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Chemin de traverse
Anno: 2000
Regista: Malika Tenfiche;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Algeria;
Data inserimento nel database: 05-04-2001


Chemin de traverse

Chemin de traverse

Visto all'12 festival internazionale del cinema africano - Milano


 



Regia:  Malika Tenfische
Sceneggiatura:  Malika Tenfische
Fotografia:  Philippe Bovar
Montaqgio:  Véronique Rosa
Musica:  Kassia
Suono:  Cédric Pinard

CAST

Saïda Jawad,
Radhija Chekkor,
Christelle Hervé.


Produzione: Ciné Sud Promotion
Durata: 22'
Anno: 2000
Nazione: Algeria
Distribuzione: Ciné Sud Promotion, 73, Rue de Turbigo - 75003 Paris e-mail: [email protected]

Chemin de tràverse, un film algerino, anzi di una donna maghrebina, quindi pervaso da una percezione del corpo che proviene da una cultura particolarmente castrata: particolare per la sua sensibilità femminile, avvicinabile a quello stesso conflitto tra generazioni che da sempre Tlatli insegue nelle sue pellicole. Nella disamina avviata all’interno della nostra redazione sulla mortificazione del corpo il cortometraggio mostrato al festival del cinema africano di Milano rientra per la scena culminante del contatto tra i corpi della madre e della figlia: il viaggio verso il ricovero si era dipanato nella più totale distanza degli universi: Yasmine, la giovane, è liberata dalla religione, dalla famiglia, dalle inibizioni, tanto che nella prima sequenza la abbiamo vista affiorare dalle lenzuola, non è sola ed è nuda (vediamo prima i suoi piedi e il montaggio parallelo con le estremità della madre in attesa alla stazione preludono alla sovrapposizione delle due figure che culmina con i due primi piani di taglio uguale: uno nello specchio del risveglio, l'altro sul volto impassibile della madre con il foulard sulla testa); la madre farà fermare l'auto per le preghiere, evidentemente ostile all'occidentalizzazione della figlia in jeans, che senza polemizzare ne lamenta l'intransigenza in un breve accenno alla autostoppista che ha nostalgia della sua nurse araba, non riconoscendo il rapporto di parentela tra le due donne. La scena clou vede madre e figlia in albergo, neanche i programmi tv le uniscono, tuttavia una decisione consente per un attimo di ritrovare armonia tra le due estranee: la ragazza propone alla madre di massaggiarla con la crema, un gesto intimo eppure carico di significati culturali, di soddisfazione derivante dal contatto epidermico, di condivisione di un piacere consentito a entrambe. Ed è una scelta di inquadrature per nulla reticenti, eppure rispettose, la carne flaccida della anziana madre viene massaggiata anche dal nostro sguardo impudico e scandagliata impietosamente: ogni macchia assume un particolare rilievo, ma non è "osceno" – Baudrillard direbbe perché è messa in scena – bensì si tratta di una presa di coscienza delle ingiurie del tempo, e questo viene espresso con la inquadratura successiva con il fisico asciutto della figlia da sola in mutande, uno splendore triste per la decadenza fatale, ma anche un corpo carico di energia infusa forse dal nuovi contatto con la madre, di cui si ribadisce il ruolo di fonte di vita, nonostante la vecchiezza che fa invertire i ruoli per un attimo: la figlia le rimbocca le coperte prima di uscire in un estremo gesto di tenerezza, quell'ultima che pervade la sequenza, prima che lei esca e al rientro l'ingombrante corpo stanco non c'è più. È andato di sua iniziativa a ritirarsi: altre contaminazioni non sono previste, se non quelle affidate al tempo..