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L'Atalante - La Chaland qui passe
Anno: 1934
Regista: Jean Vigo;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 27-09-2005


La grande guerra

L’Atalante. Jean Vigo. 1934. FRANCIA.

Attori: Michel Simon, Jean Dasté, Dita Parlo, Gilles Margaritis, Louis Lefebvre, Fanny Clar, Raphaël Diligent, Charles Goldblatt, Pierre Prévert, Jacques Prévert

Durata: 89’

Altro Titolo: La Chaland qui passe

 

               

La contadina Juliette, con sorpresa di tutti, ha scelto di sposare Jean e di andare a vivere con lui su una chiatta della quale è il capitano. Membri dell’equipaggio sono anche il rozzo marinaio Papà Jules, un ragazzo, ed una selva di gatti. Dopo i primi giorni felici, la vita sulla chiatta incomincia a pesare a Juliette che si avvicina sempre più a Papà Jules il quale, un giorno, le mostra la sua cabina, vetrina d’oggetti raccolti da tutto il mondo. Esaltato, Papà Jules le mostra i suoi tatuaggi e le suona una canzone, ma il capitano Jean non la prende bene e schiaffeggia lei e distrugge le cianfrusaglie del marinaio. Jean e Juliette decidono una sera di andare in città ma poiché Papà Jules li anticipa, sono costretti a rimanere a far da guardia alla chiatta. Papà Jules in città si fa predire il futuro da una chiromante, sottrae un cono di grammofono in un bar e si ritira ubriaco sulla barca. Salpano il giorno dopo e quando attraccano di nuovo Jean porta Juliette in un locale dove un cabarettista e venditore ambulante ci prova con la donna. Jean è costretto a spinger via l’uomo ed a riportare la moglie sulla barca, allontanandosi poi di nuovo. Sopraggiunge il cabarettista che, suonandole una serenata d’addio, ne approfitta per chiederle di fuggire con lui a Parigi. Jean torna e scaccia a pedate il cabarettista. A notte, Juliette non fa che pensare a Parigi e all’offerta del cabarettista così, approfittando che c’è aria tesa con il marito, scappa dalla barca per andare in città. Jean se ne accorge e ordina a Papà Jules di salpare. Al ritorno dalla città, Juliette non trova più la chiatta attraccata al molo. Prova a raggiungere la prossima destinazione in treno, ma è scippata alla stazione. Trascorsi alcuni giorni però, Jean si sente smarrito senza di lei, rischiando di essere licenziato dalla Compagnia mercantile per la quale lavora a causa di una serie di richiami. Papà Jules a questo punto decide, una volta attraccati a Le Havre, di andarla a cercare e quando la ritrova la riporta alla chiatta. Non appena si rivedono, Jean e Juliette si riabbracciano felici.

Secondo lungometraggio per la brevissima carriera di un grande regista come Jean Vigo, morto qualche mese dopo la proiezione di questa pellicola (durante la quale lavorazione s’era ammalato di setticemia), all’età di ventinove anni, il 5 ottobre dello stesso anno. Si tratta di un’opera sconvolgente nella sua semplicità, girata in maniera eccelsa e con piena coscienza dei ritmi cinematografici (montaggio parallelo) e della funzione simbolica delle immagini (brevissima scena di Jean che abbraccia il ghiaccio per indicare la sua freddezza di fronte al grammofono di Papà Jules). L’Atalante cui fa riferimento il titolo è il nome della chiatta, dell’imbarcazione sulla quale viaggia il matrimonio di due persone tanto diverse tra loro, e sul quale vola lo sguardo di un regista (inquadratura dall’alto finale) capace di raccontare una storia dai sapori teneri, dosata e ben amministrata in rabbui e risate, con momenti surreali raffinati e non ingombranti (il burattino in primissimo piano, scene sott’acqua). C’è anche una critica politica e sociale ovviamente, nella descrizione di una famiglia composta di proletari che si dividono per il fascino del consumo, delle vetrine e della tecnologia, ma che ha la sua forza solo nell’unione e non nell’abbandono. È un film nomade quindi e che esalta il nomadismo (marittimo in questo caso), che attraverso la metafora dell’acqua rende ancora più instabile la condizione di una strana famiglia priva di legami (in questo si riconosce la tendenza anarchica del regista, figlio del militante anarchico Almereyda, ucciso/suicidato in carcere). È il marinaio però la chiave che risalda il matrimonio, la radicalità di un’intera esistenza quindi, e la scelta di condividerla. Si tratta di una condizione sociale che deriva da uno sbaglio politico, dice il regista con questo film, ma non teorico nella difesa comunque delle sue radici socialiste. Parigi, città infame e meravigliosa, come una città qualsiasi dominata dal progresso (e della quale non è mostrata alcuna caratteristica peculiare), capace di rapire chiunque, dal marinaio ubriaco alla donna affascinata dalle vetrine. È una pellicola che allude parecchio anche alla sfera del sesso e dell’attrazione prima ancora che a quella del matrimonio (ripreso come un funerale all’inizio del film). Tante, infatti, le allusioni verbali (coltello) e quelle figurative (la scena della gonna) che spinsero la censura a dover mettere più volte mano alla pellicola, stravolgendone per anni il significato: è un anagramma d’amore, infatti, quello che mette in scena Jean Vigo, una romantica e struggente a tratti storia d’amore impossibile tra una ricca donna ed un gruppo di maschi rozzi, deboli, non capaci di vedere l’amore se non solo nella sua mancanza (l’emblematica scena del tuffo in mare). Delicatissimo, si avvale di personaggi di contorno ai quali è dato ampio spazio (dal ferrivecchi Rasputin al cabarettista allo scippatore alla chiromante) che entrano nella scena il più delle volte in maniera sempre occasionale o dirompente, comunque senza giustificazioni. È una storia di gelosie anche, e quindi di fortissime passionalità che circondano la figura di Juliette, candida, solare anche di notte. Si tratta, da un punto di vista storico, di un film pregno di realismo poetico, che nasconde in realtà stralci di realismo socialista, quindi di un marcato senso politico nella sua rappresentazione. Jean Vigo ne è sicuramente uno dei precursori più intelligenti e sottili, dotato d’ottime capacità visive/visionarie (le sovrimpressioni di Juliette quando Jean la cerca in acqua sono considerate tra le più belle del cinema), che non riprende le figure borderline per raccontare una storia fine a se stessa, ma per mettere in scena soprattutto in maniera coscienziosa una condizione sociale diffusa. Non per altro sarà uno dei pochi registi appartenenti al filone del realismo poetico (sebbene con venature surreali) ad essere difeso e studiato dai critici dei Chaiers du cinéma. Per certi versi è anche un omaggio alla donna, sempre eterea, come abbiamo detto solare, ma che è protagonista principale sin dalle prime battute (commenti della famiglia sul matrimonio) e per la quale ci si affeziona durante il racconto, fino a cercarla assieme a Jean immergendosi nell’acqua amniotica che difende l’amore. Superlativa la prova di tutti gli attori, del rozzo Papà Jules/Michel Simon soprattutto si può apprezzare le capacità interpretative. Tra loro figura anche lo sceneggiatore Jacques Prevert. Per decenni il film è circolato con il nome La Chaland qui passe, preso da un titolo di una canzone (la versione francese di Parlami d’amore, Mariù scritta da Bixio [i]) aggiunta contro il volere stesso del regista. La versione integrale si è potuta vedere solo dopo il restauro del 1990, durante il quale fu fatta anche una ricostruzione filologica della storia, per decenni massacrata dalla censura. L’operatore è Boris Kauffman, fratello del regista Dziga Vertov [ii]. Celebre in Italia per aver fatto da sigla al programma Fuori Orario per oltre un decennio (e tuttora).

 

 

Bucci Mario

        [email protected]



[i] Morando Morandini. Dizionario dei film 2004. Zanichelli

[ii] Paolo Mereghetti. Dizionario dei film 2000. Baldini & Castoldi