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Postman blues
Anno: 1997
Regista: Sabu;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Giappone;
Data inserimento nel database: 12-05-1999


Postman Blues
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POSUTOMAN BURUSU


Soggetto, Sceneggiatura e Regia: Sabu
Fotografia: Kuriyama Shuji
Montaggio: Kakesu Shuichi
Musica: Sato Koya
Produttore: Satani Hidemi
Formato: 35 mm.
Provenienza: Giappone
Anno: 1997
Durata: 110'

Tsutsumi Shin'ichi: ... Sawaki
Toyama Kyoko ... Kyoko
Horibe Keisuke...Noguchi Shuji
Osugi Ren...Joe
Shimizu Hiroshi...Det. Domon Taizo
Takizawa Ryoko...Ran
Taguchi Tomoro...Profiler
Maro Akaji ...Hanta

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Esilarante registro per atroci situazioni al limite del surreale, una tendenza bilanciata dagli ambienti estratti dalla realtà dei quartieri popolari di Tokyo, scorci di realtà fissati dai vertiginosi percorsi in bici o dalle tappe di riflessione poetica nei pressi di ponti e fiumi. Questi momenti di pausa offrono oasi di riflessione, che spalancano abissi di sentimento mai completamente scevro di riferimenti cinematografici, ma che comunque sono attimi di relax rispetto al frenetico manga ciclistico-poliziesco.

Eppure l'inizio appare lento e sembra intraprendere la china esistenzialistica dell'altro film nipponico su un postino (Jûkyû sai no chizu, La mappa di un diciannovenne di Yanagimachi), il protagonista pedala svogliato con andatura dinoccolata, alternandosi a ripartitori che incasellano metodicamente i plichi. La noia ed il disgusto per le storie di cui il portalettere si fa canale sono descritte con vis comica, che però non fa immaginare l'effervescenza delle situazioni comiche offerte da una sceneggiatura ammirevole per l'alternanza dei toni: infatti improvvisamente ci troviamo catapultati in una yakuza story ed in seguito a questo, senza apparente nesso, assistiamo ad una delle sequenze più trasgressive del cinema: l'apertura, la lettura e lo scherno di tutte le lettere affidate a Sawaki, il postino; tutte tranne una, che ci viene letta integralmente, tanto che lo spettatore prova persino un po' di disagio a penetrare così a fondo nell'intimità di una ragazza, fino alla chiosa, che cambierà il corso del film, introducendo la nota romantica. Storia di yakuza, ma non come i film esaltanti le gesta dei clan di Suzuki: qui lo yakuza è uno sfigato trentenne che si è appena tagliato un mignolo, che funge da altro motivo di connessione tra gli episodi, rendendo gradevolmente unitario il racconto. Ma Noguchi non è truce, piuttosto può ricordare certi personaggi della nouvelle vague, a cui probabilmente si ispira l'intero impianto del film, anche e soprattutto per il suo nomadismo tra i generi: tutti variamente visitati e scardinati con lo scopo di sentirsi vivi di nuovo, "come quando si palpitava per i primi amori". Ed infatti galeotto fu lo scritto, fraudolentemente letto ...

Il plot prosegue in un modo che ricalcherebbe la vita quotidiana di un postino, benché infarcita di incontri imprevedibili, se non trovasse un filo logico assurdo nella interpretazione dei suoi spostamenti da parte della polizia, che lo dipingono dapprima come spacciatore, poi killer, indi terrorista e serial killer in un'escalation al momento comica, ma che dà un quadro del modo di procedere nella persecuzione di un innocente, creando il mostro; a questo proposito il pugno finale sul grugno dell'ottuso funzionario di polizia è liberatorio quanto la auspicabile cacciata di Izzo dalla Questura di Torino. Una catarsi che è solo l'ultimo atto di una sequenza finale degna di Peckimpah, con i tre amici a cavalcare insieme, ignari del nemico che li aspetta, ma consapevoli della loro unione (e della imminente fine), degna dell'epica dei jidaigeki; questo è un altro aspetto che percorre l'intero film: il giovane rimane costantemente all'oscuro di tutte le manovre operate dal nemico, eppure i suoi gesti si incastonano perfettamente nell'ordito, perché sarebbero comunque stati incasellati dalla macchietta maniacale del lombrosiano esperto psicologo, che dipinge il ritratto del serial killer su basi inconsistenti.

Peccato per il finale insistente sulla svolta edificante e sdolcinata, che sarebbe invece teneramente piacevole se s'interrompesse su quella richiesta di scuse per essere giunto tardi, fatta dal postino morente alla giovane mittente fino a quel momento solo presumibilmente morta e che invece è tenuta a pronunciare frasi di spiegazione inutili e irritanti su un luminoso futuro nell'altro mondo. Kyoko è bellissima per la sua collocazione nella schiera di figure femminili, alle quali non aggiunge nulla se non lo stesso appeal della protagonista di Chungking Express di Wong Kar Wei, meno artificiale di Brigitte Lin e davvero amabile sullo sfondo del ponte del Pier di Tokyo. Espressione dello stesso amour fou, ma con molta più freschezza e gioia di vivere del prodotto hongkonghese, si tratta di una conferma dell'ilare racconto sulla stessa falsariga prodotto da Sabu nel 1996, Dangan Runner.

Il film pone il proprio fondamento nella prassi di spostare le situazioni all'esterno del loro ambito naturale: risulta dirompente l'uso della citazione per scardinare stereotipi, non solo parodiandoli, ma facendoli coesistere fuori contesto, per farli collidere con la loro natura e contemporaneamente rendere plausibile l'integrazione dei vari tasselli del mosaico tra loro, appoggiando i fraintendimenti che danno senso all'intreccio; essi aggiungono momenti di puro divertimento nei siparietti allestiti con cura come quello più rappresentativo del torneo di killer, bellissimi nei loro stereotipi evidenti (Leon con la pianta e l'ossessiva riedizione della protagonista di Wong Kar Wei, avvolta dall'impermeabile e dalla parrucca bionda). Utile per introdurre la splendida figura di Tsenuo (che significa buon senso) "Joekiller": costantemente a cavallo tra la parodia di Lemmy Caution e nostalgico personaggio metalinguistico, anch'esso già formalizzato dal cinema e presentato da Sabu con la consapevolezza di renderlo un'icona capace di autoironia, in preparazione della situazione classica (da antologia il recupero della pistola ad acqua sotto il pontile), per esploderla all'interno, giustapponendo un atteggiamento tipico del personaggio attraverso l'esagerazione e la trasposizione in contesti diversi di interrelazioni, come il rapporto con l'aspirante killer, che "non sente il ritmo" per uccidere (è questo il blues del titolo?).