Ma le concitate sequenze radiofoniche, mezzo migliore per restituire sensazioni e fare battere il cuore a mille dibattendosi nellesercizio di immaginare, impediscono di orientarsi nelle voci: addirittura un giornalista (Crovato, tg2) non viene schiaffeggiato quando impunemente accredita la tesi della pietra tirata da un manifestante, perché nella sua opinione le forze dellordine si erano comportate nel pieno rispetto dei manifestanti. Ed era lì, sul posto, fino a qualche istante prima si aggirava tra manganelli roteanti e calci in faccia, caroselli di M113 e abusi; in malafede, mentitore, finché la collega Sattanino lo sbugiarda con la precisazione che il corpo ha un foro regolare in fronte.
Il fuori scena è ancora più osceno quando la scena del potere si permette di andare in scena in chiaro convinta che le immagini nella loro trasparenza apparente siano ancora manipolabili come le menti e le parole.
Il circolo di interpretazione decolla comunque, nel bene e nel male, non si avranno mai abbastanza elementi per avere la verità, dunque per convincere chi non vuole essere convinto.
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Percorso diacronico (Le immagini ci sono fornite in successione seguendo un ordine di produzione che cadenza il dibattito):
Da qui in poi, acquisita la funerea certezza, linformazione si fa visiva, i commenti sono brusii fastidiosi di chi vuole coprire o attizzare lo sdegno (lo dimostrano i dibattiti scatenatisi su ecn o indymedia sulle interpretazioni dei singoli materiali analizzati): la prima immagine che vediamo, successiva cronologicamente rispetto alle innumerevoli sequenze che hanno ripreso il momento dello sparo mortale, ma offerta per prima al mondo (causa dello scatenarsi della rabbia celerina contro i cineoperatori che hanno documentato le loro scorrerie?), è quella di un nugolo di sbirri attorno al corpo riverso sullasfalto, eppure sono talmente numerose le telecamere che una insinua il suo obiettivo in mezzo agli scudi e la testa insanguinata di Carletto spunta tra gli anfibi che non riescono a contenere lurlo silenzioso che proviene da quel corpo inanimato. Questo è il primo dato di fatto: limpossibilità di contenere lenormità dei fatti, di censurare le immagini, di impedire la diffusione quasi oscena del sabba infernale scatenato dal sistema di potere oligarchico. Persino il sistema televisivo collaterale al regime non si può permettere di cancellare quei fotogrammi; ma li può manipolare. Quelle inquadrature oscillanti si propongono come copertina: la loro composizione clandestina, catturate nonostante la barriera di corpi, subito occultate dalle uniformi del nemico, incarcerato anche da morto, serve a far passare il messaggio di separazione dalla società civile di quanto è avvenuto, ma anche ad ammantarlo di mistero: quella sezione di cadavere che fa capolino prepotentemente tra le pieghe della faccia più feroce del regime spunta dovunque come in un pessimo hard boiled e lassassino maldestro non riesce nemmeno a occultarlo per coprirsi la fuga. Quindi quellimmagine ha una doppia valenza: è stata estorta al potere, che non ha potuto nasconderla e farla sparire come altre che poi distruggerà, e richiede unindagine con la sua sola muta presenza.
E lindagine non tarda a dipanarsi in più rivoli: è uninchiesta che usa tutti i mezzi della cultura iconica. Sollecita ad applicare le capacità analitiche delle immagini ormai ipertrofizzate dalla società mediatizzata: cè una profusione di mezzi atti a riprodurre la realtà, ma il vero miracolo è la pletora di telecamere, macchine da presa e fotografiche che prima, in quel momento preciso avevano congelato levento.
Si comincia con una serie scattata da un teleobiettivo che comprende la vittima e il suo carnefice nella sua propaggine più importante, la mano assassina; blocca i due gesti che alla prima ricostruzione appaiono essenziali, che possono spiegare quellimmobilità della prima immagine di copertina: il ragazzo che brandisce lestintore e laltro che impugna la pistola nellombra. Nonostante lenorme disparità delle forze in campo, sembra un duello dove i due uomini si guardano negli occhi. Davide contro Golia, Ettore e Achille,
Inorriditi non riusciamo a staccare gli occhi da quella prima foto, cercando di indovinare listante della morte che da qualche parte è già lì che aleggia (non si riuscirà mai a catturare neanche dalle sequenze in movimento successive: quasi una suprema ritrosia, quasi che la morte giochi a nascondino, lasciando sul palcoscenico, sotto i riflettori, la sua longa manus. Lomicida, pars pro toto, ma sineddoche insufficiente per creare un soggetto: espressione simbolica del potere senza volto, un morto voluto dall'intero sistema G8).
Ma i dettagli dei successivi movimenti non sono meno agghiaccianti, come in un replay della barbarie beluina che colpì Pasolini di nuovo uno scherzo del destino: il paladino degli sbirri in quanto proletari assistiamo a inconfutabili movimenti della camionetta che passa e ripassa sul corpo del giovane riverso in terra, altro che Achille pietoso che restituisce il corpo del nemico Ettore, questo è lAchille che trascina il corpo esanime del "rosso" Ettore, vittima della campagnia di odio di Berlusconi e Fini. "Già privo di vita" si affrettano a sottolineare i commentatori servi, ma come facevano a saperlo i carabinieri sulla camionetta, si chiede il fan del tenente Colombo avvezzo ad assistere a noir e polizieschi, dove come in Dick Tracy il risultato degli eventi è chiaro ma si tenta di ricostruirne il senso, un meccanismo che è lesatto opposto di quello che si è tentato di inscenare: uno scenario dove il senso sarebbe stato anticipato dai segnali dei giorni precedenti e la dinamica risultava invece fumosa, e non solo per i lacrimogeni.
Cè in quel gesto tutto lodio represso, il disprezzo per gli altri, lo scherno trasforma il plot da quella che era unindagine una forma nobile del pensiero che non si sporca rimanendo a livello teorico allinchiesta, che trasporta nei bassifondi dellhard boiled o allidroscalo nelle storie da marchettari ignoranti di Una vita violenta, dove non a caso lideologia dei ragazzi di vita pasoliniani è confusamente di destra; linchiesta approfondisce sociologicamente ciò che lindagine limita alla ricostruzione filosofica dei fatti. E quelle due foto della camionetta a cavallo del corpo riverso sono il risultato dellimmediata esigenza del fotografo e poi di tutti noi di capire come si possa essere così spietati: con quelle foto che inchiodano la coscienza di tutti gli occupanti di quella camionetta (lo sparatore e lautista) si opera il salto verso lapprofondimento sociologico dellinchiesta, volta ad aprirsi un varco verso la comprensione dellhumus in cui vivono questi carabinieri, capaci di fare quello scempio. La totale assenza di senso di pietà, quel rispetto dellaltro che fa restituire il corpo di Ettore dal furioso pelide. Il rispetto è ciò che manca però alla forma violenta del fascismo, la cui faccia pulita è quella neo-liberista, che preferisce agire giocando sulle notti in cui tutti i gatti sono bigi per confondersi meglio.
E allora puntuale arriva la prima sequenza video, targata tg5: le prime immagini della piazzetta sono in movimento su un mezzo che sta allontanandosi velocemente dal fulcro dellattenzione, poi quando il veicolo si ferma questo viene messo a fuoco e ravvicinato con una potente zoomata. Questo movimento è la cifra delloperazione: dà limpressione di essere di prima mano, ma in realtà è distante dal tumulto; il teleobiettivo spinto poi appiattisce enormemente, la concitazione delle corse e la prospettiva sbilanciata alle spalle del drappello di giovani li rende minacciosi e vivaci aggiungendo movimento a frenetici spostamenti, ma soprattutto tutte le figure sono appiattite come in un affresco prerinascimentale, dove ciascuno opera autonomamente senza interagire con gli altri collocati in uno spazio privo di prospettiva, ma popolato alleccesso, indistinguibili gli uni dagli altri, leffetto è quello dei Funerali dell'anarchico Galli (dipinto da Carrà nel 1911) o del quadro futurista di Balla (Rissa in Galleria) e non è un caso il riferimento a quel codice espressivo da "arditi". Da un lato sta a significare che sempre nella partecipazione ai tumulti si assumono dei rischi e dallaltro si comincia a insinuare quella che verrà adottata come strategia dai neo-fascisti del Pnf-Msi-An: il ribaltamento dei ruoli. Lindagine parlamentare che vorrebbero, dovrebbe essere a carico dei manifestanti, carnefici delle povere forze dellordine, vittime della furia cieca della piazza (in fondo gli arrestati sono accusati di oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, forse perché gli hanno rovinato i manganelli picchiandoci contro la testa?). Nel torbido delle immagini confuse commentate adeguatamente si pesca meglio.
Il controcampo offerto dal tg3 è più ravvicinato, inquadra la scena sempre dalle spalle dei ragazzi, ma con una prospettiva diversa. Non insegue nessun movimento tangenziale centrifugo al fulcro e questo consente una lettura più limpida dei gesti, che appaiono nella loro naturale schizofrenia derivante dal fatto che in una situazione simile ogni minima percezione del mondo con cui i personaggi interagiscono comporta una reazione legata a due sentimenti preponderanti: lautoconservazione (che non è monopolio di quelli armati e protetti da caschi e scudi) e lindignazione. Di questultimo sentimento ci sono evidenti tracce come effetto, ma non cè segno della causa questa andrebbe ricercata nelle cronache di RadioFlash sui raid subiti dai manifestanti e sui caroselli di camionette alla ricerca dellinvestimento dei ragazzi fuori dalla protezione del corteo, a sua volta caricato (ma basterebbero le molte immagini di botte, calci in faccia, manganellate, lacrimogeni sparati ad altezza duomo che hanno ferito moltissimi, insulti e provocazioni); al contrario la drammatizzazione dellinquadratura evidenzia invece laltro sentimento che informa di sé la sequenza, listinto di sopravvivenza fa fuggire un ragazzo sulla destra e questo apre il sipario sulla recita a due.
La sequenza proposta si rifà allo stereotipo del duello, però Carletto è impallato parzialmente ancora da un ragazzo, indoviniamo solo il momento in cui si accascia: abbiamo la sensazione che il duello non sia stato regolare, perché non siamo riusciti a seguirlo; echeggiano solo i due colpi secchi: due, configurerebbero già leccesso di legittima difesa in un processo analitico della banda sonora amplificata come in Blow out o La Conversazione. E poi finalmente riappare la catarsi affidata al sonoro in presa diretta: "Noooo, porca puttana!", è lo stesso operatore, un ragazzo che sta riprendendo per Il cinema italiano a Genova, che percepisce immediatamente cosa è successo e riporta a un piano di realtà la fuga verso la barbarie del vecchio west. Disperazione autentica: richiamo metalinguistico alla propria presenza lì e in quel momento a riprendere oggettivamente i fatti, nei quali entra, come testimonianza verbale autentica, non più operatore, ma attore, partecipe con il suo sgomento urlato e contemporaneamente evidenza della presenza della telecamera che media.
Splatter è infine una sequenza che riprende un po dallalto in linea con le prime immagini fotografiche, indugiando sulla camionetta che fa bassa macelleria: in questo caso il momento dello sparo è più chiaro, si vede anche la mano, o forse si indovina, avendo assorbito le altre immagini, ma soprattutto il taglio permette di valutare la distanza tra i due protagonisti: Carletto non è vicinissimo, tanto che i ragazzi in fuga sono davanti a lui e si aprono come un tendone e tra lui e la camionetta ci sono alcuni metri. Non ricordo chi avesse fornito il contributo, certo che il passaggio del veicolo sul corpo è osceno, nel senso che sembra estraneo a un mondo reale, fatto fino ad allora di gesti normali come correre, tirare oggetti, indicare, deviare, dietro ai quali si indovina la volontà della mente che ispira la plasticità del gesto. I movimenti innaturali del corpo trascinato dalle ruote, i sussulti innaturali, quella torsione da manichino pongono la scena fuori della fisica, collocando lazione in quella dimensione spazio-temporale che comprende le fosse comuni in cui si rovesciano cadaveri della mattanza balcanica, come le immagini dellolocausto. La stessa oscenità nel senso di fuori scena (ob-scene) della vita e spostamento su un piano spogliato anche dellespressione del corpo umano.
Lultima sequenza è di nuovo fotografica, proposta da RadioSherwood e ripresa da repubblica on line: riporta a un piano di realtà avvicinandosi anche alla verità in modo più netto: inserisce alcuni elementi fondamentali che rispondono sia ai dubbi del noir, facendo tornare tutti i tasselli nel puzzle, sia a quelli del western, poiché evidenzia la trappola del fortino assediato per attirare in unimboscata (e dunque la volontà di uccidere, e una vittima vale laltra: "Lunico indiano buono è un indiano morto", ribadendo le radici colonialiste del G8), sia lindignazione per loltraggio esposta con la compostezza della tragedia greca. Sono 12 fotogrammi dai quali i più attenti investigatori evincono che il famoso estintore, arma impropria che mette su un piano di parità la vittima e il carnefice rendendo valido il duello truccato (ma non conoscono Sergio Leone: "Quando un uomo con lestintore incontra un uomo con il fucile, quello con lestintore è un uomo morto"? O forse lo sapevano già prima?), quel famigerato estintore che fa inorridire benpensanti in malafede proveniva dallinterno della camionetta dei poveri coloni accerchiati dai selvaggi, che si difendevano coi denti avendo però la cavalleria delle giacche azzurre a due passi. Infatti da questa angolazione si riesce a individuare fermo in osservazione degli eventi a una decina di metri un drappello di carabinieri: allora non erano isolati. E di seguito si pone in evidenza che il ragazzo in disperata fuga, scheggia impazzita attirato nei video da non si sa quale obiettivo fuori campo, in realtà scappava dalla pallottola a lui destinata: è ben chiara la mano armata che lo sta puntando dopo aver sfondato il lunotto per avere più agevolmente spazio per sparare. Quel ragazzo con il cappuccio viola si salva decretando la morte di Carletto per mano di un carabiniere che gli spara senza nemmeno guardare negli occhi la vittima designata come in Il Cacciatore e dimostrando che la minaccia dellestintore era del tutto pretestuosa: non era un duello, ma unesecuzione, nella più classica tradizione dei film sul disagio giovanile, perché come è stato rilevato da più parti, i metodi usati somigliano di più a quelli adottati dai poliziotti impegnati nelle rivolte urbane delle gang statunitensi: vi ricordate la fine di Matt Dillon in I ragazzi della 56° strada. Molto meno romanticamente ci è stata raccontata una riedizione di Fragole e sangue, con schizzi di sangue argentino a causa di matite spezzate sui muri delle scuole.
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Percorso sincronico (tutte le immagini sono già state presenti nei nostri occhi e continuano a riempire le nostre pupille)
Forse al termine di questo percorso apparirà più chiaro lo slogan di Vautier che campeggia sul nostro sito al posto della home page dai fatti di Genova.
Scommetto che lo sviluppo delle tecnologie ci permetterebbe di creare un sistema virtuale che amalgamando tutte quelle sequenze registrate nel momento della morte di Carletto potrebbe dare luogo a un universo frattale in cui perpetuare la sequenza tridimensionalmente, consentendo anche di percorrere il set dellomicidio in diretta. Eliminerebbe umori, sudori, congelerebbe la vita; forse in questo senso di sospensione eterna tra la vita e la morte sarebbe vicina alla verità, ma non credo che potrebbe aggiungere una veridicità ai fatti come sono stati registrati, perché poi ciascuno percorrerebbe il sistema artificiale a cui proprio l'artificialità inferirebbe il carattere veridittivo. Ne risulta un senso autoreferenziale poiché le immagini manipolate si attribuirebbero legittimità, quella che viene negata dai tanti commenti che accompagnano le sequenze per pilotare le integrazioni, adottando il punto di vista a ciascuno più consono per interpretare la morte.
Quello che pertiene alla morte sarebbe sicuramente registrato da un sistema chiuso come quello virtuale descritto che accumula tutte le riprese delle 2000 telecamere presenti e ricrea lambiente, diventando trasparente, invisibile per ipertrofia quasi che la pletora di contributi facesse elidere gli uni con gli altri, invece il motivo vitale per cui Carletto brandiva quellestintore in un bel gesto plastico che lasciava scorgere sotto la canotta delle membra giovani, vitali, proiettate verso il rifiuto dellabuso, quella vitalità rimarrebbe fatalmente imbrigliata dalla ricostruzione. Bello è pensare che abbia brandito quell'attrezzo di dissuasione improprio perché aveva notato che il carabiniere stava per diventare assassino di un compagno e in quel modo abbia decretato la sua fine: che generosità! e perché siamo così pochi a cullarci in una ricostruzione così nobile, forse perché conosciamo l'universo dei centri, mentre l'opinione comune si è creata sulle apparenze e sulle panzane televisive?
E allora siamo da capo: le immagini non sono sufficienti quando manca la condivisione del fatto, quella che ci ha dato la radio, ma limmagine poi ci ha sottratto. Lemersione del contesto viene dopo, ottenuta dallaccumulo di materiali, ma lemozione si sottrae con il tempo che trascorre. Serve per condividere la conoscenza di un fatto, ma più emerge la verità e più si perde in: emozione, indignazione, rabbia, paura, timore. E allora più nulla è comprensibile, se non attraverso un codice preposto esterno, sia esso l'insieme delle leggi, sia esso individualmente costituito dalle convinzioni più o meno ideologiche che catalogano i singoli gesti. Si dice che Robert Capa "costruisse" le sue foto e dunque pilotasse i giudizi del mondo, ma il marine che spara al vietnamita inginocchiato era inconfutabilmente un bastardo e da lui il giudizio si estese agli invasori americani: era ovvio. In quel periodo la sensibilità era diversa, ma in quest'epoca di revisionismo autentico e presunto controllo mediatico i fascisti avrebbero l'improntitudine di mettere in dubbio quel moto di sdegno, instillando dubbi preconcetti con protervia, pilotando ben altrimenti lopinione pubblica.
Quando è comparsa la prima foto dell'esecuzione di Carletto, quella più diffusa, dibattuta, su cui è infuriata la bufera dei colpevolisti che vedevano nel gesto dellestintore unoffesa da sparare addosso a chi ne legittimava luso, ormai lepilogo si conosceva: tuttavia al momento in cui era scattata i giochi non erano fatti, ma noi sapevamo già come era finita; eravamo già tagliati fuori: la rappresentazione era già andata in scena, le emozioni erano già vanificate. Ci era stato sottratto lo spettacolo, rimanevano i commenti a fare ulteriore fumo.
Tutte quelle telecamere avevano smarrito la spettacolarizzazione della morte che poi si è cercato di recuperare con successivi colpi di scena, perché the show must go on. E lavevano perduta nel momento in cui pensavano di imbrigliarla: tutte le innumerevoli riprese sono riuscite nellintento di sensibilizzare chi era già predisposto; gli altri, quelli che fanno da ventre molle del fascismo mediatico non le registrano come sconvolgenti, ma di impatto minore di qualsiasi "Exxxtreme" (real-tv di La7). Quindi è simbolico che si sia inceppato il meccanismo nel momento in cui più concentrico era linsieme di macchine da ripresa che catturavano i fatti. Evidentemente le registrazioni iconiche non sono lo strumento adatto per percepire gli eventi fenomenici quando questi coinvolgono passione e morte. Inoltre dai successivi recuperi delle sequenze, aggiungendo informazione, si prosciugava gradualmente la dimensione tragica, in senso classico: lattrazione più forte delle immagini invece risiedeva nel confronto, nel duello titanico, nella nobiltà della lotta impari pur sapendo come andava a finire, nella ripetizione e riproposta dellimmagine di Carletto vivo e proiettato nel mito dal gesto che sta compiendo cè la spiegazione dello slogan retorico "Carlo è vivo e lotta insieme a noi"; lo fa in quei fotogrammi , una retorica che non serve a produrre nuovi significati o più accattivanti forme di scrittura, ma solo a perpetuare icone per future magliette.
Nessuna immagine è risultata adeguata. Non al momento storico sancito nel passaggio a un regime fascista di stampo poliziesco (lultimo omicidio di polizia fu perpetrato dal regime di Kossiga: lassassinio di Giorgiana Masi rivendicato dal picconatore con una sorprendente scelta di tempo, che non tiene conto dellaccidentalità sempre sbandierata di quella morte del maggio 77, mentre nel caso di Carlo lunica certezza che abbiamo dalle immagini è che si tratta di una esecuzione), da autoritario che era (già a Napoli a marzo con ministro degli interni espresso dal centro-sinistra), e neanche a mostrare gli umori reali: i movimenti delle singole figure stereotipate sfuggono alla creazione di una trama logica nei commenti fuori "campo" di chi cerca di individuare un intreccio, ma di fronte al fascino di quelle riprese non può reggere nemmeno il tentativo peraltro pervicacemente perseguito di estendere proprio questa assenza di senso dei gesti dei singoli a tutto il dissenso di massa (omaggio al governativo "Non ci lasciano lavorare", aggiornamento del "Non disturbate il manovratore"), negandovi validità, perché in realtà il tumulto di piazza non può essere contenuto in alcun racconto: è unesplosione unisona di rabbie plurime, impossibile da trattenere in una parola o in unimmagine, però proprio l'evocazione di quello che non si fa cogliere dal reporter attrae e diventa più avvincente della fiction più sofisticata (nel doppio senso di particolarmente curata e di artificiosamente manipolata). Non un fotogramma, né una sequenza riescono a catturare quel momento in cui lItalia è ripiombata coscientemente in quel vizio costitutivo da cui i partigiani sembravano averla affrancata (avevano davvero torto i compagni di Gangsters di Massimo Guglielmi a non deporre le armi finché fosse rimasto vivo un fascista?) e contemporaneamente il movimento è cresciuto attorno a quel corpo martoriato, che diventava improvvisamente fratello a ciascuno. Eppure tutti per riuscire a farsi unidea propria si sono stampigliati in mente i singoli fotogrammi dei diversi punti di vista su quella camionetta isolata, che poi isolata non era, bastava girare la telecamera (come si vede nella sequenza fotografica di Radio Sherwood) e allora la sensazione che la selezione dellinquadratura sia già manipolazione finisce con ammantare tutto di opinabilità.
In realtà è come un rompicapo di cui si sia persa la chiave. Tutti i materiali sono sparsi di fronte a noi: più si restringe il campo e maggiore diventa la sensazione che un trucco si nasconda in quei pochi metri che contengono un estintore, una pistola, un lunotto sfondato, una mano e una vittima: se il racconto segue la storia degli oggetti diventa una spiegazione che si avvale di molte integrazioni plausibili, ma che le immagini non ci accreditano mai. Noi sappiamo che è stata un'esecuzione, ma non riusciamo a dimostrarlo a chi si aggrappa a spiegazioni improbabili pur di non dover rivedere le proprie convinzioni riguardo a polizia e politici, pur di non sentirsi complice di quel delitto premeditato nelle urne del 13 maggio e che persegue con intenti di rivalsa la resurrezione del clima in cui si poté uccidere impunemente Walter Rossi (il processo non si farà per una decisione della scorsa settimana e Kossiga non lo ha ricordato tra le vittime che lui ha sacrificato 24 anni fa).
Allora proviamo a contestualizzare anziché focalizzarci sempre più restringendo il campo ai duellanti, poiché questa prassi ci condurrebbe a ripetere cliché retorici ; scegliamo dunque i frammenti in campo totale e abbiamo limpressione che una regia occulta abbia giocato con la nostra fruizione frapponendo alla nostra comprensione tutte quelle comparse che corrono, inseguono, sparano lacrimogeni
solo per sviarci. Infatti lo sguardo insegue ora luna ora laltra di queste figure distogliendosi dal suo fulcro dattenzione. E poi limmagine non è mai nitida e non si riesce a individuare Carlo, unico elemento del quadro conosciuto a cui appigliarsi per non perdersi nel turbinio: ben che vada si individua poco prima che venga steso e dunque cosa abbia percepito lui rimane relegato a quella prima fotografia, che colpisce perché è una soggettiva una falsa soggettiva, perché abbiamo la percezione di una prima mediazione che ci consentirebbe di vedere la morte in faccia se l'assassino non si fosse limitato a freddare con quella mano senza mostrarsi, anzi indossando il casco per rendersi irriconoscibile ribaltando il motto di Marcos per il quale indossare il passamontagna significa per gli indios zapatisti avere finalmente visibilità; probabilmente la differenza sta nella dignità di quello che si fa da mascherati: fare lo sbirro non è sicuramente un lavoro dignitoso. Ma finora siamo rimasti nellambito del simbolico, più attinente alle immagini, mentre qui si entra nel campo etico. Quando si parla di "dignità" o di "rispetto" dellAltro il terreno si fa scivoloso: fino a dove arriva la dignità di un uomo disposto a fare di mestiere il mazziere al punto da farsi stampare T-shirt, ricordo dei pestaggi effettuati in un sabba con i commilitoni, nelle quali pavoneggiare la muscolatura da palestrato tariconesco? E il rispetto può iniziare solo nel momento in cui si riconosce lesistenza dellAltro (come riferisce Davide Ferrario dellepisodio in cui i celerini si levano i caschi di fronte ai pacifici antagonisti con i quali fraternizzano), ma se un uomo si trincera dentro il suo fortino-camionetta, celando il volto e riducendo il suo corpo ad una minima propaggine attraverso la feritoia (quando la lingua dà indicazioni più esplicite delle immagini!) del lunotto sfondato, allora nessun riconoscimento dellAltro levinasiano ha cittadinanza. Da tutto ciò si direbbe discenda il motivo per cui la confusione che regna nelle sequenze in campo lungo non apportano contributi significativi né nellottica di chi vorrebbe immedesimarsi nelluno e nellaltro dei protagonisti per cercare di arguire come ci si sarebbe comportati in un frangente simile attraverso lemozione delle immagini come in un film (e in questo il western è stato il genere che più ha condizionato limmaginario proponendo eroi senza macchia da emulare, non a caso nel movimento del 77 uno dei paradigmi era Tex) , indossando sia i panni del carnefice sia quelli della vittima: troppo distanti sono gli attori e le comparse non permettono di cogliere realmente la tensione e lentità del pericolo reali, né nellottica di chi vorrebbe invece astrarsi appellandosi ad una impossibile e fantomatica etica universale, che dunque da una visione dinsieme dovrebbe trarre maggiori elementi di giudizio.
In realtà lentamente affiora la sensazione che la materia si sottrae a qualunque giudizio sulla base esclusiva delle immagini registrate: e forse è giusto così, la rivincita sullo strapotere della società dellinformazione. Non si tratta necessariamente di una sconfitta per chi sperava che levidenza della brutalità poliziesca potesse smuovere le coscienze addormentate nel sonno della ragione fascista: quelle immagini diventano fiction nella mente dei telespettatori, sono davvero trasportate in una qualche repubblica sudamericana delle banane, non hanno il valore di documento insito nei documentari gobettiani sulla resistenza o di quelli sui 35 giorni alla fiat, perché quelli furono validi se visti a posteriori: memoria per consolidare convinzioni già rubricate. Memoria, appunto. Invece le immagini falliscono quando loggetto è il presente, non servono a inchiodare alla responsabilità gli aguzzini quando essi rappresentano il potere: larroganza del sistema è quella del sofista Fini che ribalta i termini del discorso, minaccia in modo mafioso e omertoso, allude e gigioneggia a uso interno, perché i fascisti capiscano che da ora in poi sarà possibile negare levidenza (magari anche la Shoa) e usarla a danno dei rivali ancora stupidamente democratici.
Tutto questo però non inficia quello che dice Ferrario: «Ormai è chiaro che ci sarà sempre una telecamera pronta a riprendere quel che succede, innescando contraddizioni interne al sistema della "democrazia liberale" che sono oggi ben evidenti agli occhi di tutti e che il movimento deve sfruttare», non credo che si potranno usare sequenze per liberarci, ma le riprese, una volta liberati, serviranno per inchiodare le coscienze di chi non le volle vedere per tempo e magari si è schierato con il carabiniere assassino nel gioco della immedesimazione, o per definire le responsabilità della violenza culturale poliziesca contro i "rossi", in modo che qualche altro boia debba nascondersi dietro la demenza senile per ottenere limpunità e così ribadendo la propria colpevolezza e il biasimo dellumanità, proprio come è avvenuto per i documenti raccolti allarchivio della resistenza di Gobetti o a quello del movimento operaio di Giannarelli; la loro utilità immediata si direbbe ancora metaliguistica, poiché solo esaminando le sequenze a disposizione si può scoprire un linguaggio nuovo più adatto.
Infatti Franco Carlini sul "manifesto" del 29 luglio spiega che per quel che riguarda i giornali «un lungo percorso di reciproca alfabetizzazione tra chi scrive e chi legge ha prodotto un insieme di codici impliciti che separano i generi e permettono letture facili e più oneste [
] Diversamente le cose sono andate con le televisioni. Anche se le immagini di per sé "parlano da sole" (così si suppone un po ingenuamente), o forse proprio per questo, Primo Canale ha sentito un irresistibile bisogno di arricchirle con un proprio valore aggiunto, il quale era affidato, nello specifico, a una direttora di buona presenza video, ma di poca cultura nel merito della globalizzazione, la sua virtù principale essendo il tono presuntuoso con cui si esercitava nelle interruzioni agli ospiti o ai filmati. Il valore aggiunto dunque è diventato quello della voce e del volto che, sovrapponendosi o intervallandosi, ti dicono "guarda qua, guarda là"»; peggio ancora sono stati i montaggi subdoli di altre camionette assaltate negli scontri contigue nel montaggio a quella del delitto per favorire una sovrapposizione nelle fruizioni più distratte o meno consapevoli, operazione simile alle ricostruzioni governative in aula.
Le immagini danno risposte parziali che verrebbero integrate attraverso la cultura dello spettatore, se non si frapponesse tra i due livelli di informazione la voce off che orienta: questo è indubbiamente vero, ma allora la potenza immediata dellimmagine, lo specifico del cinema di Straub e Huillet è ciò che è venuto a mancare: quellevidenza testuale dellassunto che è trasparente agli autori e che viene passato direttamente ai fruitori attraverso un codice comune capace di conservare sia limpianto tragico dellevento, sia linformazione come se comprendesse tutti i punti di vista, sia lo spettacolo. Sia la morte e il rispetto e la dignità per essa.
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