La ragazzina è musa e accompagnatrice; viene adottata anche lei dal musico. Da quel momento in poi le riprese si fanno più strette come se nell'infinitesimo dettaglio visivo (equivalente al ronzio dell'ape) si dovesse celare lo spunto per arrivare a sistematizzare il proprio mondo intimo, che comprende immagini variamente dimensionate senza legami con la prospettiva di un presunto reale da formalizzare, ma selezionando immagini-studium tali da condurre il ragazzo all'immagine-punctum che lo sta inseguendo e lo folgorerà alla fine.

E allora i dettagli di animali si alternano a particolari di gambe e ai deliziosi primi piani sull'intenso volto della ragazza; si possono rimarcare due diversi valori dei primissimi piani: quelli iniziali sul bambino che passa in rassegna gli oggetti del mondo proposti diversamente da ciascuno dei "creatori", dove privilegiata diventa la parola sul tatto, un approccio valido anche per l'episodio delle due ragazze in bus, diversi invece quelli della danza di accordatura o successivi all'immagine centrale del liuto suonato dalla pioggia, tanto che il quadro successivo vede Korschid immerso in una sorta di battesimo con lo strumento galleggiante di fronte a lui, oggetto divenuto misterioso, perché si è azzerato il suo vecchio modo di percepire il mondo: un'inquadratura che fa da levatrice alle immagini successive: a partire dall'acqua (quando sul bus si tura le orecchie, sente il rumore di liquidi che sciabordano) è come se mettesse in atto un chiaro progetto sonoro (che filtra tra le dita strette a inutile difesa dell'udito). Infatti parallelamente si assiste all'intero processo di fabbricazione degli strumenti, come ad insistere sul bisogno di recuperare la creazione e la creatività sotto altre forge da quelle fin qui consolidate e quindi i primi piani selezionati in questo caso diventano immagine affezione nel senso deleuziano: segnale di un mondo da rivelare.




Nell'arte selezionaiamo un certo evento in mezzo a tutti quelli che ci accadono. La nostra scelta equivale a selezionare e tagliare via una fetta di realtà. Di un prisma intero, noi scegliamo un angolo e da quella angolazione osserviamo quei fenomeni che si adattano alle nostre capacità di capire e che sono in sintonia col nostro mondo interiore.

(M.Makhmalbaf, Lindau, 1996, p.76)

È studium, che non significa, per lo meno come prima accezione, «lo studio», bensì l'applicazione a una cosa, il gusto per qualcuno, una sorta d'interessamento, sollecito, certo, ma senza particolare intensità. È attraverso lo studium che io m'interesso a molte fotografie, sia che le recepisca come testimonianze politiche, sia che le gusti come buoni quadri storici; infatti, è culturalmente (questa connotazione è presente nello studium) che io partecipo alle figure, alle espressioni, ai gesti, allo scenario, alle azioni.
Il secondo elemento viene a infrangere (o a scandire) lo studium. Questa volta, non sono io che vado in cerca di lui (dato che investo della mia superiore coscienza il campo dello studium), ma è lui che, partendo dalla scena, come una freccia, mi trafigge. In latin, per designare questa ferita, questa puntura, questo segno provocato da uno strumento aguzzo, esiste una parola; (...) quei segni, quelle ferite sono effettivamente dei punti. Chiamerò quindi questo secondo elemento che viene a disturbare lo studium, punctum; infatti punctum è anche: puntura, piccolo buco, macchiolina, piccolo taglio - e anche impresa aleatoria. Il punctum di una fotografia è quella fatalità che, in essa, mi punge (ma anche mi ferisce, mi ghermisce)

(R. Barthes, La camera chiara, Einaudi, 1980, p.27)


Dio non è più indispensabile

Ricreazione di un mondo


Divincolarsi da ogni legame


Eventi traumatici