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L'Arche du Desert
Anno: 1997
Regista: Mohamed Chouikh;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Algeria;
Data inserimento nel database: 24-09-1999


L'Arche du Desert




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L'ARCHE DU DESERT


Regia: Mohamed Chouikh
Provenienza: Algeria
Anno: 1997
Durata: 90'

Da subito si avverte una tensione: il canto dei lavoratori è doverosamente colmo di energie, ma richiama i ritmi che gli schiavi si davano per svolgere il lavoro. E per di più sono tutti scuri di carnagione. Le differenze razziali e sociali sono pure denunciate esplicitamente dal protagonista perseguitato, ma il regista non percorre il registro popolar-insurrezionale, anzi condanna qualsiasi fazione. Un brivido corre per la pellicola all'arrivo di una donna più chiara, poi una folle corsa per le dune e l'improvvisa esplosione di violenza ripresa attraverso dettagli che terminano con un significativo primissimo piano di una giara che trabocca acqua in mezzo al deserto a significare il delitto avvenuto: in quei luoghi ogni goccia è sacra.

Si tratta dell'inizio di uno dei più feroci apologhi contro l'intolleranza e la divisione etnica che siano stati realizzati, la denuncia avviene attraverso la figura di un bambino, inquadrato nei momenti commentativi più significativi a fine sequenza e a lui sarà poi affidata la ribellione finale: un urlo disperato e arrabbiato anche all'indirizzo del vecchio saggio impazzito a cui risponde stizzito quando lo invita a salire sull'arca del titolo, abbandonato pure dalle vestali che lo avevano aiutato nel tentativo di evitare la guerra, un evento scritto destinalmente, ma non incontrovertibile, la cui ineluttabilità è da ascrivere alla natura umana. Ed il ragazzino sopravvissuto, che ci presta gli occhi, decide di andare a cercare un altro mondo dove non si uccidano i figli né si brucino le case: finisce il film e ci toglie il suo sguardo, abbandonandoci, orbati della capacità di valutazione, nella sabbia in cui affonda un'arca, che non navigherà mai: "Io non salgo su un'arca in mezzo alla sabbia. Parto per trovare la pace".

L'importanza del bambino nell'approccio interpretativo deriva dal fatto che l'impostazione del film è chiaramente didascalica, ma soprattutto cerca di far breccia sul pacifismo di ogni singolo spettatore e quindi l'atteggiamento nella lettura del film non può prescindere dall'essere sbilanciato sul punto di vista del fruitore più che del testo, di cui l'autore offre una scansione dei fatti sempre più velocemente proiettata all'epilogo tragico.

La condizione delle donne è rappresentata anche attraverso il loro rifiuto delle convenzioni ("La nostra condizione è peggiore di quella delle rane e delle cavallette" è la risposta all'uomo di Dio che le minaccia di trasformazione in animali), fino all'umiliante controllo di verginità, all'incatenamento e, quando gli eventi precipitano, al ripudio delle mogli appartenenti all'altra famiglia. Il climax ricorda un po' il primo film di Baldoni, l'ultimo episodio di Strane storie coglieva proprio l'exploit dell'odio su base etnica proprio come in questo film didattico si percorrono tute le tappe dell'intolleranza a partire da una causa futile per arrivare al deserto costellato di morti e vessilli di divisione sparpagliati nella sabbia.

Edificante negli intenti antibellicisti ("Quando la guerra inizia sembra una ragazza che mostra la sua bellezza, ma quando il rogo ci divora, sembra una vecchia"), il racconto diventa inquietante perché il taglio delle inquadrature non lascia scampo: l'escalation deve seguire un iter che viene documentato pedantemente dagli episodi, ma anche dalla progressiva chiusura degli spazi e quindi dalla improvvisa compressione dell'inquadratura che descrive le singole contese, i piccoli contrasti che fatalmente conducono allo scontro. Infatti allo stesso tempo i tentativi di comporre il dissidio sono ripresi in totale, spesso coinvolgono moltitudini in assemblea, vedono i più anziani cercare parole di pace, persino il vaticinio di sventura della veggente ci colpisce dall'alto di una semiplongée in macchina, ma con enormi distese attorno, sulle quali corre l'occhio (già orientato dalle panoramiche velocissime ad inquadrare le vestigia di quelle che saranno rovine), invece anche nel caso di grandi movimenti di masse, quando queste sono animate da desiderio di lotta, manca l'aria, ma soprattutto lo sguardo non sa dove trovare scampo: tutte le vie di fuga sono precluse.

La strage è scavalcata diegeticamente da un'ellissi, riempita dalle prime urla che ricacciano i due fuggitivi nella grotta, ma probabilmente ne vengono soltanto mostrati gli effetti devastanti alle luci del mattino perché il quadro si restringe ulteriormente fino a sparire, gli steccati avrebbero offuscato tutto, le menti risultano tanto ottenebrate e i gesti così indicibili, che l'unica cosa ancora rappresentabile è l'indignazione del bambino e lo strazio di Amin, il protagonista, di fronte al cadavere della madre, sgozzata come negli ultimi anni è prassi diffusa in Algeria; e anche nei casi reali le uniche immagini che ci restano sono di sporadici superstiti, non immagini dei gesti atroci dei fanatici, solo le gole squarciate delle vittime. Infatti dello spettacolo del massacro illuminato dal mattino seguente non ci viene risparmiato nulla e vi assistiamo attraverso la testimonianza dei due giovani amanti pretesto per la contesa, per accentuare la nostra contrizione e schiacciarci alla nostre responsabilità, già gravi soltanto per l'appartenenza al genere umano.

L'intento del film trova un fattore scatenante nella situazione contingente e quindi è opportuno virare la descrizione delle impressioni sul versante di una critica attenta al messaggio politico, perché questo è offerto con un linguaggio metaforico piacevolmente anni '70 senza la retorica di quel periodo. Le allusioni sono palesi nella figura barbuta (come gli adepti del FIS) che scatena la guerra santa e addirittura nell'inserto che vede i mercanti d'armi come avvoltoi appena fuori dal paese attirati dalla carneficina, ma persino i racconti orali che spesso costellano il cinema africano sono improntati ad una crudezza atroce: il bambino stesso, che proverà orrore per i comportamenti degli adulti, racconta una storiella agghiacciante su focacce cadute in mano a Satana, seguite nella loro sorte dalla madre solo perché tutte e tre sono cadute in terra. Un ragionamento che è palesemente debitore all'atmosfera integralista da cui lentamente l'Algeria sta tentando di affrancarsi con l'ultimo referendum pacificatore e soprattutto con i festeggiamenti dell'anniversario della liberazione.