Taxi driver. Martin Scorsese. 1976. USA.
Attori: Robert De Niro, Cybill
Shepherd, Jodie Foster, Harvey Keitel, Peter Boyle, Albert Brooks, Joe Spinell,
Martin Scorsese.
Durata:
113’
New York. Travis Bickle è un ex marine di ventisei anni
con un trascorso in Vietnam e da poco congedato. Sofferente d’insonnia decide
di diventare tassista nell’orario notturno. Instabile già di suo, l’esperienza
notturna per le strade di N.Y. lo sconvolge profondamente: prostituzione,
negri, mendicanti, drogati e spacciatori diventano ai suoi occhi il cancro
della società americana. Un giorno incontra sulla sua strada Betsy,
collaboratrice del candidato alle presidenziali Charles Palantine. Innamoratosi
della donna, abbraccia la politica di Palantine ma, dopo aver portato Betsy ad
un cinema porno ed essere stato da lei rifiutato, incomincia a provare odio
anche per il candidato. Spinto dallo spirito di vendetta che gli inculca un
cliente che si fa accompagnare sotto la casa dell’amante di sua moglie,
acquista una serie di armi da un contrabbandiere. Conosce nel frattempo la
giovanissima Iris, tredicenne prostituta in mano al magnaccia Sport. Dopo aver
cercato di convincerla a cambiare vita, tocca l’abisso della follia. Taglio dei
capelli alla moicana, allenamento e armi diventano il suo nuovo modello di
risposta a quelle che egli considera le ingiustizie del mondo. Dopo aver
tentato, invano, di colpire il candidato Palantine durante un comizio, torna da
Iris per distruggere il suo mondo. Dopo aver scaricato tutti i caricatori delle
sue armi contro il magnaccia e il gestore dell’hotel, colpito al collo, si
ritrova riconosciuto come eroe dalla famiglia di Iris e offre una corsa nel suo
taxi a Betsy, una volta tornato al suo lavoro.
Forse il più riuscito film di Martin Scorsese. Sicuramente
uno dei personaggi che hanno dato la possibilità a De Niro di entrare a pieno
titolo nell’Olimpo dell’arte cinematografica (memorabile il confronto con il
proprio immaginario “Ce l’hai con me? Stai parlando con me?”). Profonda
e razionale, iperrealistica critica al difficile reinserimento degli ex
combattenti in Vietnam, alle contaminazioni politiche di una classe governativa
fissata sull’ordine e la pulizia che trascinano Travis fino all’inferno,
dandogli solo un’impressione di paradiso, il volto di Betsy nello specchietto
retrovisore del suo taxi. Travis è un uomo solo (unica presenza del suo
appartamento; rallenty nelle camminate fra la fauna urbana), che parla
di se stesso scrivendo su un diario (voce fuori campo del protagonista che
racconta di sé) come solo i reduci di guerra possono riconoscersi, in una
telefonata che non ha altra voce che la propria, ad un passo da un corridoio
vuoto (quando Travis richiama Betsy dopo l’episodio del cinema porno).
L’esperienza della guerra che rivive sul suo corpo, quel senso di cattura che
fa sì che Travis ricominci ad allenarsi, come quando sei prigioniero in guerra
e la prima cosa di cui ti devi preoccupare è di mantenere il fisico in forma,
evitando il rischio di scoppiare. La sconvolgente esperienza di Travis si
trasforma in analisi dei difficili anni ’70, in cui il cittadino avverte la
necessità ambigua ed inutile di farsi giustizia da solo, a metà strada tra
diritto e delinquenza. Titoli di testa e di coda bellissimi, parentesi di un
contesto tipicamente americano: N.Y. come un insieme di luci ed insegne,
l’apparenza della grande mela sul volto di De Niro. I dettagli del taxi, la
vita che scorre come un tassametro. Quella che Scorsese mette in atto, grazie
soprattutto alla superlativa prova del suo attore principale, è solo lo stadio
finale di una mutazione (iniziata appunto con la critica implicita alle
pratiche in Vietnam), che mostra il momento più basso quando Travis è in un
cinema porno che finge di sparare sui protagonisti (l’ossessione della morte).
La scelta del taxi non solo come simbolo dell’uomo qualunque, ma anche
movimento costante di una società sempre in moto. Nessuna voglia di riscatto
invece per Travis, l’ambiguo e cocente desiderio di vedere un mondo diverso da
come egli lo avverte, ma che vive distante come un sonnambulo dalla realtà: la
voglia di essere un altro è più forte di quella di vedere gli altri cambiare
(la lettera ai genitori in cui dice di essere dei servizi segreti e di essere
fidanzato con Betsy; il taglio ambiguo che rimanda sia all’ambiente militare
che a quello indiano degli Irochesi, portavoce entrambi della morale
americana). Cattivo e pronto alla sfida, come lo sguardo da duello fra Travis
ed i neri del quartiere dove va a fare colazione e dove spesso lavora con il taxi.
Sceneggiatura di Paul Schrader, ispirata a Lo straniero di Camus. Bella
la fotografia di Michael Chapman che tende a saturare ed impastare i colori e
ad appesantire le ombre, stupenda Cybill Shepherd, il miglior miraggio
possibile. Martin Scorsese interpreta, gigioneggiando molto bene per giunta,
l’uomo che vuole uccidere l’amante di sua moglie. Di culto l’unghia rossa della
mano di Harvey Keitel, nonché l’acconciatura. Ultima colonna musicale di
Bernard Herrmann, musicista preferito di Alfred Hitchcock (Morandini 2003).
Palma d’oro a Cannes come miglior film. Primissimo dialogo del film alla
stazione dei taxi “Insomma, qual è il tuo problema?”.
Bucci Mario
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