Noi seguiamo i suoi itinerari ciechi attraverso la loro traduzione cromatica: la festa di colori trova una funzione precipua nel rendere partecipi gli spettatori di un disagio che sorge nella contemplazione del bello sonoro nel momento in cui si avverte la potenziale apertura a nuove, sfuggenti e sublimi esperienze estetiche, che rappresentano sia la sperduta condizione umana, sia i rari momenti di esperienza del sublime: in questo senso kantiano è un film mutietnico, che fa uso della tradizione persiana e della cultura occidentale, della lirica mediorientale e della musica universale.
Qui trova spazio la preghiera per l'ape, che è elemento scatenante: disturbatore, ma anche motore iniziale della ricerca del "bello", anche affrontato accettando di perdersi: la scommessa si pone con i termini di un novello Ulisse cieco che si toglie i batuffoli di cotone (proletticamente introdotti dal campo, in omaggio all'alternanza di campi lunghi e dettagli strettissimi: costante dialettica tra infinitamente piccolo e grande) per ascoltare il canto delle sirene, evocato da una bolla di sfocatura nell'intenso rosso del bus.
La preghiera ha un senso dato dal fatto che Korschid si identifica con l'ape, che ha un suono sgraziato "perché non si posa sui fiori buoni, così non fa un buon miele e quindi le altre api la cacciano dal lavoro", dunque il suo è un compito affidatogli dalla comunità. Tant'è vero che attraverso il gruppo dei calderai troverà il modo di riconoscere l'attimo significativo in mezzo alla teoria di suoni offerti dallo stuolo di giovani schierati nella piazza a suonare: il direttore d'orchestra
, amalgamando quella babele di suoni, gli svelerà il metodo.