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Sharon, l'accusato - Sharon, the accused
Anno: 2001
Regista: Fergal Keane;
Autore Recensione: Sandro
Provenienza: UK;
Data inserimento nel database: 09-04-2002


SHARON, L'ACCUSATO - Expanded Cinemah

SHARON, L’ACCUSATO
di Fergal Keane, BBC – UK 2001, 50’ circa

Il “falco” Ariel Sharon, primo ministro di Israele, è un uomo che vanta di essersi fatto tutto da solo. Forse però non si è accorto, parafrasando un celebre pezzo di Giorgio Gaber, di essersi fatto tutto di merda. Una battuta per dire che bisogna riconoscere a Sharon, guardando alla sua “esemplare” biografia, una caparbietà e una coerenza non usuali: l’unico obiettivo dichiarato della sua esistenza, come uomo, come soldato e come politico, è stato quello di distruggere il nemico (e il nemico palestinese in particolare).

Fin dalla proclamazione dello Stato d’Israele nel 1948 il giovane “Arik” – il soprannome di Sharon - si diede subito un gran da fare, insieme ai suoi compagni di merende Begin, Rabin e Shamir, a spiegare agli arabi chi fossero i nuovi padroni. I metodi cui ricorrevano l’esercito e i gruppi terroristici ebraici erano di per sé già assai producenti; ma Arik, giovane ed ambizioso, si mise in luce nel 1953 conducendo nel villaggio giordano di Qibya un’azione di grande efficacia, qui descritta dallo storico israeliano Avi Shlaim: L’ordine di Sharon era di entrare a Qibya, demolire le case e infliggere pesanti perdite ai suoi abitanti. Il suo successo nell’esecuzione dell’ordine oltrepassò ogni aspettattiva. L’intera e macabra storia di quello che è accaduto a Qibya fu rivelata solo la mattina successiva all’attacco. Il villaggio era stato ridotto a macerie, quarantacinque case erano state demolite, e 69 civili uccisi, due terzi dei quali donne e bambini. Sharon e i suoi uomini affermarono che essi credevano che tutti gli abitanti fossero andati via e che non avevano la minima idea che qualcuno potesse essere rimasto nascosto nelle case. L’osservatore delle Nazioni Unite che ispezionò il luogo giunse ad una differente conclusione. La scena era sempre la stessa: la porta scheggiata dai proiettili, il corpo disteso sulla soglia, a indicare che gli abitanti erano stati costretti a restare dentro mentre le loro case venivano fatte saltare in aria sopra di loro". Una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle NU, adottata il 24 novembre 1953 considerò l'attacco a Qibya come violazione delle clausole del cessate il fuoco e in contrasto con gli obblighi delle parti secondo l'Accordo di Armistizio Generale tra Israele e Giordania e la Carta delle NU, ed espresse "la più profonda censura all'azione". Ma Arik se ne fece un baffo e negli anni successivi, alla testa della famigerata Unità Speciale 101, fece strage di giordani, siriani ed egiziani e tali azioni contribuirono non poco a condurre Israele alla guerra del Sinai nel 1956. Quello stesso anno Arik, bramoso di ammazzare egiziani e di arrivare per primo al canale di Suez, contravvenendo agli ordini ricevuti, mandò i suoi uomini al macello. Moshè Dayan, anche lui non certo un chierichetto, si incazzò molto e gli stroncò momentaneamente la carriera. Stomaco di ferro, digerito in fretta lo smacco, Sharon rientrò sulle scene e contribuì sempre ad accelerare gli eventi che avrebbero portato alle guerre, nel 1967 (la guerra dei Sei Giorni) e poi nel 1973 (quella detta del Yom Kippur), fino alla catastrofe militare e morale del Libano (1982), dalla quale Israele sarebbe uscito solo 18 anni più tardi.

Alcune testimonianze riportano un significativo aneddoto riferito a Sharon. All’inizio degli anni Cinquanta, questi chiese ai propri ufficiali cosa avrebbero fatto se avessero voluto prendere la collina X, ma il governo avesse dato loro il permesso di prendere solo la collina Y. La soluzione fornita da Sharon era stata la seguente: “Naturalmente voi prendete la collina Y, e poi mandate un reparto in ricognizione per assicurarvi che ‘sia tutto a posto’. Il reparto ‘cade sotto il fuoco nemico’ della collina X, voi notificate al governo che il reparto è in pericolo e chiedete l’autorizzazione per soccorrerlo. Successivamente spiegate che per salvare il reparto avete dovuto prendere la collina X.” Il ragionamento già allora non faceva una grinza. Tanto più oggi che Sharon “è” il governo di Israele e quindi – i fatti lo dimostrano - le autorizzazioni se le dà da solo. La concentrazione del potere risolve i conflitti di interesse. Oltre al “panzone” di Israele ce lo insegna anche il “nano” nostrano.

Ma veniamo al reportage di Fergal Keane. Sharon: l’accusato è un’inchiesta estremamente esaustiva e convincente sui retroscena del massacro di Sabra e Chatila (settembre 1982), il “capolavoro” di Ariel Sharon (ma forse con l’attuale primavera di sangue ha già superato sé stesso…).

Ricordo brevemente i fatti…Nel giugno del 1982, come si è detto, l’esercito israeliano aveva invaso il Libano con l’obiettivo di annientare le basi della resistenza palestinese. Dopo tre mesi di bombardamenti incessanti e devastanti su Beirut (persino il presidente USA Reagan li definì “atti inammissibili”), l’OLP si ritirò dalla capitale libanese sotto la supervisione di un contingente internazionale. Quando anche la forza multinazionale levò l’ancora, prontamente l’infido Sharon, aggirando con eleganza l’impegno degli occupanti israeliani a non torcere un capello ai civili palestinesi rimasti, incarico’ la feroce falange cristiano-maronita – addestrata ed equipaggiata da Israele - di “occuparsi” dei campi profughi. Quel che successe è noto: all’incirca 2000 persone, in maggioranza vecchi, donne e bambini, furono fatte letteralmente a pezzi durante 36 ore consecutive di inumana barbarie. I soldati israeliani, le cui basi si trovavano a meno di 500 metri dai campi, rimasero a guardare e anzi fornirono supporto logistico ai falangisti e cercarono di aiutarli nel tentativo, tanto grottesco quanto inutile, di coprire l’enormità del massacro. Allora il mondo si indignò, anche a Tel Aviv ci furono oceaniche manifestazioni di protesta (non altrettanto oggi, purtroppo…), il governo fu persino costretto a nominare una commissione di inchiesta. “Una responsabilità - scriveva la commissione Kahane - deve essere attribuita al ministro della Difesa per aver trascurato il pericolo di atti di vendetta e di massacri da parte dei falangisti contro la popolazione dei campi profughi e per aver omesso di considerare questo pericolo quando decise di far entrare i falangisti nei campi.
Inoltre una responsabilità deve essere attribuita al ministro della Difesa per non aver predisposto misure appropriate per prevenire o per ridurre il pericolo di massacri come condizione per l'entrata dei falangisti nei campi. Questi errori costituiscono la mancata realizzazione della missione di cui era incaricato il ministro della Difesa”
. Come già nel 1956, “Arik il Sanguinario” fu mandato a casa per un po’, con una bella tirata d’orecchi. Niente di più. Mai nessun processo è stato celebrato contro i responsabili materiali e i mandanti di quell’eccidio. Eli Hobeika, che allora guidò le operazioni della Falange, ha fatto un po’ di carriera politica (ironia della sorte: è stato persino ministro per i profughi nel governo libanese!), poi è diventato uno degli uomini d’affari più potenti a Beirut e infine, nel gennaio scorso, è stato dilaniato da un’auto-bomba… Già, aveva appena dichiarato di essere disponibile a testimoniare contro Sharon nel processo intentatogli da una corte belga sulla base di una legge che attribuisce competenza universale alla giustizia di quel paese per i crimini di guerra, contro l'umanità e il genocidio... Qualcuno ha dei dubbi sui mandanti dell’attentato? Amos Yuron, comandante israeliano fuori da Sabra e Chatila, che ignorò i rapporti dei suoi subordinati sul massacro in corso nei campi, è oggi direttore generale del Ministero della difesa. Sharon ha raggiunto il vertice del potere e, com’è sotto gli occhi di tutti, continua oggi come allora a fare la sola cosa in cui è davvero bravo: macellare i palestinesi. Ed è evidente come sia un “lavoro” impegnativo, che non ammette intralci, che si tratti del rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani, o che si tratti di un giornalista rompiballe della BBC che tira fuori vecchie storie “morte e sepolte”, o che si tratti di giudici europei che non si fanno i cazzi loro e che dicono di avere per le mani documenti fino a ieri segreti, per esempio il verbale di un incontro tra Sharon e il capo delle Forze libanesi, Bechir Gemayel, nel corso del quale l’allora ministro della difesa israeliano esorta i fascisti locali ad agire per "ripulire i campi dai terroristi"...

Il documentario di Fergal Keane è stato trasmesso dalla BBC per la per la prima volta nel giugno 2001, nonostante le forti pressioni esercitate dal governo israeliano affinchè fosse messo al bando. E’ indubbiamente un reportage molto approfondito e ricco di testimonianze, prima di tutto i racconti dei superstiti del massacro - agghiaccianti - poi le interviste a giornalisti israeliani, giuristi, diplomatici e militari.

Ciò che Keane, da buon europeo, forse omette è di chiamare in causa un altro responsabile: la comunità internazionale. Secondo il piano di pace elaborato dal mediatore americano Philip Habib, la forza multinazionale, composta da statunitensi, francesi e italiani, avrebbe dovuto trattenersi anche dopo la partenza dei combattenti palestinesi, almeno fino al 21 settembre e anche oltre se ve ne fosse stata necessità. Già all’inizio di settembre Arafat, dall’esilio di Tunisi, aveva più volte manifestato la sua preoccupazione per la sorte di Sabra e Chatila ed aveva anzi chiesto espressamente al diplomatico francese Francis Gutman di adoperarsi affinchè la forza multinazionale restasse in Libano. Invece, tra il 9 e il 13 settembre, prima i marines, poi i bersaglieri e infine i legionari presero il largo. Il giorno dopo, una potentissima carica esplosiva sbriciolava il quartier generale della Falange cristiana: tra i venti morti anche il suo leader, Beshir Gemayel, neo-eletto presidente del Libano. C’erano i siriani dietro l’attentato ma questo non importava ai falangisti, dovevano sfogare la loro rabbia… Alle cinque di sera del 16 Settembre 1982 entrarono in Sabra e Chatila…

“Molte case erano state fatte saltare con la dinamite o spianate con i bulldozer, cosicchè tutto quello che rimaneva da vedere dei loro abitanti erano membra staccate, capelli misti a sangue o mani che uscivano dalle macerie. In un caso, una madre e un padre erano stati colpiti ripetutamente mentre cercavano di far scudo con il loro corpo a tre bambini, che giacevano nelle loro braccia, con i volti pietrificati, trasformati in maschere di terrore. Coloro che hanno visitato i luoghi dei massacri ed hanno osservato l’ubicazione delle postazioni degli israeliani, quali esse erano venerdì, a meno di 500 metri di distanza, non possono credere che il massacro abbia avuto luogo senza che gli israeliani sentissero o vedessero. Oltretutto, gli israeliani avevano sistemato dei posti di comando sulla sommità di due alti edifici che affacciavano sui campi. La conclusione è che, non solo gli israeliani avrebbero potuto osservare l’operazione dei falangisti – operazione che, almeno in parte, si svolse durante le ore del giorno – ma hanno certamente udito gli urli di dolore dei morenti.”

James Machanus, The Guardian del 20 settembre 1982

Fonti:

Scheda biografica su Ariel Sharon tratta dalla CNN News:
http://www.cnnitalia.it/2001/DOSSIER/elezioni.israeliane/israel.players/sharon.html

Articolo a firma di Amnon Kapeliouka apparso su Le Monde Diplomatique del novembre 2001:
http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Novembre-2001/0111lm16.01.html

Articolo a firma di Marina Morpurgo, apparso su Il Diario della Settimana, 6/12 ottobre 2000
http://www.diario.it/cnt/articoli/INVIATI/articolo186.htm

Profilo biografico di Ariel Sharon, a cura di Ennio Polito:
http://web.tiscali.it/balsam/d17.html

Andrew Gowers e Tony Walker, Yasser Arafat e la rivoluzione palestinese, Gamberetti Editrice 1994

Edward W. Said, La questione palestinese, Gamberetti Editrice, 1995

Bruno Marolo, Nell'inferno di Sabra e Chatila, Sugarco ed., 1986

Sharon l'accusato, di Paolo Di Motoli, da Ha Keillah, Bimestrale del Gruppo Studi Ebraici di Torino, NUMERO 5, dicembre 2001
http://www.hakeillah.com/5_01_15.htm