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Torino Film Festival 2007

Panorama italiano

#04. Vogliamo anche le rose di Alina Marazzi

 


Alina Marazzi, Vogliamo anche le rose

Vogliamo anche le rose... anche se il pane, quello quotidiano frutto della fatica del lavoro, ancora oggi per troppe donne è azzimo, senza lievito, senza il gusto di sapere come esistere, legittimarsi, comportarsi, sentirsi bene con se stesse, al di là dei fenomeni epocali, delle mode e delle tendenze, delle prese di coscienza individuali e collettive, del movimento femminista, delle masturbazioni liberatorie...
Ma quando si riesce ad avere "una rosa nel pugno", si è ancora capaci di sentirne il profumo e di assaporarne la fragranza odorosa?

Forse cerca di rispondere anche a questo mio interrogativo l'ultima opera di Alina Marazzi, messa a fuoco di luci e ombre dell'universo femminile, accompagnata da un lungo percorso di ricerca e conoscenza, come spiega lei stessa accanto a Moretti alla presentazione del suo documentario al TFF, illuminata dal desiderio di ripercorrere la storia delle donne dalla metà degli anni Sessanta fino alla fine dei Settanta. "Ho lavorato su archivi e materiali di repertorio, il progetto nel tempo è cambiato, molte tematiche non rientrano, ad esempio non si parla di violenze sulle donne [il riferimento è alla manifestazione tenutasi il giorno prima a Roma, non sono molto d'accordo con lei, perché il film denuncia svariate situazioni di soprusi, più psicologici che fisici]. C'è una costruzione narrativa innestata su momenti di vita reale. L'intento era quello di ricostruire personaggi dell'epoca. Interamente sceneggiato su carta, inanella tre diari di donne".

Alina Marazzi, Vogliamo anche le rose

"Anita, Teresa, Valentina, provenienti da diverse regioni italiane e di diversa estrazione sociale, accomunate dalla stessa rivendicazione non si riconoscono piú nella società patriarcale e maschilista che alle donne chiede di essere madri irreprensibili e mogli obbedienti" (dal Catalogo, pag. 30). Interessante è il lavoro di montaggio condotto su materiali provenienti da media e linguaggi differenti: trovano spazio le interviste, i filmati d'epoca, le riprese televisive, il fotoromanzo, il fumetto, l'animazione, la pubblicità, le riviste e i rotocalchi, accanto a spezzoni di film ed eventi teatrali. La storia delle donne di quel ventennio si dipana in siparietti gustosi, talvolta grotteschi perché datati, dove l'alchimia linguistica e la ricchezza delle testimonianze si succedono con ritmo serrato tanto che non c'è tempo per riflettere troppo sui contenuti: ognuna di noi ritrova stereotipi, si immedesima in alcuni comportamenti delle consorelle che abitano lo schermo; mentre risulta naturale seguire con le emozioni lo sviluppo narrativo offerto dalla voce fuori campo che legge le pagine dei diari. Le parole consentono di seguire sinceramente l'evolversi delle questioni messe in scena: identità, sessualità, emancipazione, militanza, tanto che alla fine ogni spettatrice (soprattutto quelle che in quegli anni erano ragazzine) si sente grata nei confronti della regista, per essere stata chiamata in causa, ognuna con il proprio bagaglio di esperienze, illusioni e delusioni alle spalle. Nessuna di noi è più lì, in quella cornice di trent'anni fa, ma ciascuna si ritrova, rigusta slogan e parole d'ordine, rimastica rivendicazioni, si diverte a riconoscere il ritrattino della se stessa di allora.

Alina Marazzi, Vogliamo anche le rose

Quelle che convincono maggiormente dunque sono proprio le parole, quelle scritte dalle donne nei loro diari, espressioni fatte di umori, a tratti un po' narcisistiche e ombelicali, ma così veritiere nel narrare lo spaesamento, la confusione, il disagio di essere donne. Convincono questi scritti e ben si adattano alle scelte fatte per la colonna visiva, che dirama caleidoscopicamente filmini di fidanzati, scene di matrimonio, sequenze di donne intente alle faccende domestiche, mescolate agli scioperi e alle manifestazioni degli operai Fiat, alle occupazioni universitarie del Sessantotto, per finire con le autocoscienze femministe degli anni Settanta, miscelate a interviste fatte a giovani, appena usciti dalla proiezione del film Helga, il primo a trattare in maniera esplicita l'educazione sessuale in Italia, poi non mancano riprese di sit-in del partito radicale con Emma Bonino intenta a dare lezioni sulla contraccezione [allora teneva in mano un preservativo e non una rosa, ma forse era più convincente Paola Pitagora nelle tavole del fotoromanzo Il segreto].

Alina Marazzi, Vogliamo anche le rose

Nel filmino d'epoca anni Sessanta che fa da ouverture, costruito come un varietà televisivo (non a caso è intitolato Curiosità), si vede una "madamina", vestita come moda comanda e con cappellino d'ordinanza, stupirsi nel vedere proiettata in una sfera l'immagine di una donna danzare nuda a un happening, quello famoso del parco Lambro che sarebbe stato immortalato a distanza di pochi anni da Alberto Grifi... La donnina stessa si meraviglia, distoglie lo sguardo imbarazzata: non è pronta per capire quel fenomeno e risulta spaesata. Allora vigeva la legge del fidanzamento combinato, dei morosi che si incontravano in casa sotto lo sguardo vigile dei genitori, e solo riviste come "Grand'Hotel" veicolavano l'immagine di donne capace di innamorarsi in libertà, ma non autonome nel risolvere i problemi sentimentali, tanto che inondavano la redazione con lettere inviate alla rubrica della "posta del cuore", oppure erano desiderose di farsi fare le carte o leggere l'oroscopo, telefonando alla rivista "Annabella", dove potevano parlare con una presunta esperta di astrologia, maga prezzolata dal rotocalco. Solo più avanti la discussione sulla questione femminile, sulla parità da raggiungere, all'inizio solo all'interno della famiglia, diventa pubblica, trova spazio in rubriche televisive a cui vengono man mano invitate a dire la loro intellettuali e politiche. Intanto le donne hanno capito di non sentirsi realizzate in quel matrimonio, per cui chiedevano consigli alle rubriche del cuore, allora non sanno come conciliare la vita dentro le mura domestiche con il lavoro all'esterno, cominciano a sentire il peso di essere da sole ad allevare i figli e iniziano a chiedere aiuto, esigono informazioni, pretendono di essere educate alle nuove pulsioni e alle rivendicazioni che echeggiano. Sono anche stanche di rispettare il dovere di andare in chiesa quando lo decidono i maschi e non per volontà loro. Pertanto le sfide trovano un corpo collettivo, dove rifugiarsi, trovare conforto, incoraggiamento per lottare in compagnia. I prodromi del femminismo vengono messi in scena, senza risparmiare anche i commenti divertiti dei maschietti preparati che cercavano di capire e solidarizzare, senza per questo meritarsi sempre l'etichetta di essere fascisti, patriarcali e maschilisti.

Alina Marazzi, Vogliamo anche le rose

Il primo diario è la testimonianza di una sessuofoba: una donna che ha paura di se stessa perché non conosce il proprio corpo e pertanto non può assecondarne i desideri. Il secondo svela il dramma di un aborto clandestino con tutta la tragedia che esso comportava dal punto di vista individuale, a cui va aggiunta la fatica di trovare anche duecentomila lire per pagare l'intervento di nascosto. Il terzo rende cruciale la scelta tra militanza e vita normale, magari piccolo borghese.
Convince nel complesso l'esperimento documentaristico, non solo per la bravura nell'orchestrare spezzoni di realtà con ricostruzioni inventate, ma anche per la lucida ricomposizione di storie con la Storia, per cui anche le donne nate dopo gli anni Settanta avranno modo di ripercorrere alcune tappe significative delle lotte femminili: la scoperta della sessualità anche con l'orgasmo incluso, l'autodeterminazione, l'affrancamento dai padri e dai mariti padroni, il divorzio, la contraccezione, l'aborto e la maternità come libera scelta. Come una brava massaia lucida e rigoverna la cucina e il suo armamentario, così Alina Marazzi rispolvera un catalogo di identità e soprattutto emozioni femminili, che spingevano per emergere all'interno di un paesaggio umano, familiare e sociale occupato solamente da dominanze maschili.

continua...

a cura di
paola tarino