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Torino Film Festival - 2002
Diario (parziale) di un festival torinese

Iniziamo con i pro dello spostamento del festival al Pathè: sale capienti(ssime), audio perfetto, poltrone belle comode....ma tutto ciò è naturale, visto che il multisala è di recente costruzione.
Per quanto riguarda i contro: ore di ricerca per un parcheggio, scomodità nell'uso dei mezzi pubblici, la locazione all'interno del centro commerciale che trasforma il festival in una fiera nel paese dei balocchi- tutto luci e offerte.
Ma veniamo ai film. Dark Water
HONOGURAI MIZUNO SOKOKARA (Dark water) di Nakata Hideofantasma di bimba lungicrinita ricalca un po' le tematiche (ormai) classiche del regista, che vanno dal ruolo centrale dell'elemento acqua, alla presenza di bambine lungicrinite alias fantasmi, alla disgregazione della famiglia. Le atmosfere sono angoscianti proprio come nei precedenti Ring, ed è l'acqua a enfatizzare e sottolineare i momenti più riusciti del film, che vanno dall'inizio con luce flebile che scandaglia il liquido che ormai non è più purezza ma piuttosto morte e marciume, all'omaggio (voluto?) dell'ascensore kubrikiano che spalanca le sue porte per investire la bambina di un'acqua nera come l'anima del suo alter-ego/nemesi, ormai vera e unica figlia della madre. Lascia un po' di perplessità il finale che toglie molto alla tensione filmica e rende il tutto quasi gratuito.

 Cult assoluto è ICHI THE KILLER di Miike Takashi. un film che è puro divertissement, granguignolesco a piene mani, torture sconcertanti e sangue a profusione. Siamo dalle parti del Yakuza-movie, filtrato però dalle pagine di un pluricensurato manga attraverso le lenti di uno dei più prolifici e geniali cineasti giapponesi contemporanei. Oltre agli effetti speciali, una serie numerosa di camei, da Tsukamoto a Sabu, rende il film ancora più spettacolare. Ichi è un giovane "idiota" manovrato da Jiijii per far piazza pulita dei clan rivali a iniziare da quello degli Anjo, di cui fa parte Kakihara... semplice no? In effetti la storia non ha nulla di difficile tranne le scene di violenza che occupano 3/4 del film: da un novello uomo chiamato cavallo, appeso a ganci in sospensione e bruciato con olio bollente, a donne massacrate di botte, violentate e poi fatte a fette, a gambe recise come fossero fiori su cui si masturba il protagonista, a lingue automozzate e pugni letteralmente divorati...uao! decisamente anti-kawaii.

SHURAYUKI HIME (Princess blade) di Sato Shinsuke è invece una delusione. La storia fa acqua da tutte le parti, i combattimenti mancano di mordente così come le scene a effetto Matrix, la storia d'amore tra la principesse killer e l'hacker anti-governativo è a dir poco stucchevole e, come se non bastasse, abbiamo pure la sorella muta e traumatizzata e il vecchio compagno traditore....
Private eye MickeyForest with no nameLa setta Decisamente meglio con l'habitué festivaliero Aoyama Shinji e il suo A FOREST WITH NO NAME. La particolarità fantastica di Aoyama è che ogni spettatore vede sempre un film differente e che ognuno interpreta i segni in modo diverso. Io per esempio ho trovato la prima parte molto vicina al mood dei cartoni animati di Lupin III, mentra la seconda vira verso il naturalismo ambiguo di un Charisma (film di Kurosawa Kyoshi). Il detective Mike non deve solo riportare a casa la figlia di un ricco borghese dal luogo-setta in cui si è ritirata per ritrovare sè stessa; deve soprattutto capire quale è veramente il suo desiderio, prima che la foresta lo prenda con sè.
La Foresta

Notevoli i due film in concorso che sono riuscito a vedere.
 Il primo, DURVAL DISCOS di Anna Muylaert è principalmente un film di facce. Semplicemente meravigliosi i protagonisti, da Durval, il proprietario del negozio di dischi che ha ben più di una somiglianza con il compianto Joey Ramone, alla madre Carmita con la sua follia progressivamente devastante, alla piccola Kiki, deliziosa ballerina sul cavallo bianco. Divertente e struggente nell'intersecarsi di rapporti madri/figli ha un valore aggiunto nella colonna sonora che, se fosse distribuita, sarebbe l'oggetto più ricercato per la presenza di Jobim, Veloso, Barque...
Bello anche il lavoro dell'inglese Bille Eltringham, THIS IS NOT A LOVE SONG. Neanche a dirlo, il tema portante è proprio l'omonima canzone dei Pil, spesso svisata dagli archi del Kronos quartet. La storia ha un impianto abbastanza classico, Heaton va a prendere l'amico Spike all'uscita dal carcere con un'auto rubata e iniziano un viaggio verso le campagne inglesi: colline verdi, pesca al salmone e calorosa accoglienza. Naturalmente ci scappa il morto e la conseguente caccia ai fuggitivi tiene lo spettatore incollato, malgrado l'ovvia conclusione sia inevitabile. Una bella regia che alterna primissimi piani e dettagli a panoramiche infinite e mescola diversi mezzi (un po' di digitale ed effetti per lo stordimento acido di Spike) per un racconto di omosessualità sottilmente celata.
mai visti blu e verdi cosi' torbidilisergiche soggettive della canna del fucile Impressione positiva per BELL'AMICO, scritto, diretto e interpretato da Luca D'ascanio; interamente girato in digitale e poi riversato in pellicola. Una bella storia contro buonismo e politically correct in grado di tirare fuori il sentimento razzista più bieco che alberga in ciascuno di noi. Prodotto dalla Sorpasso film di Risi, verrà (forse) distribuito anche nelle sale.
Attendevamo al varco l'opera seconda di Avary e bisogna dire che il"compagno di merende" di Tarantino non ci ha deluso. Il suo THE RULES OF ATTRACTION, tratto dal romanzo di Bret Easton Ellis è un perfetto congegno ad orologeria atto a scardinare le convinzioni dello spettatore. L'inizio è sconvolgente e terribile, ma ecco che il nastro si riavvolge e allora può essere che nulla di ciò che vediamo sia reale. E invece accade e si sposta solo l'angolatura. E invece no. Se la neve sale invece di cadere e le foglie marce ritornano verdi allora ci può essere ancora una speranza. Ma se nessuno può conoscere nessuno, specie attraverso il sesso meccanicizzato e sterile consumato di continuo come nelle catene di fast food, allora è meglio smetterla qui per scoprire che ciò che si vuole è...
FINE
Un bel saggio di postmodernismo letterario applicato alla cinematografia. una sola cosa: io non riesco più a sopportare questo genere di film che fanno del sentimento una carta igienica, con situazioni che definire disturbanti è veramente minimo...

Fulvio Faggiani

(Fin qui il testo ritrovato tra i tavolini dei fast food della Galleria del Lingotto, scritto da un giovane appassionato di cinema, trasformatosi in consumatore dopo l'ennesima scala mobile calpestata per accedere a una sala anche troppo accogliente: da cinefilo... mutato in "utenza pagante una merce pre-confezionata" svuotata di qualsiasi contenuto perturbante.
Meglio l'apartheid alla commistione con i lobotomizzati che percorrono i corridoi del Mall di Renzo Piano, non ci sono speranze di salvarli; invece Fulvio lo abbiamo preso in tempo: è tornato l'esperto nippofilo che conoscevamo dopo la terribile esperienza.)