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Monsieur Verdoux
Anno: 1947
Regista: Charles Spencer Chaplin;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: U.S.A.;
Data inserimento nel database: 28-12-2005


La grande guerra

Monsieur Verdoux. Charles Spencer Chaplin. 1947. USA.

Attori: Charles S. Chaplin, Martha Raye, Isobel Elsom, Marilyn Nash, Irving Bacon

Durata: 123’

 

 

Francia. Anni Trenta. Una famiglia non riesce ad avere notizie della propria sorella da quando questa si è sposata con un uomo del quale esiste solo una fotografia. Domandando aiuto alla polizia emerge un folto numero di donne sole, spesso vedove, della quale è stata denunciata la scomparsa, tutte però recentemente maritate. L’idea dell’ispettore è che il marito di tutte sia uno solo. In corsa da un lato all’altro del paese, il signor Verdoux cerca di mantenere un ritmo di vita elevato, dopo essere stato licenziato, a causa della grande crisi economica, dalla banca nella quale aveva lavorato per trent’anni. Il metodo scelto è proprio quello di cui sospetta la polizia: Verdoux è un criminale che sposa donne sole per poi ucciderle e intascarne il patrimonio. Dopo averne uccise altre ed aver scelto la sua prossima preda, un’avvenente vedova che voleva acquistare una sua casa, Verdoux risparmia un’ex galeotta sulla quale voleva testare un potente veleno. Scoperto però dall’ispettore, che può solo accusarlo di bigamia, Verdoux se ne libera con il medesimo veleno. Riesce un giorno finalmente a convincere la sua ultima preda a sposarlo ma poiché al matrimonio è presente anche un’altra delle sue mogli, è costretto a fuggire ed a sparire dalla circolazione. In Europa intanto, a seguito della grande crisi economica, salgono al potere Hitler e Mussolini mentre il signor Verdoux perde la sua vera moglie (malate e bloccata su una sedia a rotelle) e suo figlio, cadendo in miseria. Capita però che un giorno incontri l’ex galeotta, moglie ormai di un industriale bellico, che gli offre una cena in un ristorante. Alla stessa serata partecipano però anche i famigliari che si erano rivolti alla polizia e riconoscendolo lo consegnano alle autorità. Verdoux è condannato alla ghigliottina.

Si tratta di una delle ultime regie di Chaplin, caratterizzata da un forte senso decadente dei costumi e della morale, portato sugli schermi al termine della seconda guerra mondiale. La figura di Barbablù (con riferimento al famoso assassino francese Landau) alla quale s’ispira il personaggio dallo stesso Chaplin interpretato, diventa nelle mani dell’autore simbolo di un declino cui il mondo intero stava affrontando. Il parallelismo tra la guerra, l’omicidio di massa, e la condizione di un assassino alle prese con la grande depressione emerge senza difficoltà in un contesto raramente comico ma toccante per tutta la durata del film. Chaplin, infatti, sembra aver scelto per questa nera commedia dagli accentuati sapori amari un linguaggio davvero lontano dai suoi celebri lavori, e che si manifesta in pochi tratti comici come la conta frenetica del danaro, gli ammiccamenti al pubblico, e qualche gag classica che comunque non è mai in grado di strappare un sorriso completo. Si tratta, infatti, di una storia tesa, triste, che fa leva sulla riflessione politica ed economica, e che quindi ne rispetta il valore. Non è un caso che per ogni cambio d’ambiente egli decida di utilizzare le ruote di un treno che sfreccia ad alta velocità, simbolo del progresso che corre e che avanza, sul quale viaggia l’assassino Verdoux e la storia stessa. Diventa quindi inscindibile il rapporto tra capitalismo e progresso da una parte, ed il male e l’omicidio dall’altra, sebbene queste considerazioni siano poste in secondo piano (soprattutto a causa delle restrizioni imposte dal codice Hayes) sotto quelle più evidenti dell’omicidio singolo ed individualista contro quello di massa e dunque collettivo e nazionalista. La pellicola incomincia con la tomba del protagonista dalla quale il carrello stacca per inquadrare un cimitero più ampio: la soggettiva (voce narrante) di un uomo che è già cadavere, e che in fondo si appresta solo a giustificare il proprio atteggiamento delittuoso in base alla piega che ha assunto la storia di fronte a lui. Chaplin sceglie allora di calcare la mano sulla depressione economica per quanto riguarda le giustificazioni e sullo scoppio della guerra per quanto riguarda gli effetti (terminati con l’esplosione della bomba atomica e quindi con il più ampio disastro di massa), trasformando il personaggio principale in una meteora metaforica di questo attraversamento storico, per il quale a volte lo spettatore è contraddittoriamente portato a parteggiare (se paragonato appunto all’omicidio di massa). Non a caso infatti, Verdoux/Chaplin è l’unico personaggio a mostrare una certa profondità sia emotiva (risparmiando l’ex galeotta) che riflessiva e filosofica (il processo ed il dialogo finale con il prete). Niente condanna effettiva però (nel senso di visiva, visibile per lo spettatore) ma solo la fine di un uomo medio che ha accettato le regole del gioco fino all’ultimo, quando cioè la partita l’ha persa. Non è Chaplin/Charlot l’uomo che affronta il proprio destino, ma Chaplin stesso (nemmeno Verdoux) che ad un certo punto della sua carriera pensò bene di mettersi in gioco rischiando la lapidazione. Nessun riconoscimento gli fu consegnato in patria (il film fu boicottato dall’American League), ovviamente, ma il film ottenne almeno una nomination agli Oscar per la sceneggiatura. Il soggetto fu scritto dal regista Orson Welles, dal quale fu acquistato per cinquemila dollari [i], e che però pretese in sede contrattuale di mantenerne la paternità assoluta dell’idea, trattandosi nonostante tutto di un soggetto reale (la storia appunto di Landru). Tra le parole del regista a riguardo della sua opera “La guerra è la continuazione logica degli affari, e gente come Verdoux è creata dalle catastrofi; egli simboleggia i turbamenti creati dalle grandi crisi. È stanco, amaro, pessimista e mai morboso” [ii].

 

 

Bucci Mario

[email protected]



[i] Maurizio De Benedictis. Il cinema americano. Newton & Compton editori.

[ii] Georges Sadoul. Dizionario dei film. Sansoni editore