«Il sublime: esporsi, consapevolmente inerme, al pubblico ludibrio», scriveva qualche anno fa Czeslaw Milosz. In questo senso l'ultimo film di Roman Polanski Il Pianista è un'opera sublime. Chi si espone "consapevolmente inerme, al pubblico ludibrio" non è né Wladyslaw Szpilman, il protagonista del film, né l'attore Adrien Brody nella sua eccezionale interpretazione. È il regista stesso che ha deciso di ricostruire, sulla trama di una storia vera, le proprie radici, ebraiche e polacche al tempo stesso. Il film, però, non è solo una confessione di Polanski; sullo schermo scorre un raffinato fotogramma della sua patria. Fino alla Shoah la Polonia è sempre stata una nazione particolare: un insieme di popoli diversi, tra cui, subito dopo i polacchi, il popolo ebraico era il più numeroso. Polanski ha catturato scene, immagini e parole che riportano alla ribalta il capitolo più drammatico nella storia di questa nazione: l'occupazione nazista.
Bisogna subito puntualizzare che ultimamente il cinema in Polonia dimostra un notevole interesse per la storia della madrepatria. Si cerca di rileggere i classici dell'Ottocento, ma anche i più noti scrittori del Novecento, quali Milosz, Herling o Gombrowicz, si trovano al centro di attenzione di molti registi. La tendenza dominante, però, è quella di una lettura romantica ed eroica della storia.
Non così, per Polanski, che ha scelto un libro poco noto e poco letto in Polonia, nonostante il suo autore fosse stato un personaggio di primo piano.
Nel film Il Pianista non ci sono eroi tragici, né incarnazioni del male. Gli ebrei soffrono, i tedeschi sono spietati, ma il protagonista del film sopravvive grazie all'aiuto di un tedesco. La resistenza polacca è affidabile, dedita alla Causa, ma anche nelle sue file c'è qualcuno che pensa soltanto a sfruttare la miseria di un ebreo braccato dai tedeschi. Gli ebrei stessi non possono essere considerati, tout court, l'incarnazione collettiva del servo sofferente del Signore. Ci sono nel ghetto di Varsavia alcuni ristoranti di lusso e diversi ricchi commercianti, ci sono i poliziotti collaborazionisti e gli impiegati corrotti. La vita vera insomma, non un quadro eroico esasperato al punto tale da diventare patetico! Ed è proprio in mezzo a questa vita vera che per Szpilman si apre una possibilità di salvezza. È la salvezza dalla morte. Per coloro che lo aiutano invece (un ristoratore ebreo, un ufficiale della polizia del ghetto, i cospiratori polacchi, il capitano Wilm Hosenfeld) è un estremo tentativo di liberazione dalle forze del male.
Forse la statua di un Gesù schiacciato dal peso della croce ma con la mano alzata in alto e con la scritta Sursum Corda (Non temete), uno dei simboli di Varsavia ripreso diverse volte nel corso del film, è una delle possibili chiavi di lettura. Quel Gesù può essere visto come un altro giusto che soffre, ma potrebbe anche essere visto in un'ottica diversa e universalmente valida: "c'è un avvenire, e la tua speranza non sarà delusa" (Proverbi 23,18).
Pawel Gajewski
"Riforma", 17 gennaio 2003