Il
grande dittatore. Charles
Spencer Chaplin. 1940. USA.
Attori: Charles S. Chaplin,
Paulette Goddard, Jack Oakie, Reginald Gardiner
Durata: 128’
Titolo originale: The great dictator
Questa storia si svolge tra le
due guerre mondiali in un periodo in cui la pazzia prese il sopravvento, la
libertà fu calpestata e l’intera umanità gravemente bistrattata. Durante la grande guerra del 1918 un
barbiere ebreo un po’ impacciato si trova al fronte a combattere per il suo
paese, la Tomania. Aiuta un pilota d’aereo in missione a tornare in patria ma a
causa di un incidente perde la memoria e finisce in una casa di cura. Trascorsi
gli anni, e a causa della Grande Depressione, il popolo di Tomania facilita
l’ascesa di Adenoid Hynkel il quale, convinto della supremazia della razza
ariana, perseguita gli ebrei del ghetto inviando squadre di camicie grigie.
Fuggito dal manicomio, il barbiere fa ritorno nella sua abitazione e trovandosi
di fronte le guardie, ed essendo all’oscuro di tutto, viene salvato solo in
extremis da Anna, una lavandaia, che però non riesce a salvarlo una seconda
volta, quando cioè rischia di essere impiccato in strada. A salvarlo questa
seconda volta è il pilota Schultz, uno dei gerarchi del nuovo governo di
Hynkel. Per invadere l’Ostria, il dittatore Hynkel pensa di farsi finanziare
dalla comunità ebraica ed ordina di smettere con le persecuzioni nel ghetto.
Gli ebrei si convincono che le cose siano cambiate mentre tra il barbiere e la
lavandaia sboccia l’amore. Poiché però la comunità ebraica si rifiuta di
finanziare l’attacco all’Ostria, Hynkel ordina a Schultz nuovamente di
aggredire la gente del ghetto ma il gerarca, rifiutatosi, viene fatto
incarcerare. Poco dopo però si diffonde la notizia che Schultz è riuscito a
fuggire e che si è nascosto nel ghetto così le camice grigie hanno il pretesto
per irrompere nuovamente e, non trovando il barbiere datosi alla fuga sui
tetti, gli incendiano il locale. Anna e il barbiere sognano allora di
trasferirsi in Ostria. Nascosto nella cantina della lavanderia, Schultz propone
di attentare alla Cancelleria ma alla fine gli ebrei del ghetto si rifiutano di
rispondere con la violenza. Scoperti dall’ennesima ronda delle camice grigie,
Schultz ed il barbiere vengono deportati in un campo di concentramento. Anna e la
sua famiglia vanno in Ostria mentre Hynkel invita Benzino Napoloni, dittatore
di Bacteria già al confine con le sue truppe, per discuterne l’invasione.
Schultz ed il barbiere intanto sono riusciti a fuggire dal campo di
concentramento travestiti da gerarchi di Tomania e vista l’incredibile
somiglianza di quest’ultimo con Adenoid Hynkel, alcuni militari lo scambiano
per il fuhrer e lo accompagnano al confine dove le truppe attendono il comando
per invadere l’Ostria. Involontariamente quindi, il barbiere si ritrova a dare
il via all’occupazione ed incominciano così le persecuzioni agli ebrei anche in
questo paese. Una volta completata l’annessione, il finto Hynkel tiene un
discorso inaspettatamente umano e gentile e, rivolgendosi ad Anna (parlando
però sempre alla radio) prospetta un futuro diverso per tutti in nome della
democrazia.
Esistono pochi autori e poche
pellicole in grado di parlare del tempo corrente alla realizzazione dell’opera di questioni mondiali e di
rilevanze umane globali. Chaplin e Il
grande dittatore hanno questa caratteristica. Girato e proiettato prima
della conclusione tragica della seconda guerra mondiale, il film è una lucida
analisi sul tempo che scorre appunto (così come lo erano state le precedenti
pellicole del regista) sul significato di un insieme di popoli (quello tedesco
e quello italiano in particolare) che avevano deciso di dichiarare guerra non
solo agli stati ma ad intere razze, come quella ebrea appunto. La forza ed il
genio di Chaplin però, non si soffermano alla realizzazione di un testo
pacifista ed irriverente nei confronti di tutte le dittature (Hynkel e Napoloni
sono due vere macchiette litigiose che si fanno la guerra a suon di cibo) ma
sulle capacità anche del cinema come mezzo di comunicazione, da una decina
d’anni ormai stabilizzatosi sul sonoro, e che proprio grazie al comizio finale
dimostra tutte le sue potenzialità. La parola parlata adesso ha un significato
ed una forza che le mancava da tempo, essa serve nel peggiore dei casi a
promuovere iniziative violente ed ordini gerarchicamente irriconoscibili (il
fuhrer che parla ai megafoni nel ghetto) ma che in alcuni casi (alla fine
sembrerebbe dire il regista) possono capovolgere un percorso ed indicarne uno
nuovo, migliore. La parola come propaganda della pace e del rispetto delle
persone, un gesto che rese ancor più pericoloso un regista già da tempo messo
sotto inchiesta ed inserito nelle liste nere del maccartismo. Buffo, scaltro ma
incapace, il barbiere del ghetto una volta salito sul palco del potere diventa sicuro,
affidabile, concreto e soprattutto lucido (era folle al fronte, era smemorato
in manicomio, era distante nel ghetto), capace di farsi comprendere in ogni
angolo in cui la sua voce può arrivare (la diffusione della radio e del
messaggio) e soprattutto coraggioso, perchè a parlare di pace e rispetto
dell’uomo, in tempo di guerra, è un gesto estremamente coraggioso. Farcito di
gag e immagini entrate di diritto nella storia del cinema (su tutte Hynkel che
gioca con il mappamondo) il film ha almeno un paio di sequenze davvero
divertenti ed irripetibili come la scelta di colui che deve sacrificarsi per
far saltare in aria la Cancelleria, affidata ad una moneta in un budino. È
anche uno dei rarissimi film (e questo è deducibile anche dalla data della sua
realizzazione) in cui un nazista (il comandante Schultz) viene difeso e
nascosto dagli ebrei, perchè dopo l’apertura dei campi di concentramento
diventerà davvero impossibile salvare anche un solo nazista dal giudizio della
storia. A tal proposito infatti lo stesso regista si scusò per averne fatto una
farsa, poichè all’oscuro di ciò che avveniva veramente nei campi di
concentramento. Così come in Tempi moderni (1936) anche qui il progresso
viene sminuito e ridicolizzato, questa volta al servizio della guerra, poiché
ogni nuova invenzione ha sempre un difetto che conduce alla morte di colui che
la sperimenta. Ancor più che nelle pellicole precedenti poi, si consolida la
capacità del Chaplin attore di recitare e far ridere a ritmo di musica, di
costruire intere sequenze come se fossero danzate, come il taglio della barba
sulle note ed il ritmo imponente della 5° danza ungherese di Brahms. Nel ruolo
dei mazzieri delle camice grigie ritroviamo attori che una volta interpretavano
i poliziotti nelle gag degli anni Venti dirette dallo stesso Chaplin: non è
solo una questione di comodità artistica, ma soprattutto un continuum tra
polizia e camice grigie, tra repressione ordinaria e repressione “straordinaria”.
I protagonisti sono persone comuni, presi dalla strada o appartenenti ai più
bassi strati della società, ed il regista non rinuncia nemmeno questa volta ad
inserire un personaggio privo di radici, Anna (Paulette Goddard) orfana
lavandaia che s’innamora del barbiere e che sogna un futuro diverso. Il cinema
di Chaplin ancora una volta allora guarda al futuro con la lucentezza degli
occhi di lei, al qual viso attribuisce sogni e speranze. La pellicola fu
distribuita in Italia solo nel 1949 e con parecchi tagli che soppressero la
figura della moglie di Mussolini, perché ancora in vita al tempo del film. Solo
nel 2002 si è potuto finalmente vedere la versione integrale (seguita a quella
del 1972 dove Oreste Lionello aveva ridoppiato Chaplin). Un’altra scena
tagliata fu quella in cui la moglie ebrea di Hynkel pativa frustrazioni
sessuali e sognava, per compensazione, la conquista di Parigi ed il passaggio
sotto l’Arco di Trionfo [i]. Con
le debite misure e distanze, e a quasi cinquanta anni di distanza sia da questo
film che dai fatti che lo hanno ispirato, il solo La vita è bella (1997) di Roberto Benigni è stato capace di
raccontare la tragedia dell’Olocausto e della seconda guerra hitleriana con lo
stesso genere cinematografico. A dimostrazione di come siano gli americani,
solo il film del regista italiano ha ottenuto un merito agli Oscar (miglior
film straniero) mentre quello di Chaplin gli valse tutt’al più solo problemi. Tra
dramma e comicità farsesca (soprattutto l’inizio in guerra ripreso da un suo
precedente lavoro Charlot soldato (1918) [ii] da
lui sempre diretto) s’inserisce proprio l’uso intelligente del suono, che mette
su due piani diversi i deliri incomprensibili di Hynkel e il messaggio di pace
del barbiere. Costato l’enorme cifra di due milioni di dollari, il film ottenne
grande successo permettendo al regista di risanare il buco creato con il fiasco
del precedente Tempi moderni (1936). All’epoca
in cui uscì, Il grande dittatore non
piacque al presidente americano T. Roosevelt perché poteva minare i rapporti
tra il paese e quelli sudamericani, dichiaratamente filo-nazisti.
Bucci Mario
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