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Cielo d’ottobre - October sky
Anno: 1999
Regista: Joe Johnston;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: U.S.A.;
Data inserimento nel database: 28-12-2005


La grande guerra

Cielo d’ottobre.  Joe Johnston. 1999. USA.

Attori: Jake Gyllenhall, Chris Cooper, Laura Dern, Chris Owen, William Lee Scott, Chad Lindberg

Durata: 105’

Titolo originale: October sky

 

 

Il 4 ottobre del 1957 il satellite sovietico Sputnik viene lanciato in orbita sulla terra. Coalwood. West Virginia. Il giovane Homer Hickam, figlio del minatore John, decide un giorno, affascinato dall’evento, di costruire un razzo. Per farlo ha bisogno dell’aiuto di Quentin, un nerd da tutti tenuto in disparte, e con altri due amici s’ingegna per realizzarne uno. Al primo tentativo rischia di uccidere qualcuno della vicina miniera ed il padre, responsabile per l’azienda di carbone, lo intima dal riprovarci. I quattro decidono di costruirsi una base di lancio lontano dai territori di proprietà dell’azienda, che gestisce la terra dell’intero paese. A dare una mano ai ragazzi sono Miss Rileey, una professoressa che crede nelle loro capacità, ed un saldatore della fabbrica legata alla miniera. La voce sugli esperimenti condotti dai ragazzi si sparge presto e ad un lancio in particolare è presente una quarantina di persone. La partenza ha successo. Il giorno del compleanno di Homer, il fratello Jim ottiene una borsa di studio per meriti sportivi ed un altro lancio intanto riscuote un tal successo che un giornalista presente all’esperimento lo descrive su un quotidiano, rendendo celebri i ragazzi. Pochi giorni dopo però vengono tutti arrestati colpevoli di aver scatenato un incendio in una foresta con un razzo di cui si erano perse le tracce. I ragazzi vengono espulsi dalla scuola e sono costretti ad abbandonare gli esperimenti e la base di lancio. Ad una festa Homer scopre che Dorothy, la ragazza che lui rincorreva, si è fidanzata con Jim, ma poco dopo gli si presenta Dorothy, una ragazza innamorata di lui. La stessa notte l’ennesimo incidente in miniera vede questa volta coinvolto il padre che rischia di perdere un occhio. Mancando i soldi per le cure, Homer decide di andare a lavorare in miniera. Anche quando il padre si riprende e torna sul posto di lavoro, Homer continua a lavorare fino a che però non viene a sapere di una grave malattia che ha colpito la sua insegnate. Da un colloquio con lei Homer si lascia convincere a riprendere con gli esperimenti e può scoprire così, grazie ai calcoli di Quentin, che non è stato il loro razzo a incendiare la foresta, perché atterrato da un’altra parte. A creare il disastro è stato uno simile, ma di proprietà dell’aeronautica. Homer decide di lasciare la miniera, peggiorando i rapporti con il padre, ma spinto dalla sua passione decide di partecipare alla fiera della scienza dove è in palio una borsa di studio. Qui gli rubano il progetto ma grazie all’interessamento del padre (che fa rientrare uno sciopero per l’occasione) ne ottiene un nuovo prototipo e vince il concorso. Di ritorno in paese è accolto come un eroe e può riconciliarsi con la famiglia.

Un brutto film solitamente si riconosce dai primi dieci minuti, sorpassati i quali è giusto anche alzarsi dalla poltrona ed andarsene: Cielo d’ottobre è uno di questi. Costruito interamente sul mito del sogno americano (ricamato questa volta sul gruppo e non sull’individualismo) si tratta di un film decisamente scontato, per un pubblico debole alle emozioni facili, adatto quindi sia ai bambini che agli adulti con un cervello da bambini. Inzuppato e grondante di buonismo (il duro padre di Homer che picchia un alcolizzato violento) e di lotta al sindacato (oggetto che in America è sinonimo di comunismo o mafia) la quinta pellicola di Joe Johnston è tratta dal romanzo Rocket Boys di H. H. Hickman Jr. (ispirato ad una storia vera), e nel quale testo originale probabilmente sono già presenti tutti i requisiti per cui appunto smettere di leggere il libro dopo le prime dieci pagine. Cielo d’ottobre dunque è un chiaro esempio di come in un certo cinema la realtà sia piegata a modello di vita e riproposta (e riprodotta) per riprodurre e riproporre. Se si eccettua il contrasto cielo e terra (rappresentati da figlio e padre) la pellicola è a dir poco agghiacciante: i quattro ragazzi che ottengono i meriti scientifici (come è ben detto nelle tendine finali) hanno proseguito la carriera come progettista della Nasa, ingegnere petroliere, rivenditore d’auto e bancario, proprietario di una grossa assicurazione; tutti e quattro cioè sono portati a modello di un successo che nel periodo storico in cui il film viene realizzato, non solo è in piena crisi etica ma anche attaccato su tutti i fronti (sia al cinema che nell’intero confronto intellettuale). Cosa più agghiacciante è constatare, sempre nelle tendine finali, che gli altri protagonisti muoiono di morte infelice e sofferente (minatore e professoressa). La dedica di Homer al suo successo è tutta per la famiglia, i minatori che hanno contribuito, i professori scaltri che scoprono talenti, in uno sguardo verso il cielo che non vede oltre che la propria realizzazione (il razzo che si allontana). Anche a tal riguardo, una falla di sceneggiatura dimostra l’invalidità di questa opera: Homer decide di costruire i razzi solo dopo aver visto lo Sputnik, il satellite che aveva messo in ansia l’intero popolo americano. Non è quindi nessuno l’ispiratore del gesto (come lui asserisce nel finale), né un parente né un minatore, ma la competizione che ha caratterizzato l’America degli Anni Cinquanta e la sua corsa alla conquista dello spazio. Non c’è filosofia o un minimo di religiosità, anche narrativa, in questa pellicola, se si considera che il sogno americano non è una filosofia, ma l’ennesimo modello uscito dal consueto stampino. Dice in chiusura Homer al padre, mostrandogli il pulsante per lanciare il razzo “è tuo se vuoi!” ma il pubblico con un minimo di coscienza dovrebbe domandarsi, al posto di lasciarsi trasportare ingiustamente in uno stato emotivo codificato, se è proprio possibile ciò in America, se un minatore cioè può decidere delle sorti della scienza. Io credo di no. Il regista Joe Johnston dimostra con questo lavoro di vivere in un altro mondo (ecco perché si scelgono altre date, perché simboli contemporanei mancano), di essere un americano puro e conservatore, uno di quelli cioè convinti che progresso e ambizione non solo fruttano per il paese, ma soprattutto sono ottimi meccanismi che contribuiscono a saldare i rapporti di classe ed a congiungere vere e profonde fratture generazionali. Scontato, brutto, ben girato (come la media dei film americani) fa leva su emozioni facili e passaggi codificati, è ha l’unico pregio nel mostrarsi sin da subito come la solita minestra riscaldata che proviene da oltreoceano. Se una volta il cinema di propaganda era Benito Mussolini che lavorava nei campi, il mondo è cambiato, ma la propaganda ha la stessa puzza. Adatto a tutti i paesi che non sanno come stimolare i ragazzi cui mancano altre vie di fuga oltre il modello prestabilito: è un film pericoloso dunque, perché intriso di falso ottimismo capace di diffondere speranze che arricchiscono solo chi le diffonde (basterebbe mettere nella locandina promozionale la percentuale di americani che hanno successo a questi livelli per dimostrare la falsa teoria di fondo di questa pellicola). A proposito del confronto con l’Unione Sovietica, “ottobre” è il mese dei russi e dei rivoluzionari, e Joe Johnston con questa pellicola ha solo fatto quello che farebbe un vero americano, ha cercato di costruirsene uno proprio: October sky. 

 

 

Mario Bucci

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