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Dolls - Marionette
Anno: 2002
Regista: Takeshi Kitano;
Autore Recensione: Andrea Caramanna-
Provenienza: Giappone;
Data inserimento nel database: 05-09-2002


Dolls 1

Visto a Venezia 2002

Dolls
Regia: Takeshi Kitano
Fotografia: Katsumi Yanagijima
Sceneggiatura: Takeshi Kitano
Montaggio: Takeshi Kitano
Interpreti: Miho Kanno (Sawako), Hidetoshi Nishijima (Matsumoto), Tatsuya Mihashi (Hiro, il boss), Chieko Matsubara (la donna del parco), Kyoko Fukada (Haruna, la popstar), Tsutomu Takeshige (Nukui, il fan)
Produzione: Masayuri Mori, Takio Yoshida, Bandai Visual, Tokyo FM, TV Tokyo, Office Kitano
Origine: Giappone, 2002, 113 min, 35 mm
Sezione: Concorso

Che senso ha per Takeshi Kitano seguire le traiettorie di destini incatenati e tragici? Forse semplicemente il piacere cinico, crudele, di disegnare, con tutte le sfumature cromatiche, le traiettorie esistenziali. Esseri umani qualunque che si ostinano a recuperare qualcosa di perduto. In questa mancanza c'è tuttavia una parvenza di scelta, di consapevole decisione, spesso dettata dall'opportunità del momento, o semplicemente dal desiderio di risolvere tutti i problemi della propria vita. Matsumoto sceglie di sposare la donna del capo, ma l'abbandona alla cerimonia nuziale prima di sposarsi, perché innamorato di Sawako, la quale impazzisce di fronte alla decisione repentina del suo amato per il matrimonio. Anche il boss Yakuza in gioventù ha abbandonato un'amante che teneramente era disposta ad attenderlo sino alla fine dei suoi giorni seduta sulla panchina di un giardino. La popstar Haruna è assediata da migliaia di fan, che sono davvero intercambiabili. Ciascuno di loro ripete gli stessi riti. La vita di Haruna è invece esposta a ogni incidente come quella di tutti. La disgrazia la sfregerà irrimediabilmente, distruggendo in un istante la sua icona apparentemente incorruttibile. La rappresentazione e la scena sono sempre una tragica commedia di burattini. Come i pupazzi del teatro Bunraku (che campeggiano all'inizio e alla fine) anche Sawako e Matsumoto procederanno erranti legati da un filo che li unirà per sempre in fortuna e disgrazia. Il boss Yakuza si troverà di fronte alla dimensione paradossale e soggettiva del tempo. La follia infatti sembra distruggere ogni tipo di strutturazione temporale, e i sentimenti acquistano l'eternità attraverso la malata reiterazione. Procedimento ossessivo che Kitano ha sempre messo in moto in tutte le sue opere e che qui diventa in molti momenti quasi esclusivamente un gioco di percezioni poetiche. Kitano è probabilmente uno dei pochi cineasti che riesca a trasformare la tragedia in una prassi colorata della poesia. Questo percorso doloroso è un cammino di bellezza estetica perché immerso completamente nelle sfumature cromatiche, è sempre più un'esperienza del visibile che s'innesca con colori decisi, il bianco della neve o il rosso fiammeggiante dei ciliegi in fiore o delle pozzanghere di sangue.

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