Reporter

NearDark - Database di recensioni

Africa

Godard Tracker


Tutte le
Rubriche

Chi siamo


Cerca nel sito


Iscriviti alla nostra mailing-list: inserisci qui sotto il tuo indirizzo e-mail

Reporter
reportage da festival ed eventi, interviste e incontri
<<< torna al sommario

Torino Film Festival 2006

la dritta via era smarrita

0. Autentico dilettantismo

 

Il paradigma negativo assoluto: Buyi zhi le di Xia Peng (Pleasures of ordinary) sarebbe da tradurre "I dispiaceri del quotidiano", ma non solo per l'indigenza descritta, quanto per l'approssimazione men che dilettantesca della fattura. Sembra che Xia Peng abbia ricevuto in dono una telecamera e lui abbia deciso di fare delle prove, registrando tutto quello che avviene attorno a lui: non si sa se sia meglio quando lascia fare agli eventi - tutti pleonastici - o quando cerca di ricostruire situazioni banali, in entrambi con il palese intento di mostrare una realtà il più possibile senza particolarità ma che possa restituire quella particolare esistenza nello Shanxi.
Ne parliamo solo perché questo è paradigmatico di come non sia così facile fabbricare dei buoni documentari di una realtà: non basta accendere la telecamera e tantomeno è sufficiente intervenire il meno possibile, oppure cercare di dare un minimo di brio facendo accadere episodi minimali. Il risultato è che non si restituisce nemmeno un'oncia della "reale" quotidianità di vita in quella remota provincia cinese e non si riesce a interessare nemmeno il 15% del pubblico: a sancirlo basterebbero le fughe, peraltro poco significative, dalla sala: non vuol dire immediatamente che il film faccia schifo, ma in questo caso sono spiegabili con il fatto che manca il nerbo, il mestiere latita e non c'è l'atmosfera. Questo perché la maggioranza delle inquadrature (volutamente?) non rispondono a criteri univoci o almeno legati a una scelta narrativa o documentaristica, sono puramente casuali. Quello che non può essere casuale è la durata dedicata alla singola inquadratura... elemento che impedisce di proseguire con l'imparzialità di intenti che la materia presupporrebbe e il "regista" sembra volersi dare: è come se Peng ci imponesse quadri estrapolati dalla sua quotidianità, ma poi questi sono o i più significativi, o quelli più assolutamente banali e ripetitivi... in entrambi i casi secondo il suo insindacabile giudizio (e dell'improvvido selezionatore caduto nella facile trappola del documentario minimale). Peccato che per una qualunque sensibilità - non solo materialisticamente occidentale - quelle scelte sono ben che vada soporifere e poco o nulla significative: non riproducono nessuna realtà e inanellano soltanto una quantità di immagini senza criterio, senza selezione... senza un autore.

Ma questo avviene per l'insipienza della direzione del Festival, tenuta da un bravo studioso del cinema, un ottimo programmatore di rassegne (lo ricordiamo fin dai tempi del MovieClub), e da una giornalista specializzata in cinema statunitense. Il risultato è che da quando non è più direttore Alberto Barbera la sezione in concorso è zeppa di ciarpame raffazzonato a caso e non si scopre più un talento da anni; e da quando è stato defenestrato Steve Della Casa non ci si diverte nemmeno più: la seriosità e la noia imperano nelle sezioni ufficiali, i Detours sono spesso sciacquature e il Fuori concorso non riesce più a trainare. Inoltre non ci si può continuare ad affidare ai soliti nomi di amici che ogni anno portano lo stesso tipo di film: i Masters of horror con tutto il rispetto sono più verso i settanta che i sessant'anni (e per un festival nato 24 anni fa come Cinema Giovani non è certo il massimo); Luciano Emmer andava forse bene nei primi anni Sessanta per le pubblicità di Carosello; Ruiz è anni che ripete lo stesso lunghissimo film; di Chabrol ne abbiamo piene le tasche; Bressane, che è sempre stato palloso e viveva di luce riflessa, è arrivato al punto - pur di partecipare e farsi pagare il viaggio probabilmente - di ripescare fondi di magazzino del 1972; Directed by era meglio prima che i grandi registi dicessero grandi banalità.
Un festival deve darsi da fare a scovare nuovi talenti e non filmini da matrimonio, deve mostrare nuove vie solo accennate e non riproporre sempre i soliti registi anno dopo anno; deve affiancare ai gusti che lo reggono nelle sue scelte quelle rassegne, quei cicli dedicati, quegli omaggi che servono a dire da dove provengono quei gusti e non deve adottare la rassegna di Aldrich per potersi rifugiare ad assistere a una proiezione di vero cinema. Quello dovrebbe farlo il Museo del cinema o una cinemateca.
Intendiamoci, con questo non vogliamo appoggiare le posizioni di Oliva, che per uno squallido calcolo di ritorno di immagine vorrebbe stravolgere il Festival e farlo diventare una porcata alla romana, zeppo di attorucoli e divette a nascondere il vuoto culturale; quel che vorremmo suggerire è che probabilmente Vallan e Turigliatto non sono gli unici che possono assicurare un Festival cinefilo e rigoroso con la mondanità ridotta al minimo e ormai i loro gusti ce li hanno propinati in ogni salsa... e non è neanche il caso di defenestrarli, magari affiancargli un'altra coppia di studiosi seri o registi che possano con la loro stessa presenza fare da richiamo per i media, perché in questo sicuramente ha ragione Oliva: mentre per Roma e Venezia ci sono servizi su tutti i tg, ogni giornale riserva spazi e tutte le radio si fanno in quattro per intervistare qualche protagonista, qui il vuoto mediatico è stato siderale: il colmo è che il quotidiano di Torino non abbia riportato alcuna notizia nel suo sito on line e che nella versione cartacea lo spazio era ridicolo; persino "il manifesto" ha cominciato a fornire notizie sul Festival solo dopo che Silvestri ha terminato di occuparsi da direttore del Festival di Sulmona. La presenza di nuovi orientamenti potrebbe magari risvegliare pure la vocazione di scoprire nuove cinematografie, altri talenti, diversi sguardi (ma il povero Gariazzo quanto ha potuto incidere sul programma? Ma lo sanno i direttori del Festival che a Barcellona si è appena conclusa una rassegna di cinema mediterraneo e africano?).

continua...

a cura di
paola tarino
adriano boano

se invece poi volete vedere un film come si deve: Broken Trail di Walter Hill