa--------- Maria
Carlos Echevarria ---- Felix
Flavio Insinna---------- Flavio
Pablo RAzuk -------------- Texas
Enrique Piñeyro -------- Tigre
Marcelo Chaparro -------- Turco
Adrian Fondari -------- Rubio
Miguel Oliveira -------- Nene
Dominique Sanda -------- Diane
Chiara Caselli -------- Ana
Paola Bechis -------- Gloria


Ricorda vagamente La notte delle matite spezzate, ma il lavoro di Bechis sembra più rigoroso.
Forse perché fu lui stesso un desaparecido a 22 anni, quando frequentava l'università di Buenos Aires: infatti si coglie un'attenzione particolare alla coralità dolente della città (sennò le riprese dall'alto sull'Obelisco di Avenida Corrientes sarebbero solo stucchevoli – come forse in Wong Kar Wai – , invece comunicano angoscia e insanabile, attonito dolore, come solo la patria del tango può suggerire) e la partecipazione emotiva del regista è testimoniata dalla sua presenza nella prima inquadratura del film: sull’autobus dove avviene lo scambio di borse con la bomba, lui sonnecchia, ma probabilmente non gli sfuggono i maneggi.

Qui meno che in La Noche de los Lapiches si segue una storia che finisce con il confluire su quel prologo riproposto per dare la percezione a ciascun spettatore di misurare quanto alla fine è mutata dall'esordio la sua considerazione della figura di Ana (Chiara Caselli), terrorista che colloca la bomba nell’appartamento della sua amica per colpire un esponente dello Stato si direbbe prima di assistere a cosa avviene alle dipendenze di "Tigre", l’obiettivo dell’ordigno; ma, quando abbiamo assistito agli ordini impartiti dalla belva a cui è destinata la carica di esplosivo, Ana diventa una figura gigantesca di resistente, paladina di "giustizia e libertà" e noi stessi, nel cinema, trepidiamo sotto il divano tifando per un solo desiderio: che quel mostro salti finalmente più in alto di Carrero Blanco. Allora la scelta di occuparsi in particolare del travaglio di una giovane assume un significato preciso, perché la sofferenza della maestrina diventa simbolica e gradualmente si confonde con le migliaia di compagni sequestrati e torturati, mentre gli amori del gruppo di studenti nel film di Hector Olivera creavano una maggiore affabulazione, che distraeva dall'oppressione psicologica della reclusione; là c'era il gruppo che comunicava come poteva, qui c'è la solitudine di fronte allo strapotere del sopruso ("Non puoi morire quando ti pare. Qui dentro noi siamo dio" dicono gli aguzzini fascisti, machos galvanizzati dallo strapotere che assaporano gustando la paura eccitati dagli afrori delle vittime), la resa di fronte all’abuso, l’annichilimento ed infine la scomparsa con la negazione dell’esistenza, come nel lager di Eichmann e anche peggio, perché i lanci dei desaparecidos dagli aerei erano effettuati ai danni di persone ancora vive, nei forni infilavano cadaveri.

È un cazzotto nello stomaco e chi conosce il libro di Carlotto su las abuelas che accompagna la ricerca casuale della sua cugina argentina, comprende ancora meglio le allusioni esplicitate; questo bisticcio ossimorico mira a cogliere la prassi del film: mostrare senza falsi pudori, eppure evocando un orrore ancora più vasto, in cui trovano posto le denunce di Ebe Bonafini, lo sconcio della curia di Pio Laghi, il tenente Astiz e le innumerevoli testimonianze e reticenze dei seviziati stessi. C’è tutto questo nella pellicola, ma non un nome dei potenti macellai emerge (però il prete in confessione chiede i nomi a las madres angosciate e gli infiltrati sono subdoli e caini come Astiz, il potentato a cui si rivolge Sanda gioca a golf come nell'iconografia della vulgata sui militari al potere), particolarismi che non si riscontrano nemmeno nella descrizione del ruolo della madre (francese come la genitrice di Bechis, italo-cileno), a cui il volto di Dominique Sanda ancora enigmatico come in Une Femme douce conferisce sofferenza, stupore, spaesamento, incapacità di credere agli eventi che avvengono al di là di quel muro anonimo, invisibile: la sua inadeguatezza la rende vulnerabile al punto di essere eliminata anche lei senza che nulla e nessuno potesse o volesse intervenire nella tragedia collettiva e corale. È lo stesso garage ad essere trasparente alla parte di mondo che vive ancora nel sole: la grande bravura di Bechis è quella di renderlo repellente dall’esterno e allucinante all’interno: sempre comunque talmente sovraesposto da risultare impercettibile fino in fondo. Tanto il garage è incredibile da non venire rilevato dall’esterno (splendida la scheggia di montaggio che fa uscire da un tombino la musica che copre le urla – non ne sentiamo nessuna lungo tutto il film – mentre un passante, ignaro, la sente senza percepirla; invece noi ci rendiamo conto di quale luogo avvilente fosse stato scelto per cancellare esistenze, nascoste sotto il marciapiede. Già sotterrate, ancora vive), quanto insopportabile è la tortura da diventare lavoro in catena quotidiano, prassi, che nelle pause permette persino di ricostruire una parvenza di famiglia costruita sulla sudditanza dentro una cella minuscola.

Il classico rapporto vittima-carnefice è tratteggiato benissimo, senza fronzoli: come già in Alambrado non ci sono orpelli inutili. Bechis era presente al Torino Film Festival 1999 e ha presentato un making molto particolare di Garage Olimpo. È un quarantacinquenne, serissimo, con uno sguardo che custodisce in fondo una qualche pena inesprimibile a parole e le immagini del film si avvicinano soltanto all'angustia che si indovina in quegli occhi ("Non si può fingere con gli occhi, perciò cercano sempre il tuo sguardo per vedere se menti", dice Felix, il carnefice, parlando dei suoi camerati). É rigoroso, colto eppure umile, con esperienze che lo rendono eccezionale, ma disponibile: dopo il making ha risposto alle più disparate domande come se fossero arguzie inarrivabili. Senza una parola di troppo, come il suo film, che si lascia andare solo qualche volta all'emotività rabbiosa mediata dalla ragione, che ammanta tutto di metafore, come i polli allo spiedo, su cui si attarda l'inquadratura con l'intenzione di suggerire paragoni con i seviziati dalle scariche di corrente ("Se bevi ora finisci fritta come un pollo").

L'Argentina è un Paese ancora convalescente, se ne ha chiara percezione attraverso i personaggi che si incrociano per le strade, impegnati a sopravvivere alla dollarizzazione, e si coglie nelle riprese della città; il tunnel esiste ancora e sulla fioca luce in fondo ad esso c'è la splendida sequenza durante la quale il fiotto di luce che acceca (di nuovo l’impossibilità di vedere, la scomparsa della realtà) prorompe nel garage e attira la ragazza, facendola correre verso l’uscita, ma quasi che l'inondazione di luce la ributti indietro viene ripescata, risucchiata nel gorgo dell'oscurità.

Il fatto che la ricerca del regista si diriga verso una complicità con lo spettatore, dimostrata da tutti i dettagli sparpagliati nel film, conferma l’intento sanamente divulgativo, evidente nella ripresa dell'azione rivoluzionaria portata a termine con successo contro l'esponente assassino del regime di Videla, che salta catarticamente in aria.