Dunque il cinema come successioni di immagini non ci può essere di ausilio nel dirimere la questione, anche solo a prospettarla nella giusta proporzione. In questo la sintonia con Spielberg è totale, ma solo in questo come si evince ponendo le questioni sollevate da Alessandro Portelli a confronto con i risultati di entrambi i film.
Il valore aggiunto del cinema proviene da interventi formali pertinenti al suo linguaggio: il colore che rivela Eichmann, restituzione della pietas indotta dal cappotto rosso di Schindler's List: qui il colore completa il ritratto di un uomo grigio, vacuo, inutile, anzi dannoso; eppure vittima quanto carnefice.
Portelli esordisce nell’analisi del film di Spielberg-Moll appuntando l’attenzione sul ritorno didattico: "Spesso per spettatori non preavvisati, "un film vero e proprio" significa fiction e intrattenimento e Gli ultimi giorni, cercando di funzionare sia sul piano documentario che su quello della fruibilità, rischia di alimentare e pagare l’equivoco" (Per la memoria di chi? il manifesto, 2 novembre 1999)
Tradendo la definizione di fiction data da Franco La Polla per Duel ("Big Bang: la fine o l'inizio del mondo?", Duel, n°76, dic.1999/genn.2000, p.11): "attenta osservazione del mutamento in atto in termini di narrazione.[...] La rivelazione è comprensione del mutamento in atto e l'Apocalisse, come si diceva, è la percezione della fine del vecchio ordine, della lenta rivoluzione che trasforma non tanto il nostro mondo quanto il pensiero su di esso."
Questa comprensione si manifesta: sia nella ricerca a sessant'anni di distanza di quale sia il codice più opportuno; sia nella razionalizzazione di quello che capitò, allestendo il giusto apparato ermeneutico; sia nell'individuazione di quali valori siano ancora tramandabili.
Un atteggiamento che sembra attagliarsi perfettamente a questo periodo di revisione non sempre attenta e precisa di eventi storici appartenenti ad altre emozioni e mai contestualizzate opportunamente.