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La componente documentaristica non evita la ripresa in primo piano con sguardo in macchina che Agosti sa pilotare molto bene, facendo emergere l'emozione, l'espressione che restituisce tutto il personaggio come in D'amore si vive e Trent'anni di oblio. Ed è in questi spezzoni di film apparentemente montati in modo casuale che si trova la traccia in grado di illuminare un percorso dal titolo del film ("Quando mi torturavano io mi rifugiavo nella mia seconda ombra e non sentivo più niente"), attraverso la festa di nozze, la nascita di una nuova vita e l'abbattimento del primo muro della vergogna: tutto in una notte e non solo per esigenze drammatiche: Agosti interpellato spiega che tutto nel film ha radici nella realtà dei fatti.
Ciò che lascia basiti è che non inorridiamo più quando il regista ci rivela che pure gli infermieri visti agire sullo schermo recitavano la parte di se stessi, compresi quelli che picchiavano e praticavano torture. Si difendono dicendo che lo facevano per il bene degli ospiti ai quali si incuteva un timore reverenziale verso chi deteneva il potere e quindi non dovevano più venire bastonati. Un'esponenziale ripetizione dei nostri rapporti con il potere: infatti gradualmente siamo andati perdendo la capacità di indignarci e di rispondere alle gabbie che un potere sempre più subdolo ci ha costruito addosso e il muro si è ricostruito, ponendo di nuovo i presupposti per l'intolleranza. La reclusione, l'apartheid.