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La Noce-Le nozze
Anno: 2000
Regista: Pavel Lounguine;
Autore Recensione: Ariele e Calibano
Provenienza: Russia-Francia;
Data inserimento nel database: 31-01-2001


Le nozze sono una festa e un pretesto per raccontare un popolo che non c'è più, o che non è mai stato proprio così. Michka e Tania sono solo due dei molti abitanti del paese in cui le nozze avranno luogo e dunque un'occasione di incontro tra varietà umane interessanti. Solo che la festa dura davvero troppo e i canti sempre più frequenti, per via della vodka che, si sa, rende intonati, stancano… e anche i personaggi sono poco originali: l'amico ubriacone, buono ma inaffidabile, la moglie stanca che prende botte per anni ma poi si ribella, il prete che si improvvisa animatore di feste, il mafioso che è bene tenersi buono ma che poi l'"autorità " manda a quel paese perché dopotutto tanto potente non sembra essere, la zia ninfomane e così via... e poi: i rubli tanto attesi e che mancano sempre laddove tutto sembra costare tantissimo (i fiori per la sposa, le polpette del pranzo di nozze etc.) oppure hanno un valore relativo e vengono "sprecati" in vodka, prestati, nascosti o regalati, spesi tutti in una volta. E allora non capisci più bene di quali cifre si parli e dove sia la povertà… dopo poco entri nell'ordine di idee che un coltello vale una bottiglia o due gerani e allora ti chiedi perché di tanto clamore per un paio di orecchini, così non ti sembra tanto strano se Tania ne butta nel campo un paio, perché porta bene.

Insomma vuole esserci una rivoluzione di valori anzi si vuole proporre la sopravvivenza dei Valori, come a dire che in un qualche paese lontano si sa ancora amare in tutte le accezioni del termine. Una volta l'avrei creduto un film a suo modo poetico oggi mi sembra un po' ingenuo.

Ariele

Ma in fin dei conti, mio caro spirito, è tutto lì, rappresentato "ingenuamente", proprio per non complicare un discorso già intricato e frammentato. A turno, chi aveva amato i precedenti di Lounguine, ha accusato il regista di tradimento, chi per aver abbandonato ambienti metropolitani forse a lui più consoni. Ma l'accusa peggiore è quella della "maniera", cioè di una sorta di impronta di fabbrica, appunto industriale, nella costruzione di situazioni e personaggi. Ma è un rischio, secondo me, da correre, quello, intendo, di appoggiarsi a metafore e figure, al fine di dire altro e tanto.

Purtroppo, il quadro che ci viene proposto non è nostalgico (seppure di un "popolo" possibile e mai "s-S-tato"…), ma spietatamente a-storico: fino alle prime apparizioni dei cellulari, io, inesperto di divise e amante delle nudità, ho faticato a collocare il tran-tran del paese minerario nel tempo (prima o dopo Eltsin?); quel popolo, ma soprattutto quella cultura, esistono veramente e forse la caricatura risulterebbe meno marcata se conoscessimo a fondo quello che succede ed è successo. Così come il socialismo "reale" non aveva cancellato il denaro e la sua "ideologia", così il capitalismo non ha saputo far di meglio che glorificare nuovi stakhanovisti/coglioni, e per fortuna che almeno la vodka ha ancora un valore di scambio…

Andiamo però oltre quello che ci aspettiamo e quindi vogliamo vedere in questo film, cioè lo stereotipo della festa vodka&polka, perché quella è una trama e un canovaccio su cui ci sono anche bei ricami. Se può sembrare blandamente neorealista l'odissea alla caccia di un regalo per la sposa da parte dello squattrinato (perché derubato in casa) minatore, il peso drammatico di questo lungo sub-plot viene ridimensionato dalla sua soluzione banale eppure foriera di conseguenze a scoppio ritardato. Più che a un triste vagabondaggio in attesa di una tragedia che non ci sarà, sembra un affondare, con un certo piacere, nel surrealismo della provincia russa; con il protagonista Mishka che cede malvolentieri la scena al valore supremo del denaro (che in questo film, con la sua ingombrante assenza, farebbe la gioia di Carmelo Bene, nascondendo e infine spersonificando il recitante e il recitativo). In un eterno presente immutabile ci si sorprende persino che alcune azioni abbiano delle conseguenze (gli incontri con alcuni paesani che si autoinvitano alle nozze); in realtà vige un principio di diffusa ed allegra irresponsabilità, montato ad arte, io credo, per sbeffeggiare meglio l'opprimente perpetuarsi del potere (anche il finale, festoso, è gattopardesco e infine favorevole alla nicchia creatasi dal sordido sbirro Barzov).

Non è, però, una irresponsabilità gratuita e da "film d'arte", quanto piuttosto un modo di "fare la cosa giusta", un sistema di sopravvivenza e una morale che permette di tenere gli occhi aperti anche quando sarebbe più conveniente chiuderli o voltarli dall'altra parte e permette di compiere gesti impulsivi come il recupero rocambolesco di un figlio dall'orfanotrofio. Se vogliamo, è una lezione di tolleranza verso se stessi (la propria cultura) e verso gli altri. Quanto è morale e sincero spingere i due protagonisti a lasciare la propria comunità, che non sarebbe in grado di tutelarli a dovere! E loro, in un finale non melenso, dove possono andare se non nell'orizzonte di campi coltivati già attraversati (verso il nulla) da Michel Poiccard?

Sotto la crosta della metafora (che noi sopravvalutiamo per abitudine e semplicioneria critica), ci sono secondo me esercizi di stile sincero e immagini che val la pena aver visto, come i primi piani scavati e insistiti dei protagonisti (penso soprattutto ai due sposi, al piccolo boss del carbone e allo sbirro frustrato). Non si tratta solo di ottimo lavoro d'attore, ma di una fenomenologia dei volti, culminante con lo straordinario ritratto della bella Tania e dei suoi occhi.

E dove la drammaturgia sconsiglia il primo piano, ecco l'uso sintagmaticamente corretto della macchina a mano come accompagnamento in chiave di basso del movimento di corpi e come sismografo fedele delle impennate emotive. Ok, per qualcuno è maniera, ma di quella che fa vibrare i colori sulla tela…

Calibano

Calibano, Calibano: tu parli difficile e sai guardare senza giudicare! Questo è quanto.

Solo ho paura che la tua disponibilità finisca per sopravvalutare gli intenti e il regista abbia fatto molto meno di quanto tu gli abbia visto fare: ma è meglio così. Qui è tutto quel che posso ancora dire.

Ariele