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American History X
Anno: 1999
Regista: Tony Kaye;
Autore Recensione: paola tarino, adriano boano
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 08-09-1999


American History X

AMERICAN HISTORY





Regia:...........Tony Kaye
Sceneggiatura:.............David McKenna
Fotografia: ............John Morrissey
Montaggio: .............Alan Heim, Jerry Greenberg
Produttore artistico: .............Jon Gary Steele
Costumi: ........Douglas Hall
Musica: ...........Anne Dudley
Produttore: ...........Lawrence Turman,
Steve Tisch, Kearie Peak, Bill Carraro

Provenienza: USA
Anno: 1997
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Derek Vineyard ... Edward Norton (II)
Danny Vineyard ... Edward Furlong
Dr. Robert Sweeney...Avery Brooks
Doris Vineyard... Beverly D'Angelo
Murray... Elliott Gould
Stacy...Fairuza Balk
Dennis Vineyard...William Russ
Davina Vinyard... Jennifer Lien
Lawrence...Antonio Danid Lyons
Chris...Keram Malicki-Sanchez
Cameron...Stacy Keach

Raccontare l'ultradestra americana, ovvero il fenomeno delle bande giovanili degli Skin-heads e dei violenti naziteppistelli, mostrandone l'aspetto meno beluino (quello del branco è affiancato all'ambiente familiare, scolastico e carcerario), non è impresa facile e, toccando una materia così esplosiva, spesso si fa in fretta a cadere nell'approssimazione, nella retorica, o al peggio nell'affresco didascalico e nella sociologia d'accatto.

Non si può dire che American History X sia totalmente esente dal correre tale rischio, ma il fatto che riesca a mantenere alto l'interesse dello spettatore, consente di perdonargli qualche scivolamento nella superficialità e talvolta nella scarsa credibilità di certi passaggi repentini dei due protagonisti da uno stato all'altro (dai cattivi ai buoni, da un'influenza negativa a quella redentrice e salvifica), per apprezzarne il coraggio e il valore di testimonianza, compresa la voglia di portare al centro dell'attenzione temi scottanti, quali l'intolleranza, il razzismo, la pretesa supremazia del "white power", attuali più che mai un po' ovunque in questo mondo globalizzato. Uscito negli Stati Uniti due anni fa, solo adesso appare nella programmazione italiana estiva; girato da un regista che proviene dal mondo della pubblicità, come denunciato dall'uso sapiente della fotografia, dal taglio delle immagini, dall'attenzione ai dettagli, dalla profusione del rallenti, a tratti soffre di questa attenzione all'immagine patinata: ad esempio le due docce con le gocce che piovono al rallentatore sul corpo sconciato dalla svastica tatuata, una prima volta preludono al castigo della sodomia da parte dei suoi stessi camerati e una seconda alla catarsi finale; richiamano entrambe più innocui spot di shampoo.

Altrettanto "pulita" è la regia che fin dall'inizio alterna il montaggio della scopata con l'invasata fanatica e il furto dell'auto al centro della vicenda, preludendo all'impianto del film, giocato sull'alternarsi di memoria in b/n, artificialmente affidata all'assegnazione di una tesina scolastica al fratello minore del protagonista, con riprese a colori su un presente bisognoso di ritrovare un richiamo al reale un po' più evidente del ritmo rallentato utile per dimostrare la necessità di esaminare con calma gli eventi, appunto con la profusione di rallenti, cosparsi a piene mani lungo tutto lo scorrere della pellicola a partire dalla frase fiabesca: "Una volta Venice Beach era bellissima". La scelta di ricorrere all'uso del rallentatore, esplicitata dal fatto che il racconto avviene attraverso l'interpretazione offerta da Daniel, impegnato ad elaborare la propria tesina, rappresenta la cifra stessa della rimeditazione, a cui siamo invitati anche noi spettatori.

La trama si può riassumere in due righe: due fratelli filonazisti si allontano dall'organizzazione: il primo attraverso l'esperienza del carcere, il secondo grazie all'esempio del fratello. Ma alla semplicità del contenuto fa da contraltare una complessa struttura narrativa ed un ricco impianto registico. Il filo rosso che cuce l'intero sviluppo narrativo del film è infatti rappresentato dal racconto del fratello minore, il cui sguardo, costantemente "smarrito e perso nel vuoto", è cifra simbolica dello spaesamento di una generazione sbandata, figlia della povertà e dell'ignoranza, educata alla dura legge della strada, che porta i giovani di uno stesso quartiere, appartenenti ad etnie ed ideologie differenti, a contendersi il territorio (giocandoselo a basket), per occuparlo, esserne i padroni e stabilire chi potrà restare e chi dovrà andarsene, in quanto perdente, diverso e pertanto inferiore.

Il fratello minore, Daniel Vinyard: gli occhi attraversocui guardiamoIl fratello maggiore, Derek Vinyard, sguardo protervo dopo l'omicidio

Fin dall'inizio l'interesse viene dirottato in parte sull'aderenza ad uno stereotipo unico di Derek e Danny e sulla compenetrazione tra i due orfani, fatalmente portati a condividere un unico destino, il regista gioca sviluppando un unico personaggio con due possibilità di sviluppo dell'intreccio diverse e, cosa più importante vista l'impostazione, due psicologie opposte, evidentemente ben presenti all'interno del branco: il carismatico trascinatore e il succube ammaliato. Il risultato è dato dalla sottolineatura della complicità tra i due, più volte ribadita: esplicitamente a parole (""Se mi avessero chiamato a testimoniare, gli avrebbero di sicuro dato l'ergastolo! "), con sguardi (il beffardo segno di intesa a mani alzate, quasi un Cristo perversamente nazista al momento dell'arresto), attraverso intimità (la panchina su cui si consuma la rivelazione dell'orrore della ideologia nazi) e tramite gesti disperati (l'abbraccio finale con la consapevolezza di una punizione comune abbattutasi giustamente sulla persona però meno colpevole).

Fin dall'inizio la voce over di Daniel è impegnata a rievocare i fatti che hanno portato all'incarcerazione del fratello (condannato a tre anni di prigione per aver ucciso due afroamericani che volevano rubargli l'automobile, gli stessi che avevano perso il territorio nella partita di basket), di cui si sente in parte responsabile: è lui ad accorgersi del furto e ad avvisarlo, ma è anche lui, unico testimone, insieme a noi (che dunque non siamo assolti, perché sappiamo) dell'efferata brutalità con cui il fratello si accanisce con pugni e calci su uno dei neri non ancora morto.

Come si vede dai vari incipit dei paragrafi in cui è suddivisa la recensione, l'intero film è già contenuto nelle sequenze iniziali, anche se poi con grande sapienza lo sceneggiatore fa in modo che tutto trovi una spiegazione attraverso il trait union del racconto fuori campo che ci accompagna anche post-mortem, un espediente drammatico che accentua la partecipazione emotiva: questo è un aspetto pericoloso, poiché viene riconosciuto ai nazi il diritto di argomentare, quasi che conseguano una legittimazione per il fatto che si cerca di individuare un percorso plausibile perché dei giovani abbracciano un'ideologia così aberrante; ovviamente vengono stigmatizzati i loro sproloqui, ma vengono comunque insigniti della possibilità di uno scambio dialettico (le riprese della partita di basket sono realizzae in modo che si è costretti a schierarsi per gli uni o per gli altri; e solo con sforzo razionale si opta ovviamente per i neri) e i personaggi sono forzatamente umanizzati dalla trama, che si fonda proprio su quella rimeditazione relativa alla ricerca dell'origine di quella follia affidata apparentemente al ragazzo, ma richiesta a noi per suo tramite e dunque prevede almeno un atteggiamento di simpatia, se non di immedesimazione, che va sollecitato con robuste dosi di mestiere nell'elaborazione dei personaggi, molto ben sfaccettati, spiccando sul ciccione mentecatto definitivamente etichettato come decerebrato dallo sguaiato canto di John Brown in versione antifrastica.

Il racconto di Daniel si articola attraverso il dipanarsi di flash-back in bianco e nero alternati a scene a colori, che entrano a far parte di un secondo livello narrativo, affidato in questo caso all'elaborazione della tesina che il ragazzo deve fare per poter essere riabilitato a scuola. Il suo professore di lettere (che in seguito col consueto uso della rievocazione scopriremo non solo essere ebreo, ma emotivamente partecipe alla vita della famiglia) vorrebbe espellere questo giovane allievo dal liceo, reo di aver presentato provocatoriamente un tema su Mein Kampf, di fronte alla richiesta di consegnare un elaborato dedicato ad un difensore dei diritti civili. Il preside, che era stato a suo volta insegnante del fratello maggiore, decide invece di inventare per lui un corso di storia personalizzato (da qui deriva il titolo del film) per offrirgli una possibilità che passi attraverso la rilettura degli eventi.

"É un ragazzo confuso e abbraccia idee insane. Come le ha imparate, le può disimparare! Il fratello l'ha influenzato, ma io non getto la spugna. Sarò io il suo insegnante di storia …", dirà il preside illuminato al professore rassegnato.

Il preside, che il padre dei ragazzi non ha remore a definire "un insegnante manipolatore, un falso bigotto ed uno zio Tom ipocrita" - uno dei flash-back in bianco e nero lo mostra ancor vivo, intento ad impartire durante il pranzo questa lezione di intolleranza ai figli, è lo stesso che visita Derek in carcere (luogo dove il ragazzo capisce che "il nero stavolta è lui"), per portargli il conforto dei libri, aiutarlo, non senza condizioni (il prezzo sarà la non fuga e l'assunzione di responsabilità nei confronti del fratello), e soprattutto fargli confessare che la scelta fatta non gli ha reso la vita migliore (l'approccio giusto: infatti questa viene definita dal film che non lascia nulla di implicito "la domanda giusta" da porre).

Nella sua seconda tesina Daniel dovrà parlare del fratello ("People look at me and see my brother" scriverà all'inizio, rendendo vizio la prassi di anticipare ad ogni esordio di scena il tema principale del paragrafo in modo molto didascalico), coglierne le gesta demenziali e violente, ammettere la fascinazione subita, seguirne le evoluzioni e i cambiamenti di prospettiva e sostituirsi nel castigo. Si tratta dello stesso processo applicato a due aspetti e due persone che sono le due tipiche teste dell'idra nazistoide, affinché si accorgano della assenza di fondamento delle farneticazioni a cui danno tanta importanza.
Questo intento palesemente didascalico viene tradito dalla distribuzione italiana con la schizofrenica scelta di vietarne la visione ai minori di 18 anni, non comprendendo le ragioni censorie, si resta alquanto indignati, perché di fatto si impedisce di poter fruire di quest'occasione di dibattito ai giovani destinatari dell'opera, realizzata tenendo conto del linguaggio cinematografico a cui sono maggiormente abituati i ragazzi.

Papā Vinyard, di professione vigile del fuoco. Il vero colpervole

 

Scena a colori: risalendo la china ...

Facendo interagire il passato con il presente ed il futuro, recuperando sulla base dei flash gli episodi significativi, incastonando al punto giusto i diversi tasselli che regolano il complesso sistema delle relazioni tra le persone sapientemente dosando le attese del pubblico e rivelando gradualmente i dati, come se si trattasse di un'indagine maieutica, Daniel riesce finalmente a dare un senso alla realtà da lui stesso esperita. Significativo è il processo di montaggio adottato per introdurre i fatti rievocati: si incastrano nella storia con un percorso a ritroso alla ricerca del momento preciso, in cui tutto cominciò a cambiare. In questo modo si affacciano dapprima i ricordi più recenti con una valenza di tessere di un mosaico che si va delineando, per poi fare emergere la lezione paterna di razzismo, che è l'evento più lontano nel tempo, svelata come chicca finale e con l'introduzione di Danny stesso, che finalmente rivela di aver individuato proprio in quell'occasione l'inizio di tutto: una banale paternale ha creato danni irreversibili.

Si può dire che, assolvendo al compito scolastico della stesura della tesina riprodotta dall'impianto del film stesso, il fratello minore applichi una procedura "evenemenziale": isola singoli fatti storici a partire da un evento illuminato dalle conoscenze relative al passato, un particolare metodo di ricostruzione storica, che finisce per smorzare anche la carica di violenza, fisica e verbale, contenuta in American History X. Evidentemente non era interesse del regista documentare un mondo di violenza, quanto piuttosto capirne le motivazioni, tanto che lascia spazio anche all'esibizione di farneticazioni: l'esempio mistificante della ricostruzione del caso Rodney King è una dimostrazione dei condizionamenti mentali, della grettezza pretestuosa ed una documentazione dell'interpretazione distorta della realtà, derivante dalla frequentazione dell'ideologia nazista.

L'atto di scrivere: interpretazione dei fatti

L'unica sequenza (terribile per recrudescenza, intolleranza, rifiuto del confronto: in una parola per il nazismo espresso nella sua forma meno equivoca) dove si avverte una carica di violenza reale è quella che mostra il fratello maggiore schiaffeggiare la sorella, la sola (a differenza di altre decisamente più brutali) a non essere ripresa al rallenti. La spiegazione si può forse trovare in un'altra sequenza isolata rispetto al contesto fondato sulla coppia oppositiva tra b/n e colore, rallentatore e quotidianità: la ripresa riprodotta dal video dell'intervista al giovane Derek al momento della morte del padre (il professore ebreo giustifica significativamente: "È solo un ragazzo senza padre" e rivolto alla madre: "Tu non conosci il mondo in cui vivono i tuoi figli"). Anche in quel frangente si usa un mezzo che si differenzia dal resto del film ed è un momento topico, perché lì il giovane ferito, cerca una spiegazione per quella morte nelle parole intolleranti ("Sono stronzate di un negro" gli insegnamenti del professore apprezzato dal giovane Derek) del padre forzando l'attribuzione della causa ad una frase razzista, di cui poi avremo documentazione diretta, relativa ai presunti privilegi per gli afroamericani nei criteri di assunzione: in entrambi i casi si tratta di eventi profondamente legati alla famiglia, luogo di partenza e di arrivo della mentalità retriva. L'origine ricercata nel lungo prodotto di docu-fiction, che dura un'intera giornata di veglia: dai cessi della scuola una mattina a quella successiva nello stesso luogo.