Il vento ci porterà via
Regia: Abbas Kiarostami
Sceneggiatura: Abbas Kiarostami
Fotografia: Mahmoud Kalari
Interpreti Behzad Dourani gli abitanti del villaggio di Siah Dareh
Produttori: Marin Karmiz, Abbas Kiarostami, MK2 Productions
Origine: Francia-Iran 1999
Durata: 115 minuti
“È vero che un film senza storia non ha molto successo
presso il pubblico, ma bisogna anche sapere che una storia deve fornire indizi e
alcune caselle vuote. Queste ultime, come nelle parole crociate, devono essere
completate dallo spettatore. Chi guarda, come un detective privato in un
intrigo poliziesco, dovrà trovare l’intreccio”. Abbas Kiarostami
"Il vento e le foglie s'incontreranno nell'oscurità della notte",
"vivi ciò che hai e abbandona le promesse che l'eco della grancassa da
lontano affievolisce…". Sono alcuni versi della poetessa Forugh Farrokhzad
che attraversano il film. Dimostrano che la poesia è per Kiarostami
l'imprescindibile contrappunto al progetto, certamente ambizioso, di elaborare
luoghi della visione puramente simbolici. Un cinema costruito su prolungati
sguardi che visitano territori misteriosi, i cui elementi, ricorrenti ed
ossessivi, restano quasi intrappolati in un sistema imperscrutabile, forse il
miracolo (ossimoro) oscuro e splendido della vita stessa, la Natura, le
creature viventi, vi(t)a come iterazione bloccata di fronte al senso/segno
(visibile) ultimo di tutte le cose, all'enigma della morte. Ma vediamo come
Kiarostami costruisce il suo discorso. Innanzitutto bisogna dire che
l'accoglienza tiepida di una parte della critica dipende dal fatto che
Kiarostami, ne Il vento ci porterà via, s'impegna in un viaggio
"apparentemente" già noto fin dai tempi di Dov'è la casa del mio
amico?. La maggior parte dei critici si è soffermata a riconoscere la
ripetizione di segni già visti nei film precedenti, elaborando giudizi negativi
per l'ipotetico esaurirsi della vena creativa. Ci si accorge, invece, ad
un’analisi più attenta, che le configurazioni simboliche subiscono variazioni
anche notevoli, soprattutto nelle ultime due opere, mutazioni che confermano
l'evoluzione complessiva del cinema di Kiarostami. Per individuare meglio
queste variazioni è bene fissare l'analisi dentro una griglia metodologica (che
non ha beninteso nessuna pretesa d’esattezza o scientificità), che ci permette
di osservare la tipologia dei segni e la loro organizzazione nei film, ciascuno
dei quali rappresenta un sistema a sé stante. Applicando le tesi di semiologia
dell'arte di Ernst Gombrich, Kiarostami da una parte sviluppa, riproducendola
ossessivamente sullo schermo, la funzione "mappa simbolica" che
comprende una serie di invarianti: paesaggistiche, come il sentiero tortuoso a
zig zag in salita, la collina, la cui vegetazione appare meno rigogliosa che in
passato, l'albero in cima alla collina, tutti questi elementi che hanno spinto
verso un’interpretazione "naturalistica", legata in modo riduttivo
alla qualità fotografica delle immagini. Fanno parte della mappa simbolica
anche oggetti inanimati, animali e molte figure umane. Dall'altra parte
Kiarostami sviluppa, moltiplicandola, la funzione "specchio" per
mezzo di personaggi chiave.
La mappa simbolica - 1. Gli
elementi naturali e gli oggetti inanimati. Il paesaggio naturale, eterno,
di fronte alla caducità umana, almeno quella del singolo individuo,
contrapposta al progresso tecnologico. Osserviamo la netta divisione tra
manufatto naturale (valore positivo) e manufatto tecnologico (valore negativo).
La felicità dell’uomo è legata strettamente alle dinamiche del rapporto
uomo-natura, è raggiungibile se l'uomo rimane metaforicamente in piano, coltiva
la terra senza avventurarsi in progetti che solo apparentemente lo elevano
(sulla collina) giacché lo conducono in un luogo di morte (il cimitero). Il
simbolo della collina è legato alla prima manifestazione della creazione del
mondo: sufficientemente elevata per differenziarsi dal caos iniziale, non ha
tuttavia la maestosa immensità della montagna; segna l’inizio di un emergere,
della differenziazione, e le sue linee dolci l’associano a un aspetto del sacro
che è a misura d’uomo. Tuttavia il termine deriva dalla nozione di sid, e, nel
mondo celtico, invece di indicare la creazione di questo mondo, la collina
rappresenta l’altro mondo.
Vi è anche una divisione simbolica tra i mezzi di trasporto,
l'automobile, qui un’ingombrante, pesante Land Rover ed una motocicletta, tra
cui si rivelano fondamentali differenze. Dentro l'automobile il conducente e i
passeggeri viaggiano staccati fisicamente dal paesaggio, tendono ad
inquadrarlo, osservarlo da più lontano, attraverso il filtro protettivo dei finestrini
o gli specchietti retrovisori. La motocicletta, che, non è un caso, è condotta
dal medico (figura spirituale, un medico non specialista perché così può
occuparsi della guarigione di tutti gli organi), corre fendendo l'aria e la
polvere dei luoghi, ha senz'altro un rapporto più stretto col territorio, meno
distaccato rispetto all'automobile. Infine gli oggetti più clamorosamente
simboli tecnologici: la macchina fotografica e il telefono cellulare.
L’apparizione della macchina fotografica è una prova evidente della ricerca
costante di segni, un occhio meccanico – come quello della macchina da presa -
che ruba pezzetti di realtà, un mezzo di indagine fondamentale per Kiarostami
che ha una lunga esperienza di fotografo. È utile ricordare una dichiarazione
del regista rilasciata alcuni anni fa alla rivista francese Cahiers du
Cinema a proposito della fotografia: la quale permetterebbe “d’accumuler
des images dans son esprit” e “di educare il pensiero e la visione in ciò che
concerne il senso d’equilibrio, l’armonia. Ancora di più se è vero che la
bellezza è l’essenza dell’arte e che quest’ultima esprime l’equilibrio e
l’armonia, allora la fotografia è una via per comprenderne il significato
fondamentale. La fotografia come termometro della sensibilità estetica”. Queste
dichiarazioni, che rivelano una fiducia nella macchina tecnologica, appaiono
sempre più in crisi. L’ingegnere continua nel suo tentativo di registrare la
realtà con i manufatti tecnologici, ma questi ultimi sono del tutto
insufficienti, inappropriati per una reale comunione di sensi con la realtà.
La mappa simbolica - 2. Gli animali. C'è una presenza fondamentale in
quest'ultimo film: la tartaruga. Sull'apparizione in cima alla collina di una
piccola tartaruga, che l'ingegnere scorge tra la vegetazione, è ardua
un'interpretazione univoca. Longevità, lentezza, ma anche precarietà apparente
di questa creatura giacché basta un semplice gesto di un uomo, che senza alcun
motivo la capovolge, lasciandola a dimenarsi con le zampe all'aria. La tartaruga,
tuttavia, riesce a riprendere la posizione normale e a continuare il suo
cammino. L'ostinazione pervicace può essere metaforicamente attribuita alle due
parti in gioco nella traccia narrativa: la vecchietta, appartenente alle
generazioni contadine del passato, della tradizione, da una parte, dall'altra
l'ingegnere che incarna le generazioni future, dunque il desiderio di
"capovolgere" il mondo, di seguire un percorso diverso dal passato.
Ma la tartaruga ha sempre camminato lentamente e vive sulla terra da milioni di
anni, prima che l'umanità facesse la sua apparizione sul pianeta. Ci sono altri
elementi che non possono essere sottovalutati. Innanzitutto il fatto che la
tartaruga si trovi in un luogo che non è il suo, cioè quello naturale di
appartenenza. Che ci fa una tartaruga in cima alla collina lontano dal mare? La
sua presenza è davvero perturbante se consideriamo l'etimologia complessa, che
oscilla tra quella inquietante tardo latina di Demonio e quella greca non
dissimile di abitante del Tartaro, perché l'appellativo si riferisce al fatto
che l'animale è ritenuto demoniaco, immondamente avvolto nel fango (così
suggerisce il vocabolario Zingarelli 1996). La tartaruga, lenta, oscura,
rigonfia, simbolizzerebbe allora un movimento involutivo, un regresso verso
l’incarnazione. Ma non si può escludere un’altra versione del simbolo: la
tartaruga, materia prima dell’opera secondo il mito di Mercurio che ricava
dalla carapace dell’animale la materia della cetra, come punto di partenza
dell’evoluzione. Invece di segnare un’involuzione, un regresso, essa è uno dei
termini del processo, l’inizio della spiritualizzazione della materia. La
tartaruga, racchiusa fra le due piastre della sua corazza, rappresenta un piano
intermedio (la collina e non la montagna), la via fra il cielo e la terra.
C'è anche un altro insetto che trascina una pallina di sterco. Singolare è il
fatto che questo sterco sia utilizzato da incubatrice per favorire la crescita
degli insetti appena nati.
La presenza degli animali domestici rafforza la potenza dell'immaginario
contadino, di una tradizione umana legata ai cicli continui della Natura. Gli
abitanti del villaggio vivono in stretta simbiosi con animali domestici:
galline, capre, mucche.
La mappa simbolica - 3. Le figure umane. Nella mappa
simbolica rientrano in questo film il bambino, il medico, la donna in cinta e
la donna che munge la mucca dentro la caverna. Si tratta di figure non di
semplice contorno, sono fondamentali perché il personaggio chiave, cioè
l'ingegnere protagonista in cui s'incarna la funzione specchio, quindi
probabile alter ego del regista, lungo il suo percorso incontrerà queste figure
umane, dall'evidente carica simbolica, che funzionano come doppi del
protagonista, sono indicativi della funzione riflessiva che si dipana
attraverso vari incontri e prolissi dialoghi. Già accennato alla consueta
contrapposizione tra elementi tradizionali ed elementi che fanno parte
dell'attualità tecnologica. Le figure umane non si contrappongono al
personaggio principale o "specchio principale", esprimono
semplicemente il loro status e la loro appartenenza a tipi universali: il
bambino, la madre, il dottore, il contadino. La donna in cinta riconosce il suo
ruolo fondamentale di madre, è perfettamente naturale che aspetti il decimo bambino
(riguardo al numero dieci, questo corrisponde anche alla realizzazione per
Kiarostami del suo decimo lungometraggio, ma l'analogia è forse del tutto
casuale). Il medico esprime chiaramente la sua posizione tradizionale, di
medico che cura le persone ammalate, non soltanto degli organi, poiché la
specializzazione medica ha causato la spersonalizzazione dell'ammalato
rendendolo semplicemente l’organismo-macchina in cui alcuni pezzi non
funzionano.
Il bambino. Per la prima volta il bambino ha una forte autonomia, non solo il
bambino è portavoce della verità, ma conduce lungo il percorso l'ingegnere. Ne “Il
cinema di Abbas Kiarostami”
avevo sostenuto, con riferimento ai primi cortometraggi, una lettura
psicanalitica della presenza dei bambini, consideravo infatti l’analisi
lacaniana dell’esperienza dello specchio che si colloca essenzialmente sul
versante dell’immaginario: la formazione dell’io sarebbe legata
all’identificazione con un fantasma, con un’immagine.
I bambini sono stati sempre il mezzo per guardare il mondo e
soprattutto il mondo dominato dalla mentalità degli adulti. Che adesso sia un
bambino ad accompagnare un adulto è del tutto coerente, poiché l'adulto negli
ultimi film si è allontanato dalla bellezza e semplicità del mondo. Solo
seguendo un bambino c'è una speranza di salvezza.
La donna dentro la caverna. Si tratta dell’apparizione
associata di due simboli: “equivalenza simbolica dell’immagine della donna e
delle immagini di interno, come casa, caverna, ecc.”. Rappresenta la
possibilità di rinascita, attraverso un percorso che vede la soggettività alle
prese con i problemi della propria differenziazione.
Lo specchio. Questa funzione si ritrova costantemente nel cinema di
Kiarostami. Possiamo identificare l'evoluzione di una figura umana, un
personaggio che riveste il ruolo di probabile alter ego del regista. In alcuni
casi il regista è presente egli stesso (vedi Sotto gli ulivi o Compiti
a casa, il finale de Il sapore della ciliegia). L'ingegnere arriva
con alcuni colleghi in un paesino sperduto del Kurdistan iraniano. Non si sa
nulla delle intenzioni dei forestieri, si tratta ancora di un'altra troupe
cinematografica? Come negli ultimi film il villaggio li accoglie con affetto,
l'ingegnere continua a salire e scendere con la sua Land Rover sulla montagnola
in cima alla quale si trova un cimitero, dove un uomo sprofondato in una buca
(ancora un antro, questa volta simbolo del sonno eterno) scava il terreno,
scampa ad una frana che stava per seppellirlo per sempre, ed un osso, un femore
umano, grottesca metafora della morte, scaraventato dalla cima del colle,
galleggia nelle acque di un piccolo fiume che lo trascina chissà dove.
L'ingegnere ha interminabili dialoghi con altri personaggi, spesso in macchina,
in cui l'uso del fuori campo visivo è accentuato, sostituito dal controcampo
sonoro. Qualche volta l'ingegnere sembra che parli da solo, con personaggi che
non vedremo mai. Il sentiero tortuoso che porta in cima alla collina è percorso
in salita e in discesa decine di volte, anche perché il telefono cellulare
dell'ingegnere ha bisogno, per funzionare bene, di un luogo più alto. Il mondo
contadino, nei suoi cicli eterni, appare impassibile al cambiamento mentre
l'ingegnere si affanna per raggiungere i suoi obiettivi, attraverso un lavoro indefinibile,
che non si vede, forse non esiste.
Considerazioni sul testo.
Kiarostami non apporta novità linguistiche, di conseguenza
ho concentrato l’attenzione sull’organizzazione delle forme simboliche che è, a
mio avviso, più interessante. Certi artifizi, come l’utilizzo del sonoro, o i
dialoghi sbilanciati su un campo, le stesse figure fuori campo che non si
vedranno mai per tutto il film, sono già stati i suoi mezzi espressivi
emblematici. Certo gli effetti sullo spettatore sono esigui rispetto alle vertigini
e allo spaesamento di luoghi e personaggi di Close-Up (ma possiamo
negare in questo caso la seduzione della storia?), ma, diciamo sempre che
alcuni registi girano sempre lo stesso film, ebbene la medesima affermazione si
può fare per Kiarostami. È implicita, inoltre, se vogliamo usare categorie,
l’appartenenza del corpus filmico kiarostamiano, per le sue caratteristiche
intrinseche già evidenziate, al testo poetico. Le relazioni tra tipologie di
testi (filosofico, letterario, poetico) semmai sono interessanti, in rapporto
all’utilizzo di strumenti narrativi più o meno forti. Si evidenzia anche in
questo film la presenza simultanea di caratteristiche filosofiche e narrative,
ma con l’impressione che le categorie dello spazio (componente filosofica) predominino
su quelle del tempo (componente narrativa-lineare).
Alcune… provvisorie… conclusioni. Ne Il vento ci porterà via
Kiarostami riflette sul proprio ruolo di regista, di produttore d’immagini,
d’alterazione di una realtà che funziona così com'è da millenni. Cosicché il
regista si affanna sempre più su un sentiero tortuoso che non va da nessuna
parte, sembra girare a vuoto, anzi lo allontana dall'essenza del mondo, dalla
vita, e lo conduce in un luogo illusorio, il cimitero, dunque la morte. Si può
notare anche il fortissimo imbarazzo, che mancava nei film precedenti, per la
presenza disturbante della troupe (cinematografica) in un luogo incontaminato.