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El año del tigre
Anno: 2011
Regista: Sebastián Lelio;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Cile;
Data inserimento nel database: 09-08-2013


“È meglio non sapere.” Nel 2011 Sebastián Lelio dirige El año del tigre. Un film curioso anche per la presenza di una tigre scappata da un circo. Il 27 gennaio 2010 il Cile è colpito da uno dei più forti terremoti della storia, provocando uno tsunami sulle coste cilene. Ci sono stati quasi 500 fra morti e dispersi e circa due milioni di sfollati. Il giorno prima del terremoto, in una squallida prigione, un detenuto – Manuel - incontra la moglie. Ha un rapporto squallido, dietro una tenda, si accoppiano con aggressività e senza sentimento. È un momento di disagio perché, annusando la moglie, comprende che qualcosa è cambiato, forse un tradimento, forse la volontà a costruire una propria vita, noncurante del marito prigioniero. Durante la notte il terremoto demolisce la prigione. Manuel riesce a fuggire e nascondendosi inizia un viaggio attraverso i disastri, i morti di un Cile devastato, e rivivendo il suo passato, la sua esistenza altrettanto deturpata. Cerca di raggiungere la famiglia, la moglie, la figlia. Troverà soltanto la casa sprofondata sotto l’acqua dello tsunami. Il regista predilige il campo lungo, sia durante la fuga nella campagna, sia nella descrizione realista e dettagliata degli effetti della catastrofe. Il campo lungo racconta il distacco fra Manuel e la calamità. Vede la borsa della moglie, il silenzio accompagna l’immagine per poi sentire un rumore soffice del mare, ora calmo, in precedenza mortale. Perfino il ritrovamento della vecchia madre avviene nel profondo silenzio. Una sepoltura triste, associata dal pianto dei tanti rumori del sottofondo. Fino a ora è stata una corsa in solitario, ora la vita intorno a lui comincia ad animarsi. Arrivano i primi soccorsi, si sentono gli elicotteri, i parenti cercano trepidamente i familiari. Intravede pure un circo spazzato via. Nell’acqua c’è una tigre scappata dalla gabbia. Libera gironzola sperduta fra le rovine. Una tigre potente vitale energica, intorno a tanta distruzione, consente tante simbologie. Mentre la canzone del “verso la terra di Canaan” accompagna la pellicola, assegnandogli un tema religioso e spirituale. Il confronto di Manuel e della sua religiosità lo affronterà in maniera drammatica quando s’imbatte in un vecchio contadino, guardiano di una casa colonica e della terra. Quest’anziano disadattato, asociale, cattivo lo assume per lavorare pagandolo con del cibo. Fra i due inizia uno dei momenti estremi. Il vecchio parla, si ubriaca e racconta la sua dimensione umana e la sua tragica esistenza. Questi momenti sono descritti in luce e controluce, una tecnica usata molto nel film. Il contadino parla di Dio, spara sentenze, nonostante sia ubriaco inizia una specie di danza al Signore. È completamente frastornato. Chiede perdono per i peccati, per essere stato molto cattivo e supplica Dio di ucciderlo perché si sente svuotato, solo, senza famiglia, senza speranza. Sarà Manuel a interpretare l’angelo vendicatore. Il viaggio verso la terra di Canaan continua. Nella desolazione delle città cilene le campane di una chiesa distrutta suonano. La gente si raduna di fronte alla chiesa e il prete celebra la messa. La ricerca di Canaan è un tragitto interiore, una riflessione spirituale. Ignoriamo il crimine di Manuel, il perché sia stato incarcerato, come tutti noi avrà dei peccati da scontare, ma se Dio possiamo affrontarlo, la giustizia umana deve avere il proprio corso. La rabbia dentro di lui si scatena colpendo le rovine di un palazzo. La conclusione è scontata: si ritrova dentro un cellulare ricondotto in prigione. Sempre in controluce, come se si trattasse di uno spirito anziché di un corpo. Sia in questo film, sia nel più famoso Vita di Pi di Ang Lee appare una simbolica tigre con cui confrontarsi. Entrambi i registi hanno un cammino da raccontarci. Il giovane Pi su una scialuppa, mentre Manuel a piedi fra le rovine di una catastrofe. Lelio sente il dolore della gente, sente il profondo legame con Dio. Dirige una pellicola di bassa produzione, alcuni momenti come il terremoto nella prigione sembra registrato con modesta possibilità scenica. Il viaggio è biblico sia per il richiamo musicale, sia per la presenza sconvolgente del vecchio contadino. È un momento di cinema intenso il confronto fra Manuel e il contadino peccatore. In tutto il film, oltre all’uso del controluce, è girato con ampi piano sequenza, con tanti silenzi, e con tanto simbolismo.