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Mango Soufflé
Anno: 2002
Regista: Mahesh Dattani;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: India;
Data inserimento nel database: 21-04-2003


Mango Souffle

Mahesh Dattani

Mango Soufflé

Visto all'18° festival internazionale di film con tematiche omosessuali - Torino




 



Regia:  Maesh Dattani
Sceneggiatura:  Maesh Dattani
Fotografia:  Sunny Joseph
Montaqgio:  Deepan
Musica:  Amit Heri
Scenografia:  Seemah Shah

CAST

Atul Kulkarni, Rinkie Khanna, Amkur Vikal, Heeba Shah.

Produzione: Sanjeev Shah per Lotus Piktures, 27, 32nd Cross, 7th Block 560082 Jayanagar, Bangalore - India tel. 91 655 5157; fax 91 655 5156
[email protected]
Durata: 84'
Anno: 2002
Nazione: India

 -

 


Divertente - ma non troppo - opera militante, che denota quello stesso tentativo di proporre modelli di vita più tolleranti a una società indiana evidente rcalcitrante e in evoluzione, quelle stesse sollecitazioni che trasparivano in Lagaan per quel che riguardava l'accettazione degli intoccabili si possono ritrovare qui nella - peraltro recitata benissimo - tirata sull'essere "uomini veri" (real man), esilarante nell'interpretazione di Sharad, che mira a mettere in ridicolo il machismo pseudo-etero e condannare l'omofobia ipocrita delle apparenze.
L'attore in un piano sequenza teatrale infila tutti i luoghi comuni dell'intolleranza omofoba, quella più ipocrita, che preferisce nascondere le pulsioni omosessuali, negare le proprie tendenze, isolare coloro che le dichiarano e lo fa attraverso cambi di voce, elencando atteggiamenti e ruoli, assumendoli e interpretandoli, e cosÏ facendo adotta tutti i registri: dalla checca al macho texano redneck, un esempio dello scempio che avrebbe potuto fare un doppiaggio qualsiasi che sicuramente non avrebbe potuto accompagnare quelle mosse, cadenzando i tempi alla perfezione nell'alternanza di stereotipo etero e movenze omo con squittii gai e sciovinismi baritonali.

A gambe larghe, evita sempre di accavallare e avrai onori e lavoro

Non manca la sequenza madre finale in cui il reprobo viene umiliato come Der Letzte Mann, sbugiardato pubblicamente nella commedia per "equivoci" che lo pone di fronte al muro ancora eretto dalla società che celebra i soliti matrimoni: uno si sta giustappunto svolgendo a fianco della fattoria che dà il nome al titolo, così simile a quello descritto da Mira Nair in Moonson wedding; e lÏ egli non riesce a sostenere la condanna della società cosidetta civile, una volta che è divenuta di domino pubblico "quella" foto, già sfruttata per inscenare siparietti comici utili per rendere popolare la pellicola e in quel modo diffondere il messaggio di accettazione. Infatti è sottolineato più volte il fatto che non si attribuisce importanza al palesamento della propria omosessualità, quanto alla diffusione presso gli ambienti conosciuti.
Infatti quei quadri espressionisti che compongono la sua caduta dalla moto, indotta dalla sua immaginazione ossessionata dal perbenismo ipocrita, adottano lo stile espressionista non casualmente, ma esemplificando con esso - semplificando e riducendo al grado zero espressionista - la condizione di confusione, rifiuto, isolamento, del reietto: non accettato più dal consesso etero e imperdonabile da quello omo, dopo i suoi ripetuti rinnegamenti. Infatti a questo proposito gli viene contrapposta l'altra figura di presunto eterosessuale, che di fronte agli sviluppi del pomeriggio, decide di dichiararsi omosessuale, pentendosi di aver sempre rifiutato di lasciar emergere la sua natura per il successo televisivo.



Per la coscienza omosessuale e le campagne minimali del movimento è un testo importante perché rivendica e stigmatizza, dimostra le ragioni in un plot costruito appositamente per evidenziare tutte le vessazioni e soprattuto le autocensure del mondo gay, ma lo fa prestando attenzione al linguaggio, a metà tra il didascalico e il divertente, affidando questa componente all'esasperazione delle caratteristiche dei singoli, fino a fare sfociare quelle loro caratterizzazioni proprio nei fervorini.
Il risultato è un lavoro efficace e solo in certi momenti sfilacciato (la rincorsa della foto galeotta scivola verso la commedia sgangherata, forse volutamente, ma per il gusto occidentale ridicola), in questo senso davvero ascrivibile all'universo neorealista.

Godibili anche gli inserti, come il lungo primo incontro tra Kamlesh, il ricco designer protagonista, e Ed, aspirante suicida salvato da lui e poi traditore: un lungo dialogo giocato su tre inquadrature della panchina.
Di nuovo il regista gioca la carta dell'emozione e degli sguardi, la naturalezza nel raccontare quella storia di tristezza e pulsione suicida è evidentemente rivolta a recuperare quell'intensità ottenuta dall'inquadratura stretta nel momento in cui il salvato Ed rinnegherà nelal scena madre, potenziando l'indignazione del pubblico, che pare di vederlo partecipe.

Un elemento che lascia perplessi - soprattutto dopo la dichiarazione del regista che si rifa all'insegnamento di Ray, che egli riconduce al neorealismo italiano - è il fatto che il cinema indiano proponga solo modelli alto-borghesi, probabilmente perché chi ha disponibilità per occuparsi di cinema non ha contatti con classi inferiori e comunque l'obiettivo di Bollywood è edificante, anche se parzialmente militante, e quindi non può occuparsi o proporre situazioni di disagio, dunque si assiste a enormi ville immerse in parchi sontuosi e servitù.
Questo però permette di mostrare uno spaccato che conferma le ambientazioni di tanti film indiani, che mostrano case spaziose e coloratissime, ma soprattutto una percezione dello spazio dell'inquadratura che rifiuta i campi medi privilegiando lo sguardo d'insieme, alternando a strette chiusure su singoli incorniciati in settori della casa che conferiscono significato al personaggio.

Splendidi e kitsch gli interni, curati nei dettagli epperò debitori un gusto distante da quello europeo dominante, eleganti per certi parametri diversi da quelli di certo colonialismo culturale occidentale sarebbero un ottimo punto di riferimento per comprendere una società troppo spesso categorizzata tra l'esotico, mentre in questo film è fotografata esattamente nel guado tra un'autonomia culturale e il condizionamento che finisce con il coinvolgere anche l'atteggiamento nei confronti dell'omosessualità