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Mascarades
Anno: 2008
Regista: Lyès Salem;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Francia; Algeria;
Data inserimento nel database: 13-02-2013


'”Io bevo e tu sei quello ubriaco.” La provincia algerina è abitata da gente capace di vivere intensamente, affrontare i problemi e fronteggiare i divertenti equivoci e malintesi della vita. È il mondo del regista Lyès Salem nel delizioso film Mascarades. Mounir Mekbek è un uomo sposato. Con lui risiede pure sua sorella Rym, la quale soffre di narcolessia, provocando l’ilarità nel paese. La ragazza è bella, ma per questo suo difetto fatica a trovare un aspirante marito. Il miglior amico di Mounir è Orgueilleux. Insieme formano una bella coppia di fanfaroni e nulla facenti. Orgueilleux è segretamente innamorato, ricambiato, di sua sorella. Però Mounir ha altri sogni, altre aspirazioni per Rym. Vuole cancellare i cattivi sarcasmi dei suoi paesani trovandogli un buon marito, benestante possibilmente straniero. È disperato per la sua malattia, afferma senza esitazione che se gli servisse a guarire sarebbe disposto a mangiare un maiale. Inizia una competizione attiva e umana fra uomini e donne. Un confronto di amore, ma anche di rivalità profonda. Perfino nell’immenso mondo arabo i rapporti fra i sessi sono contradditori, ci sono forme di machismo e femminismo diversi, ma non per questo inferiori. “Gli uomini hanno sempre ragione”, dichiara una giovane donna in un momento di debolezza. Gli risponde sdegnata subito una vecchia conoscitrice della vita “non dire sciocchezze.” Esempio, la furba Rym inganna il fratello con un finto incubo per nascondere il dialogo con il suo pretendente Orgueilleux. Oppure quando moglie e sorella alleate si schierano compatte contro Mounir: lui seduto sul divano e le donne a braccia conserte di spalla al lato, nere senza luce. Il film ha inizio con un corteo di moderne macchine nere affittate per un matrimonio. In un’ambientazione di un’assolata povertà, queste potenti automobili sono il contraltare, l’esaltazione di esseri diversi, almeno per l’importante giorno del matrimonio. Le auto arrivano sfrecciando, tutti le aspettano e conoscendo le conseguenze del loro passaggio - la polvere strade che si alza - tre anziani, con sguardo indifferente e con gesto meccanico, si riparano con il fazzoletto in bocca per salvarsi dal pulviscolo gettato in faccia. Le macchine ritornano spesso nella storia. C’è ne sono di tutti i tipi: moderne, scassate, gialle, verdi, nere. E servono per trasportare qualsiasi cosa. C’è tutto un viaggio in macchina con un pollo rognoso appeso alla carrozzeria lungo il deserto arabo. C’è il goffo tentativo di trarre vantaggio da un equivoco nato dalla voce di Rym: è fidanzata con un australiano, anzi no con uno svedese, anzi no con un canadese. La leggenda di essere fidanzata con pretendente bellissimo e ricchissimo s’ingrandisce e come tutte le bugie si stravolgono durante il passaparola: “so solo che alloggia in un hotel quattro stelle, quindi deve essere ricco.” Eppure la soluzione è semplice. Rym può guarire solo con la medicina universale: l’amore. Perché nonostante le differenze, le difficoltà, gli inganni, la povertà, Mounir è felice e ama la moglie follemente. Sempre in macchina la bella famiglia mostra la propria allegria cantando a squarciagola O sole mio. Segno di amore sono anche i balletti metaforici fra Mounir e la moglie quando sono arrabbiati, oppure quando si tirano asciugamani o coperte. È la dimostrazione dell’importanza del matrimonio, sia quello felice di Mounir, sia quello altrettanto gioioso della sorella. Il film è allegro, divertente, calzante, mai spiazzante. Unisce modernità alla tradizione. Il regista riesce a muovere gli attori e le comparse in tempi giusti. Utilizza l’ironia per legare i personaggi fra loro. Una fotografia solare risalta la vivacità dei caratteri.