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Lumumba
Anno: 2000
Regista: Raoul Peck;
Autore Recensione: adriano
Provenienza: Congo;
Data inserimento nel database: 04-04-2001


Lumumba

Lumumba

Visto all'12 festival internazionale del cinema africano - Milano


 



Regia:  Raoul Peck
Sceneggiatura:  Raoul Peck, Pascal Bonitzer
Fotografia:  Bernard Lutic
Montaqgio:  Jacques Comets
Musica:  Jean Claude Petit
Suono:  Dirk Bombeu, Waldir Goncalves, Jean-Pierre Laforce

CAST

Eriq Ebouaney,
Alex Descas,
Théophile Moussa Sowie,
Maka Kotto,
Dieudonné Kabongo,
Cheikh Doukouré,
Makéna Diop.


Produzione: Avalon Films
Durata: 95'
Anno: 2000
Nazione: Congo
Distribuzione: France Télévision Distribution Department Art Box - Le Barjac 1, Blvd. Victor - 75015 Paris

Il taglio è quello dell'agiografia. Colta, precisa, militante, seria, fondata su materiali d'archivio; ma destinata a collocare l'uomo su un piedistallo, come Malcolm X per Spike Lee. La trappola non era scattata per il documentario sullo stesso mito curato dal medesimo affascinante regista haitiano. Invece nel film di ricostruzione, vuoi per la scelta di affidare al flashback il racconto a partire proprio dal martirio, lugubre e spietato (ma che fatalmente pone in rilievo maggiormente la morte rispetto alle lotte in vita), vuoi per la alternanza di voce off, attribuita al protagonista che narra a partire dal suo stato di defunto, e delle varie tappe - percorse come un calvario - del processo di liberazione, si patisce la retorica che finisce con allontanare la figura dell'uomo senza offrire un'autentica interpretazione del suo insegnamento; invece sarebbe stato auspicabile insistere su quali potrebbero essere gli aspetti ancora percorribili dell'impegno rivoluzionario.

Fin dall’inizio si avverte la non ben definita coesione tra ricostruzione fiction e archivio – ridotto purtroppo al minimo – tra mito, amato, idealizzato, introiettato, e storia, di cui sappiamo dal regista che ad esempio il dialogo con l’ambasciatore belga è letteralmente la trascrizione riportata dal protagonista ancora vivo (che non necessariamente è quello più meritevole di esserlo); si avverte in quei titoli che espongono la struttura alternando foto in bianco e nero d’archivio e immagini ricostruite a colori, ma soprattutto inserisce immagini che ritraggono bianchi dell’epoca, sia la componente coloniale, che come sempre è arroccata a difesa del privilegio e abbraccia ogni forma di razzismo per mantenere lo status che il colore della pelle consentiva, sia quella europea, in posizione di falsa osservazione (il sordido "Lasciamo che sperimentino la libertà"), incapace di fare scelte di sviluppo e autodeterminazione, come richiedevano i nuovi intellettuali africani.

 

"Nessuno deve sapere". Di quest’ultima accusa è bello seguire le tracce nel film, perché è l’aspetto più militante, al di là della truculenza del martirio e dell'efferata determinazione a cancellare le tracce della esistenza di un uomo che incarnava le istanze di panafricanismo, a partire dall'insubordinazione civile per arrivare all'avvento al potere contro mafie al soldo delle potenze straniere e complotti orditi dalla Cia; e quanto più la potenza coloniale si sforza di azzerare le tracce, tanto più si gonfia il mito che a distanza di quarant'anni permane vivido persino riguardo alla venustà dell'uomo, addirittura nel momento in cui si ribadisce attraverso scene infernali l'avvenuto scempio del corpo, mutilato e bruciato in un bidone, anche in quel frangente il montaggio alternato delle vicende della meteora Lumumba servono a renderlo ancora fisicamente presente.

E allora cosa sembra non funzionare in questa ricostruzione precisa, attenta a calibrare tutti gli elementi, piena di suggestive immagini, montata misurando spettacolo e documenti? Proprio quella assenza di slabbrature e quella precisione millimetrica nell'inserire la sequenza che ci si aspetta (al di là della ben conosciuta vicenda umana e politica) tolgono paradossalmente efficacia ad un film peraltro degno della proiezione in tutte le aule scolastiche dell'Unione Europea e degli Usa a coprire lacune nello studio della storia. Però viene meno alla battuta guida: "Una Rivoluzione si porta fino in fondo" e dunque anche una biografia va realizzata evitando di compensare le situazioni più estreme di denuncia con raccordi "hollywoodiani": i dialoghi didascalici con Mobutu ricostruiti, il pestaggio in galera con parole prolettiche di scherno che si ribaltano all'ingresso provvidenziale nella cella dell'invito a Bruxelles annunciato all'inizio della sequenza per "telefonare" l'attesa dell'apoteosi, la figura bozzettistica di Kasavubu, la canzone dell'Indipendence, opposta come funzione ai siparietti di musica caraibica - unica concessione alla propria cultura (in questo senso Peck riesce nella difficile impresa di mantenere il rigore con cui si avvicina a una realtà che non gli appartiene se non per encomiabili accezioni internazionalistiche e in questo modo confeziona un prodotto fruibile con successo in tutto il mondo: lo testimonia il premio del pubblico alla rassegna meneghina) - che esaspera il legame tra radici nere e afro-americani; tutto ciò concorrere al bisogno di rappresentare l'uomo - la morte della figlia neonata - e il politico secondo canoni hollywoodiani, ottenendo un risultato sì a tutto tondo, ma spettacolarizzando la storia rendendola in questo modo poco analitica e sfumando i toni interpretativi richiesti da una vicenda che ha soffocato addirittura fino a oggi le velleità di riscatto del continente. Può risultare catartico inscenare l'infame Mobutu e il minuto di silenzio, montandolo magistralmente con il richiamo alla situazione iniziale della fucilazione nottetempo narrata con voce off dalla vittima stessa, però non aggiunge nulla alla storia che anzi nel movimento ad anello tra il racconto iniziale di Lumumba accompagnato in auto al luogo dell'esecuzione e quello finale, che teatralmente la mette in scena a sancire in quel cortocircuito la fine dell'esperienza del leader congolese, si rinchiude l'intreccio invece di liberarlo e offrirlo ad esempio per nuovi sforzi di emancipazione dal controllo euro-americano sull'Africa.


Si è cominciato a sollevare il velo sulla storia "post"-coloniale - ed è già qualcosa - ma non è ancora questo film che risponde esemplarmente alla retorica frase finale: "Un giorno si filmerà la storia e non sarà a Bruxelles o Washington…".