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π - Il teorema del delirio - π
Anno: 1997
Regista: Darren Aronofsky;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 13-07-2004


La grande guerra

Π - Il teorema del delirio. Darren Aronofsky. 1997. USA.

Attori: Sean Gullette, Mark Margolis, Ben Shenkman, Pamela Hart, Stephen Pearlman, Samia Shoaib, Ajay Naidu

Durata: 84’

Titolo originale: Π

 

 

USA. New York. Chinatown. Il giovane matematico ebreo Maximilian Cohen vive la sua vita in base ai numeri. Egli è convinto che l’intera esistenza possa essere ridotta ad una formula, forse ad una cifra sola, e che per raggiungere questa soluzione si debba studiare il motivo a spirale, formula geometrica vitale, che egli rivede in ogni particolare della sua esistenza, dal guscio di una conchiglia marittima ai cerchi di fumo di una sigaretta. Max vive in un appartamento dentro il quale esiste solo un enorme, inestricabile insieme di cavi e teleschermi collegati con la borsa di New York, della quale sta cercando di scoprirne il significato. In un bar conosce un fanatico della sua stessa religione, un altro appassionato di numeri impegnato a ricavare il nome di Dio, come scritto nella Torah, composto di 216 cifre. Dietro alle teorie di Maximilian c’è anche una donna di colore che gli dà la caccia per avere informazioni sull’andamento della borsa. Max è convinto infatti che il sistema di borsa sia sorretto da un’unica cifra vitale che permetta all’osservatore di anticiparne le mosse. Per mantenere alto il livello della sua concentrazione paranoica, Max fa uno sregolato uso d’eccitanti ed a consigliargli di rallentare questo stile di vita è Sol, il suo vecchio professore di matematica che, giunto vicino al segreto delle 216 cifre, ha deciso di fare un passo indietro per godersi la vita. Grazie ad un potentissimo processore offertogli dalla donna di colore, e grazie alle interpretazioni numeriche ebraiche, Max ottiene quel numero, ma non è l’unico a volerlo. Sfuggito sia ai managers che ai rabbini, comprende che quel numero è la prossimità della morte con la vita. Decide di perforare la sua testa con un trapano.

Felice esordio newyorkese di un regista ed un attore (entrambi firmano il soggetto) davvero bravi a rappresentare un autentico delirio numerico. A metà strada tra un film alla moda (ritmo techno e teoria dei numeri) ed un cinema d’autore (che pone cioè grandi quesiti), Darren Aronofsky confeziona un thriller veloce e per nulla didascalico o manieristico, rappresentato da uno smunto ed angosciante bianco e nero, assolutamente sgranato ma convincente (fotografia di Matthew Libatique). Le teorie di base della filosofia matematica di Maximilian sono principalmente basate sulla matematica come linguaggio della natura, grazie al quale presupposto tutto può essere rappresentato e spiegato attraverso i numeri. Il suo obiettivo è quello dunque di ricavare numeri semplici dalla scomposizione di ogni sistema complesso per far emergere l’esistenza di un modello stabilito, calcolabile, verificabile, non contraddittorio. La ricerca di questo modello lo conduce alla follia, lo costringe ad una discesa negli inferi di una cultura capitalista di massa, al riconoscimento dell’esistenza (secondo la quale idea anche un computer, un calcolatore, riconoscendosi tale e non trovando in lui altro significato, decede di morire) ed in fine al suicidio di fronte a questa: la paura di guardare in faccia la vita, di pronunciare le 216 cifre che portano a Dio. Senza perdersi in un inestricabile confronto tra scienza matematica e scienza religiosa, il regista approda ad una soluzione forse un po’ scontata, prevedibile, ma assolutamente in linea con il folle percorso a spirale del protagonista, un percorso che si chiude nel sé, attraverso il passaggio e lo scambio degli opposti, scienza e religione, esattezza ed incompiutezza, vita e morte (alla teoria degli opposti si aggiunge anche la scelta del bianco e nero). Si è guadagnato un premio al Sundance Film Festival del 1998, Il teorema del delirio è un film per molti versi kafkiano almeno quanto Brazil (1985) di Terry Gillian, soprattutto nella rappresentazione del personaggio ed alla relazione che ha con il techno mondo che lo circonda ed invade. Poiché la pellicola è indissolubilmente legata ai numeri secondo un forte relativismo metafisico, in molti si sono accorti dell’approssimazione con la quale alcuni passaggi sono stati montati incongruamente come quando Max scopre i 216 numeri sul terminale e li scrive su un foglio (ma che sono diversi da quelli apparsi) oppure come quando torna a casa per farsi l’iniezione e dice con voce off “17:55…Nota personale…” mentre l’orologio segna le 15:58. A parte queste pignolerie si è comunque in presenza di un film che davvero rapisce lo spettatore (almeno fino a fargli notare dettagli come questi). Trascendenza matematica, distanza del reale relazionale, perdita di sangue ed umore….la soluzione è nella testa di ognuno.

 

 

Bucci Mario

[email protected]