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A carta Anno: 1999 Regista: Manoel de Oliveira; Autore Recensione: Federica Arnolfo Provenienza: Portogallo; Data inserimento nel database: 06-06-1999
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A carta
Di Manoel de Oliveira
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Manoel de Oliveira è un regista non facile da giudicare e collocare.
Foss'anche per il solo fatto che a 90 anni continua, con evidente energia
e talento, a girare un film all'anno. E difficile da giudicare è
questo film, così anomalo nella sua produzione, o perlomeno in
quella parte della sua produzione che ci è stato dato di vedere
in Italia. Perché "A carta" (la lettera) non è
né un film filosofico, né profondo, né pesante.
La storia, quella di una donna che ha sposato un uomo che non ama e
che vive in un mondo dominato dalle convenzioni sociali ed ingessato dalle
regole che sovrintendono alla "reputazione", al punto che fuggirà
perennemente di fronte a quello che potrebbe essere l'amore della sua
vita anche quando ormai, morto il marito, potrebbe abbandonarsi senza
timore di mettersi in una posizione "sconveniente" a questa
passione, potrebbe essere tranquillamente quella di un film di Resnais,
di Rohmer, di Chabrol. O meglio: del peggiore Resnais, del peggiore Rohmer,
del peggiore Chabrol. Ché la banalità dei dialoghi, la puerilità
di certe soluzioni, il senso quasi di ridicolo che spesso si avverte nel
progredire della storia è appannaggio sicuramente di certo cinema
francese, ma di sicuro non di quello migliore, non di quello di "Racconto
d'autunno" o di "La vita sognata degli angeli".
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Perché? Perché il regista di film bellissimi, profondi e persino
inquietanti come "Viaggio al principio del mondo", "I misteri
del convento" ed "Inquietude" ci presenta oggi un film così
superficiale, così - a tratti - addirittura imbarazzante? Viene da pensare
che sia, almeno in parte, una scelta voluta, che "A carta" tenti,
in qualche modo, di puntare l'indice contro certo cinema francese, contro un
certo modo, assurdamente dominato dalle convenzioni sociali, di trascorrere
l'esistenza, contro chi, forse perché ha troppo dalla vita, poi in realtà
ha paura di vivere. Certo è che la fissità espressiva della ancorché
bellissima figlia di Marcello Mastroianni e l'impianto tipicamente teatrale
del film (questo, sì, tipico del regista) sembrerebbe proprio avallare
queste ipotesi.
Quale che sia, "A carta" mi pare un film piccolo, poco importante,
al punto da rendere incomprensibile la scelta della giuria di Cannes di assegnargli
il premio speciale della giuria. Ma, dopo aver visto capolavori come l'ultimo
Egoyan tra i film in concorso (totalmente ignorato), non ci si può in
fondo neanche stupire più che tanto.
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