Cielo
d’ottobre. Joe Johnston. 1999. USA.
Attori: Jake
Gyllenhall, Chris Cooper, Laura Dern, Chris Owen, William Lee Scott, Chad Lindberg
Durata: 105’
Titolo originale: October sky
Il 4 ottobre del 1957 il satellite sovietico Sputnik viene
lanciato in orbita sulla terra. Coalwood. West Virginia. Il giovane Homer
Hickam, figlio del minatore John, decide un giorno, affascinato dall’evento, di
costruire un razzo. Per farlo ha bisogno dell’aiuto di Quentin, un nerd da
tutti tenuto in disparte, e con altri due amici s’ingegna per realizzarne uno.
Al primo tentativo rischia di uccidere qualcuno della vicina miniera ed il
padre, responsabile per l’azienda di carbone, lo intima dal riprovarci. I
quattro decidono di costruirsi una base di lancio lontano dai territori di proprietà
dell’azienda, che gestisce la terra dell’intero paese. A dare una mano ai
ragazzi sono Miss Rileey, una professoressa che crede nelle loro capacità, ed
un saldatore della fabbrica legata alla miniera. La voce sugli esperimenti
condotti dai ragazzi si sparge presto e ad un lancio in particolare è presente
una quarantina di persone. La partenza ha successo. Il giorno del compleanno di
Homer, il fratello Jim ottiene una borsa di studio per meriti sportivi ed un
altro lancio intanto riscuote un tal successo che un giornalista presente
all’esperimento lo descrive su un quotidiano, rendendo celebri i ragazzi. Pochi
giorni dopo però vengono tutti arrestati colpevoli di aver scatenato un
incendio in una foresta con un razzo di cui si erano perse le tracce. I ragazzi
vengono espulsi dalla scuola e sono costretti ad abbandonare gli esperimenti e
la base di lancio. Ad una festa Homer scopre che Dorothy, la ragazza che lui
rincorreva, si è fidanzata con Jim, ma poco dopo gli si presenta Dorothy, una
ragazza innamorata di lui. La stessa notte l’ennesimo incidente in miniera vede
questa volta coinvolto il padre che rischia di perdere un occhio. Mancando i soldi
per le cure, Homer decide di andare a lavorare in miniera. Anche quando il
padre si riprende e torna sul posto di lavoro, Homer continua a lavorare fino a
che però non viene a sapere di una grave malattia che ha colpito la sua
insegnate. Da un colloquio con lei Homer si lascia convincere a riprendere con
gli esperimenti e può scoprire così, grazie ai calcoli di Quentin, che non è
stato il loro razzo a incendiare la foresta, perché atterrato da un’altra
parte. A creare il disastro è stato uno simile, ma di proprietà
dell’aeronautica. Homer decide di lasciare la miniera, peggiorando i rapporti
con il padre, ma spinto dalla sua passione decide di partecipare alla fiera
della scienza dove è in palio una borsa di studio. Qui gli rubano il progetto
ma grazie all’interessamento del padre (che fa rientrare uno sciopero per
l’occasione) ne ottiene un nuovo prototipo e vince il concorso. Di ritorno in
paese è accolto come un eroe e può riconciliarsi con la famiglia.
Un brutto film
solitamente si riconosce dai primi dieci minuti, sorpassati i quali è giusto
anche alzarsi dalla poltrona ed andarsene: Cielo d’ottobre è uno di
questi. Costruito interamente sul mito del sogno americano (ricamato questa
volta sul gruppo e non sull’individualismo) si tratta di un film decisamente
scontato, per un pubblico debole alle emozioni facili, adatto quindi sia ai
bambini che agli adulti con un cervello da bambini. Inzuppato e grondante di
buonismo (il duro padre di Homer che picchia un alcolizzato violento) e di lotta
al sindacato (oggetto che in America è sinonimo di comunismo o mafia) la
quinta pellicola di Joe Johnston è tratta dal romanzo Rocket Boys di H. H. Hickman Jr. (ispirato ad una storia vera), e
nel quale testo originale probabilmente sono già presenti tutti i requisiti per
cui appunto smettere di leggere il libro dopo le prime dieci pagine. Cielo d’ottobre dunque è un chiaro
esempio di come in un certo cinema la realtà sia piegata a modello di vita e
riproposta (e riprodotta) per riprodurre e riproporre. Se si eccettua il
contrasto cielo e terra (rappresentati da figlio e padre) la pellicola è a dir
poco agghiacciante: i quattro ragazzi che ottengono i meriti scientifici (come
è ben detto nelle tendine finali) hanno proseguito la carriera come progettista
della Nasa, ingegnere petroliere, rivenditore d’auto e bancario, proprietario
di una grossa assicurazione; tutti e quattro cioè sono portati a modello di un
successo che nel periodo storico in cui il film viene realizzato, non solo è in
piena crisi etica ma anche attaccato su tutti i fronti (sia al cinema che
nell’intero confronto intellettuale). Cosa più agghiacciante è constatare,
sempre nelle tendine finali, che gli altri protagonisti muoiono di morte
infelice e sofferente (minatore e professoressa). La dedica di Homer al suo successo
è tutta per la famiglia, i minatori che hanno contribuito, i professori scaltri
che scoprono talenti, in uno sguardo verso il cielo che non vede oltre che la
propria realizzazione (il razzo che si allontana). Anche a tal riguardo, una
falla di sceneggiatura dimostra l’invalidità di questa opera: Homer decide di
costruire i razzi solo dopo aver visto lo Sputnik, il satellite che aveva messo
in ansia l’intero popolo americano. Non è quindi nessuno l’ispiratore del gesto
(come lui asserisce nel finale), né un parente né un minatore, ma la
competizione che ha caratterizzato l’America degli Anni Cinquanta e la sua
corsa alla conquista dello spazio. Non c’è filosofia o un minimo di
religiosità, anche narrativa, in questa pellicola, se si considera che il sogno
americano non è una filosofia, ma l’ennesimo modello uscito dal consueto
stampino. Dice in chiusura Homer al padre, mostrandogli il pulsante per
lanciare il razzo “è tuo se vuoi!” ma
il pubblico con un minimo di coscienza dovrebbe domandarsi, al posto di
lasciarsi trasportare ingiustamente in uno stato emotivo codificato, se è
proprio possibile ciò in America, se un minatore cioè può decidere delle sorti
della scienza. Io credo di no. Il regista Joe Johnston dimostra con questo
lavoro di vivere in un altro mondo (ecco perché si scelgono altre date, perché
simboli contemporanei mancano), di essere un americano puro e conservatore, uno
di quelli cioè convinti che progresso e ambizione non solo fruttano per il
paese, ma soprattutto sono ottimi meccanismi che contribuiscono a saldare i
rapporti di classe ed a congiungere vere e profonde fratture generazionali.
Scontato, brutto, ben girato (come la media dei film americani) fa leva su
emozioni facili e passaggi codificati, è ha l’unico pregio nel mostrarsi sin da
subito come la solita minestra riscaldata che proviene da oltreoceano. Se una
volta il cinema di propaganda era Benito Mussolini che lavorava nei campi, il
mondo è cambiato, ma la propaganda ha la stessa puzza. Adatto a tutti i paesi
che non sanno come stimolare i ragazzi cui mancano altre vie di fuga oltre il
modello prestabilito: è un film pericoloso dunque, perché intriso di falso
ottimismo capace di diffondere speranze che arricchiscono solo chi le diffonde (basterebbe
mettere nella locandina promozionale la percentuale di americani che hanno
successo a questi livelli per dimostrare la falsa teoria di fondo di questa
pellicola). A proposito del confronto con l’Unione Sovietica, “ottobre” è il
mese dei russi e dei rivoluzionari, e Joe Johnston con questa pellicola ha solo
fatto quello che farebbe un vero americano, ha cercato di costruirsene uno
proprio: October sky.
Mario Bucci
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