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Scream 2
Anno: 1998
Regista: Wes Craven;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 23-09-1998


Scream2 di Wes Craven
Scream 2


Regia:Wes Craven
Sceneggiatura: Kevin Williamson
Interpreti: Neve Campbel, Elise Neal, Courtney Cox,
David Arquette, Sarah Michelle Gellar, Jada Pinkett

Distribuzione: Cecchi Gori
Formato: 35 mm.
Durata: 90 min.
Provenienza: USA
Anno: 1998


Uno dei casi in cui l'ingresso in sala dovrebbe essere subordinato ad un test di domande per valutare il livello di cinefilia, magari le stesse che poneva per telefono l'assassino stesso nel primo Scream. Infatti tutto è autoreferenziale: la realtà di riferimento è il film originale, di cui questa realtà è sequel, dunque i giovani studenti di cinema sono come filosofi che speculano sul vero a loro disposizione: il primo film attraverso lo specchio del suo proseguimento è l'autentico vero ("È una storia vera" si ripete all'inizio), che però è ulteriormente duplicato da un film nel film, che con attori diversi (attori anche per la situazione filmica) ripete Scream1, o addirittura ci vengono riproposte attraverso lo schermo immagini da poco viste. Però la conoscenza della storia e dei meccanismi del cinema non servono più a salvarsi: la morte del giovane sopravvissuto al primo film sarà il segnale che la mediologia nel breve lasso di tempo che intercorre tra i due film è mutata?

A questo punto senza fraintendimenti si può cominciare a giocare a coinvolgere il pubblico, che si trova di fronte un nuovo specchio: la proiezione di Stab. Questo labirinto di rimandi a sempre diversi universi di realtà è una ridondante tautologia eccessiva, ma utile all'intento di rispondere preventivamente ai soliti sociologi d'accatto che si improvvisano esperti mediologi in virtù del loro moralismo ascrivibile al condizionamento dei media ed inscenato dalla sequenza ad alto tenore cinefilo svolta in aula di storia del cinema, quando s'evidenzia l'insipienza degli studenti benpensanti, che addebitano all'immaginario cinematografico le cause delle nefandezze che gli spettatori perpetrerebbero, scaricando la coscienza adducendo prassi di emulazione già auto-assolte, una facilità di perdono inaccettabile persino per il sacramento simoniaco della confessione in Santa Romana Chiesa Cattolica Apostolica. Inoltre vedendosi già rappresentato dall'indifferenza alla violenza degli spettatori scatenati nel sabba, si suppone che nessuno si senta chiamato a ripetere le gesta della nuova coppia di assassini. Quale sarebbe dunque la realtà che ha copiato da chi? Craven rifiuta terreni platonici e dice chiaramente che "l'arte non imita un cazzo" in risposta al solito neorealista che asserisce che l'arte duplicherebbe la vita; e con questo racchiude completamente nell'universo filmico l'ispirazione ed il risultato della catarsi filmica. E allora si va da una citazione ad un rimando, da un confronto ad un'allusione, sussurrando titoli evidentemente amati, ma usati per assicurare che i numeri due sono inferiori. Dunque non aspettatevi innovazioni: per costituzione si devono ripercorrere gli stessi passi, ricostruire le medesime tensioni. Quindi Nosferatu si accompagna a "vuoi morire stanotte?", rigorosamente telefonico a dimostrare l'enorme irritazione che può derivare dalla profusione di telefonini, squilli e cordless che ci raggiungono ovunque.

    Della serie "film horror dentro un film horror",
    che riprende il film horror precedente ....
    "Non aprite quella sala ..." viene da pensare ...
    Il plot deboluccio prende forza grazie
    alla carica cinefila sfoggiata da Craven...
    Ma aveva proprio bisogno di spenderla in un sequel?
    La risposta costa il prezzo del biglietto.

    P.T.



Parentesi seria o dileggio sovrintendono l'esordio con il dialogo relativo alla mancanza di autentico cinema militante afro? Craven difficilmente è serio fino in fondo, ma probabilmente in questo caso è caustico da posizioni radical verso il vezzo intellettualistico di alcuni (Spike Lee?) che sognerebbero una nuova blaxploitation, senza apportarvi innovazioni; la polpetta avvelenata dell'assassino dipinto come ammiratore di Tarantino (il cui Jackie Brown è invece un riuscito tentativo di rivitalizzare il vecchio genere afro di moda nei '70s) rischia poi di inficiare l'assunto che il cinema non condiziona comportamenti violenti. Certo che riproporre l'ennesimo montaggio della doccia di Psycho non è sicuramente innovativo. Più interessante il fatto che si faccia rilevare il particolare che persino la maschera (che non a caso esprime l'orrore scandinavo di Munch) è bianca, dunque l'orrore riguarda esclusivamente i wasp, mentre i neri ne sono solo le prime vittime.

I limiti sono gli stessi dei valori: il remake di Top Gun in mensa per fare la dichiarazione è pleonastico, mentre si accennano spunti poi abbandonati senza motivo: i nomi delle prime vittime richiamano protagonisti del primo film, ma nulla poi ne spiega gli sviluppi, sarebbe costato poco chiudere anche questa digressione sardonica sugli indizi di cui sono costellati i classici serial. Banale la sequenza in teatro con i corifei mascherati e Cassandra-Sydney (Neve Campbell), perché è facile collocare scene drammatiche sul palco di un teatro e questa quinta non aggiunge nulla alle migliaia di consimili, ma ancora più imbarazzante è quella dell'epilogo raffazzonato con il classico doppio finale già risaputo nel primo Scream, che in questo caso diventa addirittura scandaloso per la pervicace volontà di salvare Gale, la vestale della notizia. Il personaggio di Courtney Cox viene risuscitato forse in omaggio ai fans di Friends, in previsione di un terzo tentativo, già rifiutato da Craven, che prova a non lasciare alcun sopravvissuto per scongiurare la terribile eventualità. Inutilmente, non avendo il final cut, nel quale vengono riportati tutti in vita probabilmente confondendosi con un film di zombies.
Plongèe indietro simmetrica a quella all'inizio del primo film a completare la sequela di riprese, queste sì serializzate (come si vede dalle due immagini scelte per illustrare la recensione) e proposte spesso con lo stesso taglio: la sintassi elementare forse è segnale della volontà del regista di farci meditare sul linguaggio televisivo adottato, reale assassino di immaginazione.