Reporter

NearDark - Database di recensioni

Africa

Godard Tracker


Tutte le
Rubriche

Chi siamo


Cerca nel sito


Iscriviti alla nostra mailing-list: inserisci qui sotto il tuo indirizzo e-mail

Reporter
reportage da festival ed eventi, interviste e incontri
<<< torna al sommario

Torino Film Festival 2006

Sentiero scosceso

1. Montaggio flebile / stringente / circondante

 

Ron Mann, Tales of the Rat Fink
Lisandro Alonso, Fantasma

Un montaggio fondato sull'esaltazione di parametri diversi dal significato e sbilanciato sul significante, nella ricerca di un più calibrato connubio tra componenti filmiche: nei film di Lisandro Alonso (Los Muertos si è potuto seguire a "Fuori Orario" nella notte tra il 17 e il 18 novembre) la precisione e l'esasperazione di ogni singolo rumore, voce, componente sonora dell'inquadratura concorre allo svilupo del nulla narrativo che scorre sullo schermo in una sequela di situazioni totalmente prive di drammaticità, che viene assegnata dalla partecipazione dello spettatore.
In questo processo una parte non indifferente è coperta da un montaggio flebile che si può aggrappare a un qualunque cinèma, qualsiasi elemento minimale visivo, sonoro o di pura sensazione (che in qualche modo viene condivisa dallo spettatore, chiamato a essere complice) viene utilizzato da Alonso per passare da un "fantasma" all'altro, dove invece in Los Muertos il montaggio era interno ai rumori della natura che non agivano direttamente sullo spettatore, ma mediati dalla percezione del personaggio arrivavno a proporre un montaggio di percorsi sonori che accompagnavano la piroga.


Ron Mann, Tales of the Rat Fink

All'opposto Ron Mann nel film fuori programma Tales of the Rat Fink usa pesantemente ogni tipo di raccordo evidente: fabbricando film d'animazione ad hoc per il passaggio tra i racconti che cadenzano la vita di Ed "Big Daddy" Roth e che fungono da conclusione delle singole sequenze. Il risultato immediato che salta all'occhio dello spettatore martellato da input, colori che hanno fatto la storia dell'arte tra gli anni Quaranta e i Settanta, design e mode... è che l'uso di molte forme diverse di montaggio anche all'interno della medesima inquadratura, con collage di foto e sequenze e animazioni, oppure di musiche e voci off che si alternano nel racconto in prima persona... quest'uso accelera enormemente il ritmo del film, ma anche la percezione, anzi è un moto uniformemente accelerato che trascina anche a una forma di parossismo. L'opposto del cinema di Straub-Huillet e di quelli che del montaggio fanno un uso nascosto, non urlato, dimesso ma altretanto efficace nel comunicare il ritmo che vogliono conferire al film; il documentarista canadese di Grass, invece - come molti film giapponesi, compresi due di quelli in rassegna quest'anno - gioca tutto sulla velocità, anche perché l'argomento delle automobili lo porta a questa scelta, ma a ciò lo porta pure il bisogno di spiegare la rivoluzione del gusto: il passaggio repentino, eppure spiegato nel film attraverso voli pindarici estenuanti per piroette, ma geniali per esplicazione che non lasciano al caso la epentina evoluzione dall'omologazione (la topolinità) alla personalizzazione (Rat Fink), vera parola magica che spiega tutto ciò che ha comportato nel gusto l'azione artistica di Ed Roth.

Ron Mann, Tales of the Rat Fink

In questi 78 minuti di filmati d'archivio, personaggi storici, personaggi d'animazione, oggetti di design industriale e prototipi - parlanti o meno - si trovano concentrati quarant'anni di mode e vita americana e mondiale; è un saggio sulla moda che fa il paio con quello di Simmel e non può essere disgiunto dagli innumerevolimodi di montare tra loro i vari pezzi di vita in una cornice narrativa forte, he adotta le forme linguistiche di assemblaggio del messaggio dalle epoche che man mano il film attraversa, in modo sempre più frenetico, passando dall'idea stravagante alla serializzazione (e quindi la fagocitazione di cui Ed Roth si accorge già alla fine degli anni Sessanta) e infatti dall'accenno a Warhol in avanti anche il montaggio dei materiali proposti per completare la biografia di Ed Roth dà spazio a una sorta di cannibalismo delle sequenze successive su quelle precedenti, assorbite e conglobate sempre di più, dall'idea primigena (ad esempio l'auto per chi fa surf nei primi anni Sessanta che puzza di Beach Boys fin dall'idea iniziale) e personalizzata - unica - all'ambiente in cui si inserisce (una spiaggia già colma di stereotipi surfer), allo sfruttamenteo in altro ambito (la t-shirt) fino alla sua museificazione in una stanza di Galleria d'Arte; quindi c'è uno sviluppo della sequenza che usa la stessa accozzaglia studiata e ordinata delle sequenze precedenti, ma in più la narrazione viene spinta ad accumulare nell'inquadratura informazioni in più, fino a racchiuderle (e montarle) in quella stanza di museo. Quindi il montaggio serrato e su più lilvelli produce rapidità, ma costruisce anche una sorta di gabbia attorno alla materia trattata, da un lato dando l'impressione di esaurire tutti gli argomenti utili per descrivere - anzi circoscrivere - il mondo che in questo caso si va a evocare e dall'altro incalzando lo spettatore al punto che non lascia spazio per elaborazioni e link propri, costringendolo alla pletora di dati e invenzioni (peraltro geniali anche dal punto di vista della gradevolezza dei toni e dell'elaborazione artistica).

Ron Mann, Tales of the Rat FinkLisandro Alonso, Fantasma

In comune gli opposti metodi di montaggio di questi due film hanno l'uso dei piani interni all'inquadratura che sfruttano livelli successivi di significazione, data per accumulo di oggetti, i più disparati, ognuno significativo. Ed entrambi sfruttano in particolare il rimando interno all'universo di riferimento: Alonso lo fa attraverso la moltiplicazione di specchi che duplicano (e nel suo caso cercano di espandere all'esterno dello schermo quel poco di immagine ripresa e riflessa) l'inquadratura, che Mann tende a rendere autoreferenziale e quindi lo specchio è come se fosse concavo e rigetta l'immagine al suo interno. Ad esempio Alonso in mano al protagonista dentro a un camerino, dove i due specchi riflettono l'immagine fuori dell'inquadratura, mette un tokonoma con bambolina, a sua volta fatto di specchi che rimandano l'immagine ulteriormente fuori del campo che riesce a catturare la cinepresa, oppure nei cessi mette specchi che non rimandano quasi l'immagine del personaggio, ma quella di cartoline e foto che guardano fuori campo; nulla riesce a essere catturato, dentro alla pellicola non c'è quasi nulla. Gli oggetti che Roth produceva fanno già da specchio a un'epoca e quindi la rigettano all'interno della inquadratura stessa, spesso con il modello medesimo a cui si ispira e che finisce per condizionare per produrre nuove mode, sintetizzate sulle t-shirt che fungono ulteriormente da specchio contemporaneamente presente sulla scena; fuori non c'è nulla, tutto è rapresentazione.

Guillermo del Toro, El Laberinto del  FaunoGuillermo del Toro, El Laberinto del  Fauno

Un'altra soluzione per usare in modo sensibile il montaggio è quella adottato da Guillermo del Toro in El laberinto del Fauno: il flusso dell'immagine non ha soluzioni di continuità, si trascorre dal mondo delle fiabe e del "castelo azul" direttamente - e senza evidenti stacchi - alla cruda realtà dei franchisti ringalluzziti nei primi anni del regime. Il sistema adottato qualche volta dal regista spagnolo è quello di iniziare una manovra avvolgente con la macchina da presa, quando ci sarebbe bisogno di uno stacco per cambiare angolo di ripresa, questo movimento circolare culmina proprio con il ritrovamento di quella che sarebbe stata la logica inquadratura a cui si sarebbe dovuti passare con uno stacco per proseguire il racconto del brano, che così viene affabulato, ma contemporaneamente contribuisce a creare un mondo che deve riconoscere a se stesso qualche elemento fatato per poter avere soglie verso quel mondo, da cui provengono fascinazione, conforto, interpretazione della realtà stessa. Quindi quella spirale che talvolta la mdp imprime a se stessa ha un valore innanzitutto intrinseco, quello di poter adottare un linguaggio che si collochi a metà tra la ricostruzione anche storicamente attendibile e l'affabulazione fiabesca popolata di personaggi immaginari (sicuramente più bonari e rassicuranti del patrigno, capomanipolo franchista, che rappresenta lo squallore del franchismo). In quel modo sembra esserci soltanto un leggero sfalsamento temporale, perché esso è intrinseco già all'attacco sul movimento che di per sé spiazza; se poi l'attacco trova continuità con lo stesso soggetto, colto in una posizione simile a quella in cui era stato lasciato pochi decimi di secondo prima (qui, mentre si fa la barba... allo specchio: prolessi dell'importanza delle armi da taglio), allora diventa impossibile non provare quella magica sensazione di incongruenza temporale derivante dal raccordo affidato al movimento circolare nello spazio che riprende da un taglio diverso, giocando su una breve zona oscura attraversata dal movimento.

Guillermo del Toro, El Laberinto del  Fauno

Ecco, questo modo di nascondere il "cut", di elidere gli elementi di separazione mantengono la velocità del tamburellante metodo di Ron Mann, ma non rinunciano all'apporto percettivo dello spettatore sotteeso al film di Alonso, anzi lo titillano e gli chiedono di prendere il mondo delle fiabe del testo che si compone alla luce, o del labirinto popolato di fauni eredi della tradizione surreale à la Cocteau o di voraci Saturni à la Goya e di fate Campanellino, per unirlo con la non meno terribile realtà fatta di sanguinari militari franchisti. Lo specchio qui non è né concavo, né convesso, ma solo un tramite, un ponte da attraversare tra realtà e fiaba. Il gioco del racconto del film si fonda molto su questo continuo passaggio tra i due universi cercando di farli coincidere, perché quello è l'approccio della bambina e attraverso il suo sguardo - la sua interpretazione della realtà - possiamo seguire la vicenda ammantandola di magia buona che sconfigge il fascismo e interrompe la continuità del racconto militarista. Infatti la spirale che tutto raccoglie si interrompe con uno dei pochi gesti diretti, eseguito in linea retta, del film: lo sparo finale che pone fine non solo alla sporca vita del capitano fascista, ma anche alla linea di eredità del racconto eroico da perpetuare ogni generazione: "Direte a mio figlio come muore un..."; semplicemente una risposta gli viene data: "No", seguita da uno sparo, per sancire la fine del suo ininterrotto mito violento e autoritario, che scorre parallelo nel film, sulla base dell'orologio rotto al momento della morte.

Lisandro Alonso, FantasmaEl Laberinto del  FaunoRon Mann, Tales of the Rat Fink

continua...

a cura di
paola tarino
adriano boano

se invece poi volete vedere un film come si deve: Broken Trails di Walter Hill