a.Dissidi iniziali
Sicuro di sé, "Jawohl" e "Spiacevole, ma non per mia colpa": lui era solo uno specialista del settore dell'emigrazione e svolgeva il suo compito con dedizione. Recita una miriade di particolari, spiegazioni puramente amministrative della soluzione finale, valanghe di scartafacci protocollati dal suo ufficio, che sono per lui elementi probatori del suo zelo, mentre per noi, e per la nostra etica fondata sulla responsabilità suonano come vuote burocrazie che lo condannano ancora di più: il giudice chiede spazientito la sostanza, ma questa non arriverà mai. Non può venire: è stata svuotata dall'obbedienza implacabile e ottusa ("Ma lei è un imbecille?!" sbotta d'un tratto un magistrato a sentirlo esaltare il suo giuramento che lo assolverebbe) di un uomo banalmente ordinario, che impersona l'orrore; a maggior ragione condannabile, perché attraverso di lui si colpiscono tutti gli ignavi attivi che ciascuno al proprio livello permisero accadesse e consentono la perpetuazione di nuovi genocidi.

Non solo: il sistema dello sterminio dei campi con la sua assenza di logica, che toglieva la vita senza in cambio dare nulla, perché non era reazione ad un gesto ideale, non prescriveva la morte in alternativa all'effettuazione di un'Idea, rende ancora più turpe e disumano il sistema che Eichmann vorrebbe invocare a sua discolpa.

Perché proprio il fatto che la morte non proveniva da un decreto o da un atto di volontà del carnefice, contemporaneamente toglieva eroismo alla morte della vittima, privandolo della "bella morte" della tradizione ateniese, che scambiava l'escaton contro il telos, proprio quel chiamarsi fuori dalla responsabilità del nazista nega all'ebreo l'essere per la morte heideggeriano, annullandolo ancora oltre allo stato di inesistenza a cui era relegato dal numero di matricola:

"Ciò che ordina la morte è esentato dall'obbligo, e ciò che la subisce è esentato dalla legittimazione.

L'autorità dell'SS è tratta da un noi dal quale il deportato è escluso una volta per tutte, la razza, che non dà soltanto il diritto di comandare, ma anche quello di vivere, in altre parole di portarsi sulle diverse istanze degli universi di frase. Il deportato, secondo questa autorità, non può essere il destinatario di un ordine di morire, perché sarebbe necessario che egli fosse capace di dare la vita per effettuarlo.

Ora, il deportato non può dare una vita che non ha il diritto di avere. Il sacrificio non è fatto per lui, come l'accesso a un nome collettivo immortale. La sua morte è legittima perché la sua vita è illegittima. Occorre uccidere il nome individuale (ecco la ragione del numero di matricola), insieme al collettivo (ebreo), in modo che non rimanga alcun portatore di questo nome capace di riprendere su di sé e eternare la morte del deportato Occorre quindi uccidere questa morte, ed è questo che è peggiore della morte. Perché se la morte può essere annientata, è perché non c'è niente da far morire. Neanche il nome dell'ebreo.
L'SS non ha da legittimare di fronte al deportato la sentenza di morte che gli significa. Il deportato non ha da sentirsi obbligato da questa sentenza." (Jean François Lyotard, Le différend, Les Éditions de Minuit, Paris, 1983, trad.it. Il Dissidio, Feltrinelli, Milano 1985, p.131) [Ed infatti complice di questo delitto efferato è allo stesso modo il medico bastardo interpellato nel film di Spielberg, che si appella alla facoltà di non ricordare la sorella della sopravvissuta, perché per lui non esisteva che sotto forma di numero.]

E questo spiega la mancanza di resistenza delle vittime: facevano parte di universi che nulla avevano in comune, nemmeno il momento della morte delle vittime (il gas li divideva) e per fare resistenza si deve insistere almeno su uno stesso piano, vivere uno stesso mondo, condividere alcune regole. Dunque Eichmann stesso fornisce la motivazione per la sua esecuzione: con il suo appellarsi al fatto che aderiva ad un obbligo estraneo all'etica mondiale, si poneva nel ruolo di chi doveva essere privato della vita per restituire esistenza ai milioni di morti altrimenti destinati a peregrinare senza volto in eterno: un atto che ci riporta alle prassi dell'antichità, di pietas volta a recuperare le radici della convivenza umana nell'Ur della civiltà.
Nous nous sommes évidemment posé la question du mensonge d'Eichmann, et nous l'avons résolue dans une espèce de pari pascalien. Supposons qu'Eichmann dise la vérité. Supposons qu'il n'ait fait que ce qu'il dit avoir fait (et là-dessus, on a beaucoup d'éléments d'information)… Eh bien pour nous, même s'il a fait plus, ce rôle de bureaucrate obéissant suffit à le condamner.