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Taxi driver
Anno: 1976
Regista: Martin Scorsese;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 04-12-2003


La grande guerra

Taxi driver. Martin Scorsese. 1976. USA.

Attori: Robert De Niro, Cybill Shepherd, Jodie Foster, Harvey Keitel, Peter Boyle, Albert Brooks, Joe Spinell, Martin Scorsese.

Durata: 113’

 

 

New York. Travis Bickle è un ex marine di ventisei anni con un trascorso in Vietnam e da poco congedato. Sofferente d’insonnia decide di diventare tassista nell’orario notturno. Instabile già di suo, l’esperienza notturna per le strade di N.Y. lo sconvolge profondamente: prostituzione, negri, mendicanti, drogati e spacciatori diventano ai suoi occhi il cancro della società americana. Un giorno incontra sulla sua strada Betsy, collaboratrice del candidato alle presidenziali Charles Palantine. Innamoratosi della donna, abbraccia la politica di Palantine ma, dopo aver portato Betsy ad un cinema porno ed essere stato da lei rifiutato, incomincia a provare odio anche per il candidato. Spinto dallo spirito di vendetta che gli inculca un cliente che si fa accompagnare sotto la casa dell’amante di sua moglie, acquista una serie di armi da un contrabbandiere. Conosce nel frattempo la giovanissima Iris, tredicenne prostituta in mano al magnaccia Sport. Dopo aver cercato di convincerla a cambiare vita, tocca l’abisso della follia. Taglio dei capelli alla moicana, allenamento e armi diventano il suo nuovo modello di risposta a quelle che egli considera le ingiustizie del mondo. Dopo aver tentato, invano, di colpire il candidato Palantine durante un comizio, torna da Iris per distruggere il suo mondo. Dopo aver scaricato tutti i caricatori delle sue armi contro il magnaccia e il gestore dell’hotel, colpito al collo, si ritrova riconosciuto come eroe dalla famiglia di Iris e offre una corsa nel suo taxi a Betsy, una volta tornato al suo lavoro.

Forse il più riuscito film di Martin Scorsese. Sicuramente uno dei personaggi che hanno dato la possibilità a De Niro di entrare a pieno titolo nell’Olimpo dell’arte cinematografica (memorabile il confronto con il proprio immaginario “Ce l’hai con me? Stai parlando con me?”). Profonda e razionale, iperrealistica critica al difficile reinserimento degli ex combattenti in Vietnam, alle contaminazioni politiche di una classe governativa fissata sull’ordine e la pulizia che trascinano Travis fino all’inferno, dandogli solo un’impressione di paradiso, il volto di Betsy nello specchietto retrovisore del suo taxi. Travis è un uomo solo (unica presenza del suo appartamento; rallenty nelle camminate fra la fauna urbana), che parla di se stesso scrivendo su un diario (voce fuori campo del protagonista che racconta di sé) come solo i reduci di guerra possono riconoscersi, in una telefonata che non ha altra voce che la propria, ad un passo da un corridoio vuoto (quando Travis richiama Betsy dopo l’episodio del cinema porno). L’esperienza della guerra che rivive sul suo corpo, quel senso di cattura che fa sì che Travis ricominci ad allenarsi, come quando sei prigioniero in guerra e la prima cosa di cui ti devi preoccupare è di mantenere il fisico in forma, evitando il rischio di scoppiare. La sconvolgente esperienza di Travis si trasforma in analisi dei difficili anni ’70, in cui il cittadino avverte la necessità ambigua ed inutile di farsi giustizia da solo, a metà strada tra diritto e delinquenza. Titoli di testa e di coda bellissimi, parentesi di un contesto tipicamente americano: N.Y. come un insieme di luci ed insegne, l’apparenza della grande mela sul volto di De Niro. I dettagli del taxi, la vita che scorre come un tassametro. Quella che Scorsese mette in atto, grazie soprattutto alla superlativa prova del suo attore principale, è solo lo stadio finale di una mutazione (iniziata appunto con la critica implicita alle pratiche in Vietnam), che mostra il momento più basso quando Travis è in un cinema porno che finge di sparare sui protagonisti (l’ossessione della morte). La scelta del taxi non solo come simbolo dell’uomo qualunque, ma anche movimento costante di una società sempre in moto. Nessuna voglia di riscatto invece per Travis, l’ambiguo e cocente desiderio di vedere un mondo diverso da come egli lo avverte, ma che vive distante come un sonnambulo dalla realtà: la voglia di essere un altro è più forte di quella di vedere gli altri cambiare (la lettera ai genitori in cui dice di essere dei servizi segreti e di essere fidanzato con Betsy; il taglio ambiguo che rimanda sia all’ambiente militare che a quello indiano degli Irochesi, portavoce entrambi della morale americana). Cattivo e pronto alla sfida, come lo sguardo da duello fra Travis ed i neri del quartiere dove va a fare colazione e dove spesso lavora con il taxi. Sceneggiatura di Paul Schrader, ispirata a Lo straniero di Camus. Bella la fotografia di Michael Chapman che tende a saturare ed impastare i colori e ad appesantire le ombre, stupenda Cybill Shepherd, il miglior miraggio possibile. Martin Scorsese interpreta, gigioneggiando molto bene per giunta, l’uomo che vuole uccidere l’amante di sua moglie. Di culto l’unghia rossa della mano di Harvey Keitel, nonché l’acconciatura. Ultima colonna musicale di Bernard Herrmann, musicista preferito di Alfred Hitchcock (Morandini 2003). Palma d’oro a Cannes come miglior film. Primissimo dialogo del film alla stazione dei taxi “Insomma, qual è il tuo problema?”.   

 

Bucci Mario

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