L’Atalante.
Jean Vigo. 1934. FRANCIA.
Attori: Michel Simon, Jean Dasté, Dita Parlo,
Gilles Margaritis, Louis Lefebvre, Fanny Clar, Raphaël Diligent, Charles
Goldblatt, Pierre Prévert, Jacques Prévert
Durata: 89’
Altro Titolo: La Chaland qui passe
La contadina Juliette, con
sorpresa di tutti, ha scelto di sposare Jean e di andare a vivere con lui su
una chiatta della quale è il capitano. Membri dell’equipaggio sono anche il
rozzo marinaio Papà Jules, un ragazzo, ed una selva di gatti. Dopo i primi
giorni felici, la vita sulla chiatta incomincia a pesare a Juliette che si
avvicina sempre più a Papà Jules il quale, un giorno, le mostra la sua cabina,
vetrina d’oggetti raccolti da tutto il mondo. Esaltato, Papà Jules le mostra i
suoi tatuaggi e le suona una canzone, ma il capitano Jean non la prende bene e
schiaffeggia lei e distrugge le cianfrusaglie del marinaio. Jean e Juliette
decidono una sera di andare in città ma poiché Papà Jules li anticipa, sono costretti
a rimanere a far da guardia alla chiatta. Papà Jules in città si fa predire il
futuro da una chiromante, sottrae un cono di grammofono in un bar e si ritira
ubriaco sulla barca. Salpano il giorno dopo e quando attraccano di nuovo Jean
porta Juliette in un locale dove un cabarettista e venditore ambulante ci prova
con la donna. Jean è costretto a spinger via l’uomo ed a riportare la moglie
sulla barca, allontanandosi poi di nuovo. Sopraggiunge il cabarettista che,
suonandole una serenata d’addio, ne approfitta per chiederle di fuggire con lui
a Parigi. Jean torna e scaccia a pedate il cabarettista. A notte, Juliette non
fa che pensare a Parigi e all’offerta del cabarettista così, approfittando che
c’è aria tesa con il marito, scappa dalla barca per andare in città. Jean se ne
accorge e ordina a Papà Jules di salpare. Al ritorno dalla città, Juliette non
trova più la chiatta attraccata al molo. Prova a raggiungere la prossima
destinazione in treno, ma è scippata alla stazione. Trascorsi alcuni giorni
però, Jean si sente smarrito senza di lei, rischiando di essere licenziato
dalla Compagnia mercantile per la quale lavora a causa di una serie di
richiami. Papà Jules a questo punto decide, una volta attraccati a Le Havre, di
andarla a cercare e quando la ritrova la riporta alla chiatta. Non appena si
rivedono, Jean e Juliette si riabbracciano felici.
Secondo lungometraggio per la
brevissima carriera di un grande regista come Jean Vigo, morto qualche mese
dopo la proiezione di questa pellicola (durante la quale lavorazione s’era
ammalato di setticemia), all’età di ventinove anni, il 5 ottobre dello stesso
anno. Si tratta di un’opera sconvolgente nella sua semplicità, girata in
maniera eccelsa e con piena coscienza dei ritmi cinematografici (montaggio
parallelo) e della funzione simbolica delle immagini (brevissima scena di Jean
che abbraccia il ghiaccio per indicare la sua freddezza di fronte al grammofono
di Papà Jules). L’Atalante cui fa riferimento il titolo è il nome della
chiatta, dell’imbarcazione sulla quale viaggia il matrimonio di due persone
tanto diverse tra loro, e sul quale vola lo sguardo di un regista (inquadratura
dall’alto finale) capace di raccontare una storia dai sapori teneri, dosata e
ben amministrata in rabbui e risate, con momenti surreali raffinati e non
ingombranti (il burattino in primissimo piano, scene sott’acqua). C’è anche una
critica politica e sociale ovviamente, nella descrizione di una famiglia
composta di proletari che si dividono per il fascino del consumo, delle vetrine
e della tecnologia, ma che ha la sua forza solo nell’unione e non
nell’abbandono. È un film nomade quindi e che esalta il nomadismo (marittimo in
questo caso), che attraverso la metafora dell’acqua rende ancora più instabile
la condizione di una strana famiglia priva di legami (in questo si riconosce la
tendenza anarchica del regista, figlio del militante anarchico Almereyda,
ucciso/suicidato in carcere). È il marinaio però la chiave che risalda il
matrimonio, la radicalità di un’intera esistenza quindi, e la scelta di
condividerla. Si tratta di una condizione sociale che deriva da uno sbaglio
politico, dice il regista con questo film, ma non teorico nella difesa comunque
delle sue radici socialiste. Parigi, città infame e meravigliosa, come una
città qualsiasi dominata dal progresso (e della quale non è mostrata alcuna
caratteristica peculiare), capace di rapire chiunque, dal marinaio ubriaco alla
donna affascinata dalle vetrine. È una pellicola che allude parecchio anche
alla sfera del sesso e dell’attrazione prima ancora che a quella del matrimonio
(ripreso come un funerale all’inizio del film). Tante, infatti, le allusioni
verbali (coltello) e quelle figurative (la scena della gonna) che spinsero la
censura a dover mettere più volte mano alla pellicola, stravolgendone per anni
il significato: è un anagramma d’amore, infatti, quello che mette in scena Jean
Vigo, una romantica e struggente a tratti storia d’amore impossibile tra una
ricca donna ed un gruppo di maschi rozzi, deboli, non capaci di vedere l’amore
se non solo nella sua mancanza (l’emblematica scena del tuffo in mare).
Delicatissimo, si avvale di personaggi di contorno ai quali è dato ampio spazio
(dal ferrivecchi Rasputin al cabarettista allo scippatore alla chiromante) che
entrano nella scena il più delle volte in maniera sempre occasionale o dirompente,
comunque senza giustificazioni. È una storia di gelosie anche, e quindi di
fortissime passionalità che circondano la figura di Juliette, candida, solare
anche di notte. Si tratta, da un punto di vista storico, di un film pregno di realismo poetico, che nasconde in realtà
stralci di realismo socialista, quindi di un marcato senso politico nella sua
rappresentazione. Jean Vigo ne è sicuramente uno dei precursori più
intelligenti e sottili, dotato d’ottime capacità visive/visionarie (le
sovrimpressioni di Juliette quando Jean la cerca in acqua sono considerate tra
le più belle del cinema), che non riprende le figure borderline per raccontare
una storia fine a se stessa, ma per mettere in scena soprattutto in maniera
coscienziosa una condizione sociale diffusa. Non per altro sarà uno dei pochi
registi appartenenti al filone del realismo poetico (sebbene con venature
surreali) ad essere difeso e studiato dai critici dei Chaiers du cinéma. Per
certi versi è anche un omaggio alla donna, sempre eterea, come abbiamo detto
solare, ma che è protagonista principale sin dalle prime battute (commenti
della famiglia sul matrimonio) e per la quale ci si affeziona durante il
racconto, fino a cercarla assieme a Jean immergendosi nell’acqua amniotica che
difende l’amore. Superlativa la prova di tutti gli attori, del rozzo Papà
Jules/Michel Simon soprattutto si può apprezzare le capacità interpretative.
Tra loro figura anche lo sceneggiatore Jacques Prevert. Per decenni il film è
circolato con il nome La Chaland qui passe, preso da un titolo di una
canzone (la versione francese di Parlami
d’amore, Mariù scritta da Bixio [i]) aggiunta
contro il volere stesso del regista. La versione integrale si è potuta vedere
solo dopo il restauro del 1990, durante il quale fu fatta anche una ricostruzione
filologica della storia, per decenni massacrata dalla censura. L’operatore è
Boris Kauffman, fratello del regista Dziga Vertov [ii]. Celebre
in Italia per aver fatto da sigla al programma Fuori Orario per oltre un
decennio (e tuttora).
Bucci Mario
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