Gangs of New York. Martin
Scorsese. 2002.
USA.
Attori: Daniel Day-Lewis,
Leonardo Di Caprio, Cameron Diaz, Liam Neeson, J.C. Reilly.
Durata:
170’
New York. 1846. La fazione dei Conigli morti si prepara a
rispondere alla sfida lanciata dai Nativi per il controllo di Five points (“Cinque
punti che sono cinque dita e che una volta chiuse si trasformano in un pugno”),
la zona della città che unisce il porto, Wall street e Broadway. La sanguinosa
battaglia, senza armi da fuoco ma affrontata con tutto ciò che può uccidere un
nemico, finisce in un bagno di sangue in cui i Nativi, protestanti, vincono sui
papisti d’origine irlandese. Padre Vallon, massacrato davanti agli occhi del
figlio, cade con l’onore del combattente, Bill il Macellaio, diviene il signore
delle strade di N.Y. Sedici anni dopo, uscito dal riformatorio, il figlio di
padre Vallon torna a Five points con l’obiettivo di vendicarsi di Bill il
Macellaio. Da due anni il presidente Lincoln ha abolito la servitù, gli Stati
del sud hanno chiesto la secessione, la guerra impazza in tutto il paese e
chiama alle armi volontari ed obbliga a partire chiunque non sia in grado di
pagare trecento dollari. Five points nel frattempo è diventato l’inferno:
immigrati, clandestini, borseggiatori, battone e degrado sono tutti stipati e
nascosti al resto della città e del paese. Amsterdam, questo il nome che viene
assegnato al figlio di Padre Vallon, subito cerca di darsi da fare per
ingraziarsi le simpatie di Bill il Macellaio che, dopo diversi gesti di
fiducia, decide di assumerlo come suo protetto. Nel frattempo Amsterdam
s’innamora di Jenny, un’altra protetta di Bill, e continua a meditare vendetta.
Sfuggito ad un primo tentativo, il Macellaio decide di risparmiargli la vita in
memoria della lealtà e dell’onore di suo padre, ed Amsterdam così può
riorganizzare il conflitto, chiamando a sé tutti gli irlandesi del paese, in
continuo flusso con le navi degli immigrati. Uccidendo lo sceriffo (irlandese)
eletto dalla città, il Macellaio non può non accettare la sfida dei risorti
Conigli morti per il controllo di Five points, ma all’alba, quando le due
fazioni sono pronte a massacrarsi, una di fronte all’altra, nel resto della
città scoppia la rivolta contro le istituzioni che obbligano i poveri e gli
immigrati a partire per la guerra e ne fanno le spese oltre che gli uffici
anche gli uomini di colore, considerati la causa della guerra di secessione. In
un clima di caos sempre crescente, i due schieramenti non riescono a
combattersi perché la città è sotto l’assedio delle truppe del settimo
reggimento. Nella bolgia finale, Amsterdam riuscirà ugualmente a consumare la
sua vendetta. Sulle lapidi di tutti i morti, cresce la New York delle Torri
Gemelle.
Dopo quasi cinque anni di lavorazione (il film è stato
girato negli studi di Cinecittà) il nuovo lavoro di Scorsese è un adattamento
dell’omonimo romanzo di Herbert Asbury. L’origine della città simbolo di un
paese che ha segnato tutto il secolo appena concluso, è un bagno di sangue ed
odio in cui alla confusione del tutto si aggiunge l’incapacità della
collaborazione. Un miscuglio di razze e di padroni si fronteggia per strada,
combatte le elezioni, disapprova ogni forma d’autorità alla ricerca di una
propria identità che solo attraverso la forza e la morte può manifestarsi. Gangs
of New York è una maestosa storia di coltelli che affondano la carne (i
corpi dei protagonisti portano i segni di questa vita), di tradimenti (i
Conigli morti che si salvano dopo lo scontro del 1846 passano dalla parte del
Macellaio mentre altri diventano poliziotti corrotti) e di morti eccellenti non
troppo distanti dalla storia recente del paese: lo sceriffo irlandese ucciso
davanti al popolo dal Macellaio è la morte del presidente Kennedy davanti alla
sua gente alla quale, cento anni prima, Scorsese fa dire “Chi vuoi che
elegga un irlandese?”. L’America perbenista, ricca e lontana dalla guerra e
dalle strade, per pochi minuti appare sullo schermo distante anni luce dalla
realtà del paese (il regista compare come padre di una famiglia derubata da
Cameron Diaz). La guerra, nei costanti censimenti dello Stato alla ricerca di
volontari o inadempienti, in un’unica immagine, simbolica, forte: sul molo del
porto, da un lato una schiera di soldati e dall’altro una fila di bare, la
partenza ed il ritorno. La religione, tema costante del regista, ancora una
volta è chiave di rottura più che di congiunzione, il suo fondamentalismo è
immancabilmente morte dell’uomo. Papisti contro protestanti, peccato e
redenzione, sono gli elementi che riconducono questo film ad un altro
capolavoro del regista, quel Mean Street (1973) d’italiani che volle la
domenica alla Chiesa ed il lunedì all’Inferno. Un po’ meno elegante dei suoi
precedenti lavori, mastodontico e faraonico (l’interno della birreria è forse
una delle più belle scenografie costruite negli ultimi dieci anni del cinema
americano, anche se opera dell’italiano Dante Ferretti) il film lamenta carenze
che mai il regista aveva mostrato in un suo film: personaggi abbozzati ed
incompleti, trama che man mano si assottiglia verso il finale, probabilmente
tutto a causa dei tagli imposti dalla produzione che ha voluto la pellicola
ridotta da 218 minuti a 170. Molto interessante, il vero punto forte della
pellicola, la ricostruzione dei fatti, narrata anche attraverso i giornali, i manifesti
e le litografie che fanno parte della prima storia di un paese pieno di
contraddizioni (memorabile a tal proposito il Macellaio con la bandiera degli
Stati uniti che confessa ad Amsterdam l’omicidio di Padre Vallon). Le parole di
Amsterdam a Jenny nel finale, “Nessuno si ricorderà più di noi”, mentre
sulle tombe dei morti si sviluppa la civiltà del paese, hanno un senso che va
oltre la critica all’America, e che invece raccoglie ed accomuna la storia di
tutti i popoli: il sangue dei padri scorre, sottoterra, dimenticato e senza che
se ne tragga lezione.
Leonardo Di Caprio purtroppo, che ormai ci ha abituati ad
altalenanti recitazioni, non sembra all’altezza del personaggio che rappresenta
(perché questa scelta e quella di utilizzarlo anche per il prossimo lavoro?),
Cameron Diaz non riesce a far ricredere quella fetta di pubblico meno
interessata alla bellezza dei suoi occhi, e tocca a Daniel Day-Lewis, che con
Scorsese aveva già lavorato in L’età dell’innocenza (1993), coprire le
carenze dei suoi compagni di lavoro, spadroneggiando, gigioneggiando, seducendo
e dimostrando al pubblico (anche se non ne aveva più bisogno) di aver raggiunto
un livello altissimo di professionalità e bravura. Per gli appassionati di
chicche, l’attrice Barbara Bouchet compare come una delle signore ricche che fa
un giro a Five points, scortata dal poliziotto J.C. Reilly.
Bucci Mario
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