Expanded Cinemah - Reporter - Torino Film Festival 2007
Reporter

NearDark - Database di recensioni

Africa

Godard Tracker


Tutte le
Rubriche

Chi siamo


Cerca nel sito


Iscriviti alla nostra mailing-list: inserisci qui sotto il tuo indirizzo e-mail

Reporter
reportage da festival ed eventi, interviste e incontri
<<< torna al sommario

Torino Film Festival 2007

La Zona

#03. Ghiro ghiro tondo di Gianikian e Ricci Lucchi

 


Gianikian e Ricci Lucchi, Ghiro ghiro tondo

Chissà se il girotondino, direttore del venticinquesimo festival, sarà contento di rispolverare questo suo motivetto preferito? Sarà per questo che ha scelto di ospitarlo nella rassegna?
Giro giro tondo... (senza il suono duro dell'acca da aspirare in questo caso), casca il mondo, casca la terra, tutti giù per terra! In effetti sono tutti interrati, nel senso di inscatolati o meglio da "scartare", gettare via nell'oblio della memoria, togliendo in realtà anche la carta di giornale che li avvolge. Ma quell'operazione di "scartare" rimanda anche a un'altra, quella dei bambini che con stupore e impazienza liberano i giocattoli regalati: qui non c'è nulla di tutto questo, anzi è mortifero il gesto, si osserva scartare un oggetto in decomposizione (tanto che alla fine si inanelleranno persino dolciumi putrefatti: il degrado del gusto e del piacere infantile), non uno vivo che trasmette gioia e ispirazione per giochi: sono tutti lì, messi a nudo, congelati in fotogrammi istantanei, che concedono il tempo di riconoscerli: infatti siamo spinti a scrutare ogni dettaglio, fino a che si innesca il corto circuito tra il riconoscimento della memoria e l'orrore per la freddezza dell'oggetto che si accentua in modo personale, a seconda se il giocattolo è individualmente evocativo o meno. Sono i pezzi della collezione RoBerTo, come l'asse Roma, Berlino, Tokyo, giocattoli sopravvissuti alle infanzie sconvolte da due guerre mondiali e che adesso, nel postdopoguerra, rimangono lì inerti ad attendere che mani provvide vengano a rispolverare il loro originario valore d'uso, restituendo soltanto la loro autorevole funzione simbolica, riconoscibile anche da chi, come me, è nata alla fine degli anni cinquanta. Sono i pezzi di un catalogo ludico ritrovato sulle Dolomiti da Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, in un villaggio che fino alla Prima guerra mondiale faceva parte dell'Austria.
In realtà viene il dubbio che della collezione entrino a far parte giocattoli più vicini nel tempo, perché per gente nata agli inizi degli anni Sessanta molti di quegli oggetti sono punctum barthesiani di giochi ricevuti in dono e servono come interruttore mnemonico di sensazioni, odori, percezioni cromatiche diverse, infantili appunto, alle quali si aggiunge quel malessere derivante dalla museificazione e dalla presentazione da obitorio a cui vengono sottoposti dai due autori (chi non ha mai avuto in mano una di quelle scatoline con un buco in cui le oscillazioni del polso devono indirizzare la piccola biglia che corre rinchiusa?).
Le serie si avvicendano: ci sono giochi di legno, stoffa, ferro, cartapesta, gesso, celluloide, cera, porcellana, zucchero... Diecimila oggetti da repertoriare, dieci anni di tempo per farlo: la collezione porta infatti la data del 1997.
In un silenzio ovattato, degno della casa di nonna Felicita di gozzaniana memoria, vengono mostrati uno per uno, presi in mano, capovolti, indagati con maniacale e ossessiva attenzione nei confronti di certi dettagli: la provenienza (made in Germany o in Japan... ma pure gessetti cecoslovacchi e scatole con grafica siriani), la fattura, ma anche la forma, l'espressione, la staticità o l'interazione con la mano che fa agire certi meccanismi per farli muovere. Una trottola gira, casette di legno degne delle vedute con effetto giorno e notte ricordano i vetrini delle lanterne magiche, organetti, statuine, pattinatrici sul ghiaccio, figurine riproducenti un immaginario agreste pastorale, una roulette in azione lascia il posto a Mickey Mouse impegnato a fare il saluto romano, mentre una serie di bambolotti paffutelli con il cranio rapato e gli occhietti azzurro verde testimoniano la superiorità della razza ariana. Si respira un'aria mitteleuropea in ogni caso. Seguono bambole fatte in Giappone, vestite come pastorelle alpine, una ha invece il costume di Cappuccetto Rosso.
Ci sono giocattoli per tutti i gusti, grandi e piccoli, riferiti a categorie umane, animali e vegetali, non mancano le serie dedicate al cibo o all'igiene della persona, per fare di ogni bambina la brava massaia e la futura mamma di figli da consegnare alla patria e al regime (tombola delle vivande, posateria in miniatura); mentre ai maschietti vengono riservati aerei in batteria, carrarmati e soldatini per educarli al combattimento e alle vittorie eroiche, dando "Scacco al nemico". L'iconografia dei giuochi rimanda ai valori dell'ideologia fascista e nazista, neanche palesata, perché sul coperchio delle scatole di legno, che contengono alcuni pezzi forti della collezione, si notano svastiche e fasci littori o scritte come "Vincere, combatteremo in cielo, terra e mare..." e vai con le parate!
Pupazzi con la molla, altri da ricomporre con pezzi di legno per creare pinocchietti, meccanismi a leva permettono a rondini madri di depositare il vermetto nel becco dei loro rondinini! Che delizia!!!
Giocattoli-vestigia veicolano ancora oggi l'ideologia che li creati, seppur corrosi dal tempo, fatti a pezzi, fuori uso, stracciati, decomposti, denunciano l'orrore di un'epoca (accentuato dal forte simbolismo della nudità): quella in cui corpi denutriti e disumanizzati sono stati accatastati in fosse comuni, dopo essere passati in camere a gas, oppure corpi floridi, con le palpebre che si aprono e chiudono a intermittenza per mostrare occhioni ariani, legittimano la supremazia razzista nella loro dittatorialità. Sono bambolotti prigionieri del loro tempo e del loro luogo di origine: da scartare, guardare soltanto, prendere in braccio, oppure appendere come una spilla, azionare, toccandoli sul pancino perché emettano un suono che si fatica ad associare a un vagito, nudi come veri bebè, non hanno però la dolcezza e la morbidezza del Ciccio Bello, che è nato più tardi, e anche la vacuità del loro sguardo rimanda soltanto tristi segnali di stupore per la desolazione che li circonda. Sono giocattoli disciplinati: meccanismi e regole d'uso li deprivano del loro potenziale ludico per restituire soltanto una funzione autoreferenziale: istruire le generazioni future al patriottismo, alla guerra, al sacrificio, al lavoro e alla famiglia. Vietato svagarsi!
Mostrando questa collezione di giochi infantili, Gianikian e Ricci Lucchi non hanno certo l'intenzione di rivitalizzarli, consegnando loro una seconda vita o un'altra possibilità nel regno dell'immaginario: sono giocattoli morti in ogni caso, ma lo erano già quando venivano usati dai bambini di un tempo, erano già parti di una collezione. Adesso che li si vede a pezzi, con gli arti staccati, decapitati, i tessuti logori e i volti espressionisti risultano ancora più grotteschi e inquietanti: pezzi da museificare per ricordare la crudeltà della vita vissuta dai bimbi del Novecento. Eppure mia madre mi raccontava di non aver mai posseduto un giocattolo, solo una bambola di pezza cucita amorevolmente dalla sua madrina e mio padre giocava con fionde e cerbottane... Allora chi poteva permettersi di comprare questi giocattoli? Una collezione di giochi mai giocati, desiderati solamente, non solo scomparsi... e il gusto di archiviarli, la passione nel raccoglierli e metterli in mostra costituisce la poetica da sempre sperimentata da Gianikian e Ricci Lucchi, che hanno capito come gli oggetti siano una testimonianza attendibile per mettere in scena la Storia, miniaturizzandone gli eventi in un affresco di immagini attraverso lenti rovesciate. La collezione esiste, prende forma, acquisisce potenza e significato man mano se ne "scartano" le parti, per mostrarne il contenuto... ma non ci sono più i bambini di allora, quelli sono scomparsi o non hanno mai avuto il tempo per giocare!
E questo richiama alla mente altre serie di scatole: quelle repertoriate nel film evento della passata stagione: Le vite degli altri, dove le scatole contenevano vite di un intero villaggio, archiviate e non aperte, perchè l'effetto potrebbe essere letale, in quanto una volta aperte si rischia che rimandino anche alle nostre.

continua...

a cura di
paola tarino