La
corazzata Potëmkin. Sergej M. Ejzenštejn. 1925. URSS.
Attori: Aleksandr Antonov,
Grigorij Aleksandrov, Vladimir Barskij, Michail Gomarov, Beatrice Vitoldi,
Repnikova, marinai della flotta del Mar Nero, cittadini di Odessa, membri del
Teatro del Proletkul't
Durata: 67’
Titolo originale: Bronenosec Potëmkin
Russia. 1905. Parte Prima – Uomini
e vermi. I marinai della corazzata Potëmkin
sono scontenti, viene data loro infatti da mangiare della carne putrida piena
di vermi. Nonostante si rifiutino di mangiarla, viene assicurato loro dal
medico che non si tratta di vermi e che basta solo sciacquarla. Un marinaio,
mentre lava le gavette, trova un piatto su cui č inciso “dacci oggi il nostro
pane quotidiano” e lo rompe. Parte seconda – Dramma sul ponte. Il
comandante della nave, Golikov, fa radunare tutti sul ponte e minaccia di far
impiccare all’albero maestro quelli che si sono rifiutati di mangiare. Un
gruppo di marinai viene allora fatto coprire da un lenzuolo bianco e messo di
fronte ad un plotone d’esecuzione. Il marinaio Vakulinchuk incita la rivolta e
le guardie allora si rifiutano di sparare. I piů alti in grado della nave
vengono buttati a mare, ma Vakulinchuk viene ugualmente ucciso con un colpo di
pistola alle spalle. Il suo corpo viene lasciato al porto di Odessa con un
biglietto sul quale č scritto che č “morto per una zuppa” Parte terza – La
morte di un uomo chiama giustizia. Il
popolo di Odessa man mano si avvicina al cadavere del marinaio e i marinai
fanno anche girare un comunicato nel quale spiegano l’accaduto. La popolazione
insorge contro lo stato zarista al motto di “Tutti per uno, uno per tutti”. Il
popolo si allea con i marinai. Parte quarta – La scalinata di Odessa.
Centinaia di barche di pescatori affiancano la corazzata Potëmkin e la riforniscono di viveri. Il popolo rimasto a terra saluta l’evento
da una enorme scalinata sulla quale perň sopraggiungono i militari cosacchi che
sedano la manifestazione con un bagno di sangue. Non vengono risparmiati
bambini, anziani e donne. La corazzata Potëmkin
risponde sparando sulla cittŕ alcune cannonate che fanno saltare in aria il
palazzo dell’Opera. Parte quinta – L’incontro con la flotta. I
marinai si aspettano l’arrivo della flotta dello Zar che sopraggiunge di fatti
all’alba. La corazzata gli marcia contro a cannoni spianati, ma la flotta
decide di non combattere e di allearsi ai rivoluzionari.
Secondo sontuoso lavoro per
Sergej M. Ejzenštejn che, dopo l’esordio con Sciopero (1925), prosegue la sua carriera con un’altra opera di
regime, commissionata dal governo per festeggiarne il ventennale, per metŕ
ispirata (e per metŕ gonfiata) ad una vicenda realmente accaduta, quella
dell’ammutinamento ad Odessa, il 27 giugno 1905, dei marinai di un incrociatore
russo. Si tratta ancora una volta di un poema epico diviso in capitoli e
costruito su ellissi brevi e lunghe (medico buttato in acqua/carne malata da
sciacquare; anziana che incita alla rivolta/anziana colpita nell’occhio; uno
per tutti/uno contro tutti), sulla quale costruzione il regista non rinuncia ad
applicare un montaggio ancora vivo di metafore (comandante che stringe la
spada/prete che stringe il crocifisso, entrambi inseriti nel capitolo dei vermi;
i pugni del popolo che si stringono) che si rifŕ in parte all’idea del montaggio delle attrazioni, ma
soprattutto a quello dei piani narrativi (la vicenda ristretta della madre e
del figlio inserita all’interno della grande rivolta e dello scontro) sviluppato
attraverso il processo del montaggio
intellettuale. Da questo punto di vista, anche se č solo la seconda opera di
Ejzenštejn, La corazzata Potëmkin č un film spartiacque nella carriera del regista,
proprio perché segna il passaggio da una tecnica di montaggio all’altra, dalle
attrazioni allo scontro intellettuale tra due fotogrammi di diverso piano, in
grado di esprimere un concetto oltre che di rappresentare una scena. Il nuovo
montaggio infatti cerca di mettere in relazione non piů le immagini, ma i fatti
significativi dell’azione, all’interno di una piů ampia situazione, il cui
contrasto č cercato per esprimere un concetto. Questa cernita dei fatti
decisivi al racconto, č il frutto di un processo di accorpamento che giŕ lo
stesso regista esegue in principio, raccontando l’intero processo di
rivoluzione ed organizzazione del paese, attraverso un singolo episodio (l’ammutinamento)
che nella finzione cinematografica si risolve in 48 ore. Come fa giustamente
notare Jean Mitry [1], l’azione č tagliata nella
sua piů concreta sintesi: preparazione dell’atto (sciabola alzata del militare)
ed effetto (occhio insanguinato della donna), conservano il necessario,
epurando la storia dell’azione vera e propria, e ricavandola dal montaggio
serrato di tante inquadrature cosě costruite. Da un punto di vista
iconografico, il regista interviene sulla rappresentazione del popolo come
caotica e vivace e quella dei militari come sistemica, alla quale sembra
mancare un vero volto, un’espressione di umanitŕ (che si ricava invece
dall’alternanza dei primi piani delle comparse del popolo). Si tratta
ovviamente di un’opera di propaganda (in special modo dell’industria pesante se
si pensa alla prima frazione della quinta parte del poema) introdotta da una
delle piů famose dichiarazioni di Lenin, del 1905, che fa riferimento alla
guerra come alla rivoluzione. Č infatti il socialismo reale uno dei sottotesti
del film che, oltre a parlare di una rivolta e dei suoi effetti (come era
successo per il precedente Sciopero),
mette in chiaro l’organizzazione del nuovo paese, con il popolo che rifornisce
i militari (scena delle barche che raggiungono la corazzata) e che li mette in
condizione di avere una flotta intera dalla propria parte (accrescimento
politico/militare del prestigio sovietico). Impressionate, come in tutto il
cinema di Sergej M. Ejzenštejn, la
capacitŕ di costruire scene di massa dalle lunghe profonditŕ e dai diversi
piani (inquadratura dall’alto durante la rivolta nella nave, dove si vedono tre
livelli di marcia dei marinai), capacitŕ che ha reso celebre un maestro come
lui, uno dei pochi in grado, negli anni ’20, a rendere proprio le masse il
soggetto di una rappresentazione cinematografica. Largo uso delle silouette,
per un’immagine molto contrastata ottenuta dall’operatore fisso del regista, Edouard
Tissé, e uso dei primi piani come fonte di tensione (scena della fucilazione
sul ponte) o di esaltazione drammatica (le donne durante la sequenza della
scalinata). A proposito proprio del lavoro di Tissé, le immagini del porto di Odessa
all’alba con la nebbia furono girate in un altro momento, e solo dopo
recuperate dal regista per esaltare la scena dei funerali sull’acqua di Vakulinchuk
[2]. Il film fu proiettato per la prima volta il
21 dicembre 1925 al Teatro Bolscioi di Mosca, e nel 1950 la pellicola venne sonorizzata
con musiche di Nikolaj Kriukov, sostituite nel 1976 con quelle composte da
Dimitrij Šostakovic. La pellicola fu distribuita in Italia nel 1960 con la voce di Arnoldo Foŕ. La scena
della scalinata č resa ancor piů celebre da diversi film successivi che l’hanno
citata sia come parodia che come omaggio, come č accaduto ne Il secondo
tragico Fantozzi (1976) di Luciano Salce (dove viene smitizzata) e in Gli
intoccabili (1987) di Brian De Palma, dove addirittura venne rifatta (e
riadattata alla storia sul proibizionismo), ma anche nel corto lavoro Steps
(1987) di Zbigniew Rybczynski.
Bucci Mario
[email protected]