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C'est arrivé près de chez nous
Anno: 1992
Regista: Rémy Belvaux;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Belgio;
Data inserimento nel database: 18-07-1999


Il Cameraman e l'assassino
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C'est arrivé près de chez vous


Regia: Rémy Belvaux, André Bonzel, Benoit Poelvoorde
Soggetto: Rémy Belvaux, André Bonzel, Benoit Poelvoorde, Vincent Tavier
Sceneggiatura: Valerie Pavent
Fotografia: André Bonzel
Montaggio: Eric Dardill, Rémy Belvaux
Musica: Jean Marc Chenut
Trucco: Bénédicte Lescalier
Produzione: Les Artistes Anonymes
Formato: 35 mm. B/N
Provenienza: Belgio
Anno: 1992
Durata: 1 hr. 39 min.

Benoit Poelvoorde ... Ben
Jacquelin Poelvoorde Pappaert ... madre di Ben
Nelly Pappaert...nonna di Ben
Hector Pappaert...nonno di Ben
Jenny Drye...Jenny
Malou Madou...Malou
Willy Vanderbroecke...Willy
Regista...Rémy Belvaux
Operatore...André Bonzel
1° microfonista...Jean Marc Chenut
2° microfonista...Alain Oppezzi
3° microfonista...Vincent Tavier

Gina Gotica...madre della famiglia Villa
Ricardo Gotica...figlio della famiglia Villa
Pierre Vanbroeckel...padre della famiglia Villa
Marcel Engels...operatore tv
Franco Piscopo...microfonista tv
Alain François...reporter tv
morts a l'ecran
morts au montage

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Cattivissimo, cruento, bastardo come solo in quel paese sanno essere: un crogiuolo di umane bassezze in cui i cinici sguazzano, gongolando fino all'ultimo scherno di presentare come "morts a l'ecran" la lunghissima serie di vittime uccise quasi immotivatamente dal demente protagonista Benoit, assassino di professione, seguito, quasi scortato dalla troupe dapprima e poi gradualmente ridotta a complice, tanto che nello stillicidio viene coinvolta in toto: gli unici che si salvano (e solo perché non siamo a portata di schermo) sono gli altri complici: noi spettatori, che finiamo con l'assistere all'impressionante serie di delitti, gradualmente comprendendo come l'orrore e l'indifferenza con cui vengono perpetrati sia spiegabile e questo ci rende bestie alla stessa stregua del mostro e consapevoli di appartenere allo stesso genere (umano?). Quella persona beluina (assolutamente normale, soprattutto in Belgio) non può provare nulla nei confronti degli sconosciuti che sceglie come vittime; altro discorso si scatena quando cominciano a morire anche i membri della troupe che funge da diario e memento delle sue gesta. Si arriva al punto da considerare quasi un corso di arte assassina l'intero film, girato in soggettiva della macchina da presa (e questo lo accomuna a Guy come a Edtv), che coincide con un personaggio che talvolta si sente parlare, ma di cui non si ha percezione fino alla fine quando cade morto, disgiungendo il suo destino dal nostro di spettatori, coinvolti pure in uno stupro: porzione davvero infelice e per fortuna meno sopportabile, che in questa guisa dà il significato dell'operazione (e preannuncia Haneke, anche per l'uso della moviola, non per cambiare gli eventi, ma per analizzarli). Infatti l'intento è quello di mettere in guardia verso i meccanismi di immedesimazione e contemporaneamente con questo episodio intollerabile offre un giudizio etico sulle malefatte anche del cinema verité che finisce con il trascendere e farsi protagonista.

Come si evince dai nomi e dai ruoli, l'inquietante intreccio tra realtà e rappresentazione si accentua per le relazioni che intrattengono autenticametne le persone coinvolte nella realizzazione del film: agiscono se stessi in un allucinante mescolanza di quotidianità e simulazione, quasi che gli autori vogliano autodenunciare la loro potenziale propensione all'omicidio gratuito, quasi urlata da Benoit, uno degli autori, che sullo schermo mostra l'intera famiglia, che si rivolge spessissimo in macchina, in un ulteriore abbraccio di tutti i fattori agenti (pubblico compreso).

Il fatto che sia ampiamente metaforico è testimoniato da alcuni gustosi episodietti, uno dei quali è l'intreccio della masnada di cinematografari alle calcagna del protagonista con un'altra troupe, televisiva però, che sta seguendo un gangster rivale: la fine di questo decreta anche la vittoria del cinema sulla tv e lo sterminio del gruppo rivale, primo omicidio a cui partecipano attivamente i giovani dediti alle riprese, che fino a quel momento rimangono colpevolmente inerti e spettatori di fronte alle gesta del pazzo (particolarmente cruenta la fine della famiglia, ma anche allucinante l'omicidio della vecchietta o del bambino soffocato dal cuscino: tutti momenti di alta professionalità criminale), per poi scivolare nella più vieta adesione al meccanismo che non lascia scampo. Probabilmente proprio come il sistema narratologico che non permette di sottrarsi alla fascinazione. Le vittime non hanno alcuno scampo: una volta inquadrate il loro destino è segnato e la voce arrogante, supponente del killer che spiega ogni gesto diventa familiare e alla fine convincente. Purtroppo Belvaux non ha avuto il coraggio di Haneke e la punizione colpisce tutti, anche i cineoperatori, e la macchina da presa cade citando l'epilogo di Der Stand der Dinge di Wenders; giustamente, ma non ricalcando la realtà se non quella filmica: infatti noi continuiamo a circolare impuniti.

Un altro tassello della morte al lavoro; e qui fa gli straordinari.