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Zanan bedoone mardan (Women Without Men)
Anno: 2009
Regista: Shirin Neshat;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Austria; Francia; Germania;
Data inserimento nel database: 20-09-2009


Il colore verde è il colore che riempie la sala all'inizio della proiezione. Il verde è il colore dell'Islam. Qui rappresenta invece quello della speranza e della lotta di tanti giovani iraniani. La speranza di una vittoria verso la libertà che non è facile, che non sembra dietro l'angolo ma oggi è importante che tutti indossino il verde. Dal colore verde si passa ad un colore più sbiadito, quello dei colori dei film degli anni cinquanta, non violenti come gli attuali ma più opachi, più corposi. E' bellissima infatti la fotografia di questo film. Siamo nell'Iran dello Scia dei primi anni cinquanta quando i complotti per la distribuzione del petrolio erano già attuali e influenzavano le relazione internazionali. Si racconta degli anni cinquanta per descriverci i giorni d'oggi. Anche in quella epoca i conflitti internazionali si ripercuotevano sui movimenti politici interni, in quella epoca fra i fautori dello Scia e quelli dell'allora primo ministro. I conflitti fra i due movimenti vengono vissuti da delle donne che portavano, e ancora portano, sulle loro spalle tutte le conseguenze della vita sia di quella sociale/politica sia di quella personale. Sono vittime due volte. Infatti i protagonisti sono donne. Donne che vogliono partecipare alla vita politica ed emanciparsi e che non vogliono sposare colui che è stato designato dalla famiglia. Donne che vogliono liberarsi da vite famigliari e mariti che non amano. Prostitute che chiedono di essere donne libere e non oggetti. Donne semplici, innamorate, che fanno un lungo cammino di esperienze e di vita prima di prendere coscienza di quello che sono. Si devono liberare di tutte le violenze e i pregiudizi di un mondo sia fascista sia maschilista, o forse più maschilista che fascista in questo film. Perchè sul ruolo della donna in Iran sono tutti d'accordo, tutte le forse politiche, tutte le ideologie. Possono liberarsi solo con le loro forze. Le due chiavi di lettura sono evidenti e raccontate con forza. La regista Sharin Neshat è donna di battaglia, che combatte senza paura su entrambi i fronti. A volte viviamo il correre del film come se sbalzassimo in alto e basso in un modo violento soffrendo così di vertigini, soprattutto quando si parla del ruolo della donna, un subire immagini forti solo come emozione semplice e distante. Ma il film si riprende subito nella bellezza della lotta e dell'intrecciarsi delle vite private e quelle sociali. Certo i fiori finali sono di vario colore, ma il verde sicuramente prevarrà. Come sicuramente la vittoria finale sarà di tutti sia degli uomini che delle donne, in quanto zenza di loro sarà invece una sconfitta per entrambi.