Spasmo.
Umberto Lenzi. 1974. ITALIA.
Attori: Robert Hoffman, Suzy
Kendall, Ivan Rassimov, Monica Monet, Guido Alberti, Franco Silva
Durata: 95’
Cristian conosce la bella e
bionda Barbara, sposata, che s’invaghisce di lui. La segue in un motel, ma una
volta nel bagno è aggredito da uno sconosciuto armato di pistola che però
riesce a disarmare ed a sparare. Terrorizzato segue Barbara in una villa a
precipizio sul mare, lasciando il cadavere dell’uomo nel motel. Nella villa,
nella quale s’intrufolano senza permesso, sono scoperti dai proprietari.
Incomincia per Cristian un ossessivo delirio: un uomo sembra pedinarlo ovunque,
l’uomo morto nel bagno riappare più vivo che mai ed intenzionato ad ucciderlo,
ed una serie di brevi flashback che però non gli chiariscono cosa stia veramente
accadendo. Sfuggito al killer, ed avendolo finalmente ucciso, Cristian va nella
fabbrica del fratello Fritz dove ascolta la verità: Fritz, preoccupato per la
salute mentale di suo fratello, aveva fatto di tutto per farlo impazzire definitivamente,
per farlo internare poiché pericoloso, ma viste come si erano messe le cose,
aveva chiesto al killer di farlo fuori. Tutti sono, infatti, convinti che il
cadavere nell’auto di Cristian sia quello suo, tranne suo fratello Fritz. Cristian
ha finalmente un confronto con lui, nel quale emerge che è un pazzo, che da
piccolo ha ucciso il padre, e che la sua follia è ereditaria. Raggiunta a casa
sua, Cristian si lascia andare ad un abbraccio focoso con Barbara, ma poi la
uccide. È effettivamente pericoloso, e adesso se ne accorge anche lui, nel
momento in cui gli passano davanti agli occhi le immagini in cui ha ucciso
tutte le donne con le quali è rimasto solo. Scoperto dal marito di Barbara, gli
chiede di essere ucciso, e viene sparato. Rimasto solo, Fritz entra in una
stanza piena di bambole vestite in maniera provocante. Le pugnala, pensando che
anche lui è pazzo come il fratello.
Buon thriller psicologico a
sfondo sessuale, diretto con sapiente regia da parte di uno dei più bravi
artigiani del genere, anche se debitore in qualche modo degli insegnamenti del
più grande maestro italiano del cinema di genere, Mario Bava, del quale Sei donne per l’assassino (1964) sembra
volutamente citato nei titoli di testa e nella sequenza finale, con le bambole (nel
film di Bava erano busti per modelli). Il film si avvale di tutta una serie di
stereotipi senza metterli troppo in evidenza (l’uso degli animali impagliati
per esempio) evitando così di trasformare il prodotto in una caricatura,
difetto che si verifica invece nella maggior parte delle pellicole di genere
prodotte e realizzate in questi anni. Buono la resa degli attori, senza eccessi
o cadute eccessive di tono, manca purtroppo di quella eleganza che invece aveva
caratterizzato le pellicole dirette proprio da Mario Bava. L’idea di base
(forse discutibile, forse no) è dunque che la follia sia ereditaria, ma ciò che
si può apprezzare invece del film è la sua struttura narrativa, con
capovolgimenti che rendono i cattivi dei buoni e l’eroe della storia un colpevole.
Ambiguo e ben portato il personaggio interpretato da Ivan Rassimov, il fratello
Fritz, soprattutto nella sequenza finale tra le bambole. Un film insomma, che
mette insieme gli elementi misogini classici dei thriller all’italiana e quelli
del complottismo, di matrice americana. Musiche di Ennio Morricone.
Bucci Mario
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