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Festival Internazionale di Film con Tematiche Omosessuali
Da Sodoma a Hollywood

Torino, 22-29 aprile 2004

Sentenciado sin juicioLampisterie sinaptiche
Parte 01

Documentare con juicio...
e senza veli

Dalla visione dei pochi documentari che siamo riusciti a vedere al 19° Festival internazionale di film con tematiche omosessuali di Torino, sottraendo tempo agli impegni che in questo scorcio di epoca al tempo del colera sono tali da ridurre la disponibilità quasi a zero, è derivato solo il rimpianto di non averne potuti visionare altri: la rassegna è sempre più curata da Minerba e dal suo staff, molto professionale nella selezione, e la sezione dedicata al cinema arabo si è rivelata di altissimo livello, costellata di film già visti: il crudo e struggente Badis, ad esempio, o El Medina (inserito nella retrospettiva di Yousry Nasrallah, che permette un'analisi diacronica della società egiziana con i due lungometraggi e sincronica con il documentario del 1995, che si ferma a evidenziare le contraddizioni che dieci anni fa hanno fatto imboccare alla cultura araba il percorso che ora la pone in conflitto con l'occidente) e altri che fotografano l'attualità attraverso una ricostruzione poetica ed esteticamente matura del passato, come Le soleil assassiné dell'algerino Abdelkrim Bahloul.
Quello che ci ha più favorevolmente colpito per la capacità linguistica è Sentenciado sin juicio di Eliseo Blay. Ne abbiamo già accennato nell'editoriale: l'assenza di processo del titolo denuncia una deriva che si accompagna a qualunque totalitarismo: la legge che incarcerava intere categorie di persone solo sulla base della loro diversità rispetto ai canoni di una società che si voleva sessuofoba, omofoba, bigotta, non era un dispositivo applicato nei primi anni del franchismo, ma invece era la pervicace imposizione di un modo di pensare retrivo che si sentiva superato dal mondo e cercava di resistere con i suoi precetti catto-fascisti da imporre brutalmente, proprio nel momento in cui appariva ancora più odiosa l'usurpazione del potere da parte dei fascisti.
Il documentario riesce nell'intento di restituire l'humus in cui ha potuto nascere un arbitrio così barbaro come quello di togliere la libertà preventivamente. Ecco da dove deriva la fregola preventiva della nuova offensiva neocon: ha profonde radici nell'intolleranza sessuale, nel fascismo più reazionario, ossessionato dai comportamenti non riducibili al decoro della propria ideologia al punto di considerarli solo per questo criminali potenziali.

pax americana Si direbbe che le notizie che finalmente trapelano di torture da parte di anglo-americani occupanti in Iraq, che hanno portato anche alla morte dei prigionieri faccia parte dello stesso odio sessuofobo e questo trova conferma anche nelle forme di tortura, tra le quali campeggia la sodomizzazione con ramazze e lampadine, o le pose da pin up marziale della marine che ricorre nelle foto-ricordo dei turisti sessuali a stellette e strisce. La matrice è la stessa: il fascismo iperconfessionale del consueto triplice oscurantismo: Dio Patria Famiglia. Infatti nel film spagnolo la responsabilità della chiesa è palpabile, almeno quanto l'ossessione nazionalistica del franchismo, ma il vero atto d'accusa è all'inizio nella reazione perbenista del rifiuto della famiglia. Sentenciado sin juicio

Ma il film si spinge più in là. Utilizzando un sapiente montaggio di interviste agli attori di allora, che dimostrano come questi non colgano l'enormità. E ancora oggi sono intenti a giustificare, evitando pure di contestualizzare, perché storicizzare un modo di pensare potrebbe rinchiuderlo in un certo lasso di tempo, mentre cavillare per ricostruire quei fatti, quelle persecuzioni, quei tribunali speciali a seguito di una legge speciale che presupponevano carceri speciali e corpi speciali (di nuovo traspare in tralice la situazione contingente, dove l'emergenza voluta e fomentata del terrorismo legittima la straordinarietà della reazione e degli abusi dello strapotere militare, paragonabile con quelli delle squadracce della brigata 26 del film), non difende soltanto il loro operato di servi, esecutori di ordini, ma pone i presupposti per un'eventuale riproposizione sotto altre forme dell'intolleranza. Dovunque, che si crei o si sfrutti l'occasione di imporre un'emergenza, si finisce con il legittimare le torture; proprio come avviene ora in qualsiasi azione della amministrazione americana, ossessionata dai nemici del proprio sistema e che si esprime con le stesse forme di tortura: l'elettrochoc applicato alla "cura" delal malattia omosesuale si trasforma negli elettrodi applicati sapientemente ai prigionieri iraqeni (un'applicazione anodina, imparata forse da altri fascisti più nostrani qualche anno fa in Somalia, o da quelli argentini del proceso militar). La Escuela de las Americas esporta il suo carico di odio antiamericano: gl statunitensi da sempre torturano e solo gli invasati rampolli di "Libero" possono essersi dimenticati, o peggio tentare di legittimarli per il fatto che tanto poi si vengono a sapere (e questo sarebbe indice di civiltà superiore). Non è solo una ragazza marine che si voleva pagare il John Jay college (ecco a cosa porta la politica di distruzione della Moratti: a torturare per pagarsi gli studi) è proprio un sistema di pensiero, una scuola che colloca gli "altri", i non occidentali, in una categoria inferiore da vessare impunemente (nessuno ricorda il Cermis? finirà allo stesso modo). E poi l'eccitazione che dà la violenza innesca le spirali che trasformano gli attori in un teatro di guerra come i personaggi di Bato to Rowaiaru, illustrati bene da Fukasaku: Lynndie R. England, ventunenne del West Virginia si sarebbe ambientata bene in quel gioco al massacro con evidenti modelli mediatici.

Torturado sin juicio Quando una comunità si sente minacciata costantemente significa che la sua deriva è arrivata al punto che non ha più ragione di esistere su quei valori che difende strenuamente, perché se non li imponesse con la forza verrebbero spazzati via in quanto superati. Se i processi franchisti ai maricones non duravano più di un'ora, perché non c'era il reato ma solo la potenzialità dello stesso, presunto da un potere assediato dai suoi fantasmi, allora i suoi protagonisti di quel tempo, ancora adesso psicologi, poliziotti, giudici, carcerieri, squadristi, per potersi legittimare agli occhi di se stessi devono minimizzare o riconoscere che quei metodi erano errati, ma non nominano mai la parola corretta per definire quell'abominio: assurdo. L'inaccettabilità di quella legge (e di quello che si sta ripetendo adesso a Guantanamo Bay come a Bagdad e in Palestina) è nell'assurdità di quelle accuse in grado di distruggere la vita agli uomini finiti nelle maglie di quella "giustizia", nell'inconcepibile presupposto che individuato il presunto nemico, lo criminalizza, lo perseguita... fa di lui un fascicolo.
Questo è quanto avviene al protagonista, a cui è affidato il racconto della sua vicenda: una persona normale, un ragazzo, schedato e imprigionato a 17 anni, costretto in quel modo a diventare marchettaro, perché non trovava lavoro anche dopo la scarcerazione, cacciato dalla famiglia; che si salva con il teatro, lui d'aspetto normale, compagno di teatro con una sorta di appariscente Boy George attempato: due percorsi paralleli lungo tutto il film, una sola persecuzione che va a fondersi in un gruppo teatrale, pur rimanendo percorsi paralleli anche nell'alternanza del montaggio, che converge sapientemente in un punto, quando la "verguenza" si ribalta e sono loro, gli aguzzini, a provare un po' di vergogna e ad ammettere che gli intenti della legge non avevano ottenuto nulla. Non potevano ottenere nulla, ovviamente: visto che trattavano l'omosessualità come una malattia e una colpa. Torturado sin juicio

Forse perché l'omosessualità non era una malattia, o forse perché l'elettroshock o la cura Ludovico è realmente criminale e non solo potenzialmente come prevedeva quella legge?
Ma rimane ancora un'inquietante figura: nella penombra, non si lascia riprendere o riconoscere, è un poliziotto della ex brigata 26, la squadraccia fascista che andava a caccia degli omosessuali per picchiarli e assicurarli alla "giustizia", che spiega come loro applicassero l'occhio per occhio, dente per dente... non è chiaro a cosa si riferisca, ma è chiaro il metodo. Lo stesso applicato a Bolzaneto, dove si può apprezzare la differenza tra la famosa democrazia americana, tanto sbandierata da Bush, che si fa vanto di rendere pubbliche le foto delle torture al contrario della discrezione di Saddam, la stessa omertà italiana, dove in un paese dove non c'è democrazia, invece di diffondere le foto si è insabbiato e cercato di processare le vittime, senza nemmeno cercare un incontro riconciliatore come nel film di Rithy Panh, cambogiano, sull'orrore dei Khmer.
Antonio comunque è entrato in possesso del suo fascicolo di maricon, e gli ha dato fuoco pubblicamente. Ma la sua vita ne è stata comunque rovinata.

Sobyan wa banatSobyan wa banat

Sobyan wa banatMa forse il documentario più attuale, paradossalmente, visto che è stato girato nel 1995, è Sobyan wa banat, perché nella sua componente più incisiva si occupa del "velo". Ma non solo: infatti il pretesto è un ritratto di un giovane insegnante scapolo - e tutti si chiedono e lo spingono a sposarsi - con aspirazioni di intraprendere la carriera di attore. Come avviene sempre nei film di Yousry Nasrallah, omaggiato dal festival, la storia - forse sarebbe meglio definirlo il pedinamento - di Bassem Samra è utile per fotografare la società egiziana del periodo.
E allora il padre autista, che si è comprato la vettura con lunghi anni di emigrazione in Arabia Saudita rappresenta la spiegazione del cambiamento dei costumi di una società laica come quella egiziana. Infatti data da quella migrazione di massa la reintroduzione del velo, fenomeno più evidente di un approccio alla esistenza meno laico da parte della società araba.
Il regista adotta una struttura molto rigorosa, che alla distanza si rende evidente allo spettatore, quando alle prime quattro donne che testimoniano dei loro matrimoni combinati e del loro concetto ancora idealizzato di amore, si sovrappongono i paralleli incontri dei ragazzi che si confrontano attorno a un tema palesemente costruito per restituire le quattro posizioni più frequenti: è un argomento scandalosamente fallocratico, ma che consente di avvicinare quella cultura a dieci anni di distanza dalle riprese del film e quindi all'inizio della progressiva islamizzazione. Inizia uno: "Se passeggiando con la tua ragazza incontrassi tua sorella con un uomo, cosa faresti?" Messo così il tema sul tappeto (è proprio il caso di dirlo, e su quel tappeto si vede chiaramente l'abitudine a discussioni sempre e rigorosamente separate sessualmente: infatti questa ripresa duplia specularmente quelal dell'inizio del film dove solo donne discutono di mariti), i quattro convenuti danno responsi diversi: dall'affrontare la sorella all'affrontare l'uomo, dal sondare che intenzioni ha il presunto usurpatore a rendersi conto che lo stesso vale per i fratelli della loro accompagnatrice (risolvendo per una fuga, dato che "Non si sposa la ragazza con cui esci", rinverdendo la divisione tra donne da sposare e le altre). Tanto che assistiamo a conversioni da pèarte delel ragazze derivanti dalla stratificazione di tempi che si accumulano tra le lavorazioni del film, per cui dopo soli pochi mesi - e questo dimostra come proprio tra il 1990 (dove si svolge Marcides) e il 1995 si trovino anni cruciali per l'involuzione in senso islamico di stati laici - una ragazza fieramente contraria al velo, viene intervistata a distanza di poco velata e ormai convinta che non possa fare a meno del velo, per essere accettata ("Il velo è la decenza che è in me").

Sobyan wa banatSobyan wa banat

Sobyan wa banat L'intero film è incentrato sull'ossessione del matrimonio: fin dall'inizio i colleghi dicono che il matrimonio dà stabilità: e infatti la sequenza successiva a quell'affermazione - che sottolinea come spesso accade nel film l'importanza del confronto tra pari sulle questioni di rapporti tra uomini e donne - rappresenta una sorta di falsa soggettiva interiore con rovello, che scandaglia e cataloga tutte le donne incrociate come "già fidanzata", "buon partito", "disponibile", ovvero "le altre", quelle con cui si può uscire, ma non sposarsi. Anche perché "ci si sposa sempre meno perché mancano i soldi". E dopo poche sequenze dedicate alla cosmesi, poco prima che un barbiere passi un filo sul volto si spara la frase che mette in moto tutta la problematizzazione, al di là della figura di donna che ne deriva: angelicata, da soffocare per consentirle di avere tutte le qualità richieste e contemporaneamente impedire la frustrazione dei giovani maschi privi di sfogo e di amicizie femminili; la frase che si vive come contraddittoria è: "Islam è felicità, non rinuncia". E questo sembra mandare in crisi i ragazzi che si riuniscono in una forma di autocoscienza, ma è anche motore primo di quel basso continuo costituito dal flusso di coscienza che accompagna l'intera pellicola e quasi estrania, poiché continua a essere presente la condizione di attore del protagonista: anche qui un "2 o 3 cose che sappiamo di lui". E finisce con il saltabeccare tra condizione di esistenza di uomini e donne in quell'Egitto di fine secolo, usi e costumi in mutazione dove la parola inspiegabile che ammanta tutto come un velo è "decenza"; mentre il ritratto di un uomo non ancora sposato perlustra con il suo sguardo l'universo giovanile, dove il velo ha perso il suo vero significato: doveva salvare dalla volontà di seduzione e ora è diventato un oggetto di seduzione.

Marcides

MarcidesNasrallah in fondo crea documentari (o forse si tratta dei veri mockumentary?) freschissimi anche forgiando i più strampalati copioni di fiction: Marcides inizia rifacendo filologicamente i film anni cinquanta dotandosi di un bel bianco e nero pastoso, dove immerge una torbida storia d'amore, da cui nasce un figlio, che sarà poi il protagonista Noubi, che dovrebbe essere nero e invece è persino biondo e si aggira per il Cairo in festa per la vittoria ai mondiali del 1990 contro l'Algeria e affranto per non aver vinto contro l'Inghilterra. Perfetta la riproduzione del linguaggio cinematograficodi allora, che per tre volte taglia tutti i piani all'interno di zoomate all'indietro inserendo lateralmente situazioni che si intersecano alla linea seguita dalla ripresa a seguire la donna, come se si trattasse di quinte sceniche, differenti piani, che scivolano via via che la mdp si ritrae, geniale e preciso nell'evocazione del tipo di film citato.
Quello stesso processo di moltiplicazione si ripete nelle innumerevoli volte che usa svariati specchi che contemporaneamente duplicano l'immagine della donna ripresa, diostrando che l'intento del film è in realtà quello di documentare le infinite sfaccettature di una società in evoluzione, sicuramente non monolitica. Il pretesto offerto dall'eredità finisce con il perdersi, soffocato dal bisogno di dar conto di personaggi strampalati e ambienti credibili eppure così esotici, come il cinema in cui capita di tutto.

MarcidesIl fraetllo che Noubi non conosce, è omosessuale e il suo amore, così libero e naturale, finirà i tragedia a coronamento delle atmosfere iniziali (sarebbe stato un finale scontato in un film con quell'inizio), la madre si clona in infinite figure femminili, a loro volta moltiplicate dagli specchi; il desiderio occupa una porzione minima a confronto di quanto invece regoli la società. Come l'ideologia: l'intreccio di comunismo e idealismo della sua gioventù (in cui si collocano situazioni simboliche, comeun lungo soggiorno in clinica), relegato nel passato della comunità laica, si trasforma nella presenza assillante di un commissario, ex comunista, che lo assolda, salvo poi revocare incarichi nei momenti più strani. non mancano i riferimenti al gasamento dei kurdi, al traffico di droga, tutti temi grevi trattati con humour, come quando manda con un giro di parole a cagare un integralista islamico, che non poteva sopportare la vista degli abiti discinti della sua accompagnatrice.

Ma il più sorprendente è il finale che compone un'arca di Noè, come quella che era stata proletticamente introdotta; sovraesposta l'immagine raccoglie la donna che somiglia alla madre, il fratello e coppie di animali per allontanarsi da quel bailamme: Noubi non sopporta più o forse non riesce più a divertirsi a immaginare la società egiziana alla deriva e si rifugia nelal sua mini arca per salvarsi dal diluvio.

Marcides

Soleil assassinéInfine estremo documentario biografico ammantato di romanzo agiografico, eppure così affiancabile al lavoro di Laura Betti su Pasolini è quel Soleil assassiné che ritrae un intellettuale scomodo e inossidabile, accennato nell'editoriale, ma che ha più motivo di essere collocato nella disamina di qualche film di fiction, che ci è capitato di vedere al festival.

Un'ultima notazione rubata dai commenti sentiti in sala (quindi non etichettabile come la solita considerazione del cinefilo etero catapultato in mezzo a una profusione di espressioni che fanno riferimento all'universo omosessuale): questa si è forse caratterizzata come edizione con una maggiore cura dei testi, e un inferiore livello di provocazione delle immagini, dove campeggiavano molti meno membri virili e asfittici locali per gay rispetto alle edizioni, in cui Rosa von Prunheim era presente massicciamente.